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V. OSPITI INATTESI
Alle 9:00 ci passa a prendere il tassista dalla bella faccia rubiconda che ci porterà a Shahrisabz: anche questo l'inglese non lo mastica e lo scambio di informazioni è piuttosto basico durante i quasi 90 km di strada in buone condizioni che ci separa dalla città di Tamerlano, anch'essa sito UNESCO. Prima di uscire dalla città visitiamo una moschea non indicata sulla Lonely Planet e il cui nome ci risulta tuttora sconosciuto visto che il biglietto era scritto unicamente in cirillico. Il percorso fino alla città di Tamerlano offre al nostro sguardo qualche paesaggio diverso: dai 700 msl di Samarkanda si scavalca il passo Takhtakaracha attorno ai 1700 msl, anche se la montagna continua ad essere piuttosto brulla e non offre scorci particolarmente spettacolari se non qualche strana roccia e alcuni locali a dorso di somaro. Quasi in corrispondenza del passo facciamo una sosta presso un mercatino dove spicca la frutta secca: prendo un sacchetto di albicocche secche che poi si riveleranno piuttosto ostiche da masticare. Qualche km più avanti facciamo sosta presso una versione locale di un "autogrill": una famiglia ha costruito un forno tandoori in corrispondenza di un piccolo spiazzo e sta macellando una pecora (e non vogliono essere ripresi mentre lo fanno) che poi cuoceranno aggiungendo dei rami di piante locali per insaporirlo. All'assaggio è gustosa, ma di mangiare della pecora con questo caldo non se ne parla neanche.

Giunti a destinazione l'autista parcheggia e ci fa capire che ci aspetterà lì al termine del nostro giro. Cominciamo dal vicino Ak-Saray (Palazzo Bianco) che fu il Palazzo di Tamerlano: nel parco antistante c'è una grande statua del condottiero attorno alla quale si ammassano un numero imprecisato di cortei nuziali mentre sullo sfondo i resti del palazzo rivelano che, ai bei tempi, poteva tranquillamente rivaleggiare in grandiosità coi monumenti di Samarkanda. Adesso invece è abbastanza male in arnese, in pratica spezzato in due visto che la parte centrale del portale è crollata ma conserva molto del suo fascino, come del resto la città, quasi non toccata dagli architetti sovietici che, di norma, a fianco dei tortuosi vicoli della città antica solevano erigere la "città nuova", fatta di larghi viali e anonimi quartieri di casermoni di cemento. Saliamo fino in cima a una delle strutture residue per godere una vista della cittadina e mappare i cortei matrimoniali, almeno cinque o sei, che si sparpagliano nel parco. Strana abitudine questa di recarsi presso un monumento dopo la cerimonia nuziale. Tornati a livello del suolo un cameraman ci chiede, per dare un tocco di originalità, di poterci riprendere assieme agli sposi e mentre posiamo sorridenti sopraggiunge un'altra coppia che mi affianca e sfrutta la geniale idea del primo "regista".

Procediamo verso la parte vecchia della città per visitare la grande moschea Juma (del Venerdì) le cui decorazioni interne rivelano influenze iraniane e indiane e dietro la quale si trova un complesso funerario. Poco lontano dalla moschea sorge un altro edificio piuttosto malridotto, il complesso dell'imam Khazrati, che visitiamo brevemente anche per non disturbare la preghiera che un gruppo di anziani vi sta tenendo. In pratica il giro è finito, altri monumenti significativi da vedere la guida non li segnala e allora rientriamo infilandoci nel dedalo di straduzze della città vecchia, che il tassista ci aveva accennato di evitare, forse nel timore che ci perdessimo. È giorno di mercato, c'è gente in giro e continuiamo a destare sorpresa: dapprima fotografo le commesse di uno dei tanti negozi di abiti da sposa che non trattengono i risolini e poi delle ragazze dietro a una bancarella di tessuti. Infine un simpatico bimbo che si è bloccato sulla porta di casa: effettuato lo scatto glie lo mostro e lui gradisce, così come la madre che si è affacciata che poi, sorridendo, ci fa un gesto con la mano, come se si stesse pulendo la bocca. Intuisco che è un invito a pranzo ed entro, più per la curiosità che per la fame, ovviamente. Ci fanno accomodare a tavola, all'ombra del cortile interno, e nel giro di pochi minuti ci portano un gigantesco piatto di plov, riso saltato, in questo caso condito con carne di montone e carote che i bimbi della casa, a tavola con noi, affrontano con gusto. Mangiamo qualche boccone per cortesia, scattiamo qualche foto alla simpatica famigliola che, nel frattempo, si è radunata nel cortile uscendo dalle varie porte ma la conversazione, dovendo basarsi sul nostro risicato russo parlato, ha breve durata. Li salutiamo e i reciproci sorrisi sono la cosa più eloquente che riusciamo a comunicarci.

Siamo quasi arrivati al parcheggio ma prima di svegliare il tassista che sornacchia, un signore anziano ci ferma e sorridendoci ci rivolge la parola. Non capiamo ma presumendo che voglia sapere da dove veniamo rispondo con un "Italy", lui pare apprezzare e allarga ancora di più il sorriso: snocciola un convinto "Toto Cutugno" e qualche nome di calciatore. Poi gli argomenti terminano e non sapendo come comunicarmi il piacere del breve scambio di battute mi abbraccia calorosamente, tra le nostre risate. Sono proprio simpatici questi uzbeki. Rientrati al b&b, come sapevamo di dover fare, ci spostiamo in una stanza che dà sul cortile dell'abitazione principale. Non c'è la terrazza ma è pure più bella, con pareti ricche di nicchie e uno spettacolare soffitto dipinto.

Ci rimane ancora qualche ora di luce che sfruttiamo per andare a cercare una vecchia sinagoga nella parte vecchia della città, il quartiere dove preferiamo bighellonare. La sinagoga è quasi indistinguibile dalle case dei dintorni, solo una grondaia con il disegno di una menorah (candelabro a sette braccia) ce ne rivela la presenza. Pare abbandonata ma poi salta fuori un ometto che ci fa accedere e ci mostra, dietro richiesta di una piccola donazione, l'interno del luogo sacro. Continuiamo a vagare per le stradine sterrate e incontriamo una bella moschea, con le colonne dell'aivan dipinte di verde, davanti alla quale degli uomini giocano a backgammon. La mia compagna non viene perché teme che le donne non siano ben accette e allora entro io e scambio un paio di battute mentre fotografo. Poi torno da lei che ha fatto comunella con un gruppetto di signori e bimbi molto cordiali che ci invitano a sederci sulla loro panca e coi quali si reitera l'ennesimo tentativo di comunicazione attraverso le poche paroli comuni: i nomi degli italiani famosi. Siamo seduti, non c'è fretta, la platea è leggermente più numerosa e incuriosita del solito e quindi viene stabilito il record di nomi italiani pronunciati: Toto Cutugno, Adriano Celentano, Eros Ramazzotti, Berlusconi, Roberto Baggio, Cannavaro, Spalletti (che in questo momento allena lo Zenit di S. Pietroburgo). Poi si passa ai calciatori dell'ex-blocco sovietico che hanno giocato in Italia come Shevchenko e Kaladze, chiudo io in bellezza citando Zavarov, destando l'ammirazione di quello che sembrava il più preparato nella materia.

Rientrando ci imbattiamo nella fascinosa vecchia moschea di Koroboy Oksokol e proseguendo a piedi verso la guest house attraversiamo la zona nuova di zecca fatta costruire dalla solita figlia del presidente, piena di moderni negozi con grandi vetrate e articoli costosi in bella mostra, marciapiedi larghi, verde ben tenuto e unita al Registan da una specie di comodo trenino elettrico. Ma noi continuiamo a preferire le sgarrupate stradine della città vecchia, con i muri di fango essiccato misto a paglia e i tubi del gas che costeggiano i muri esterni delle case come fossero dei fili elettrici e che si alzano in corrispondenza degli incroci per lasciare passare i mezzi.

 

 

VI. UN GELATO COME PREMIO
Partiamo alla volta di Bukhara, terzo sito UNESCO da visitare, su un taxi guidato da un silenzioso tassista: 260 di km di strada in buono stato per quasi 4 ore di viaggio, durante i quali l'unica sosta è quella che facciamo, quando ormai siamo alle porte della destinazione, presso un antico caravanserraglio e la sua cisterna.

Pernottiamo per 3 notti presso un'altra stupenda guest house, una sistemazione che in sede di prenotazione avevo preferito ad altre più consigliate dalla guida, oltre che per motivi architettonici, anche perché il proprietario ha un'agenzia viaggi.

La guida è già prenotata da prima della partenza e ci accompagnerà dal giorno seguente: abbiamo quindi mezza giornata per gironzolare per i fatti nostri. Bukhara però è a 220 msl e la differenza di temperatura con Samarkanda (che è a 710 msl) si avverte: non abbiamo un termometro a portata di mano ma non credo di sbagliarmi di molto nel dire che siamo vicini ai 40°. La città è costellata di edifici storici, ben 140, in gran parte non più adibiti alle funzioni originali e spesso trasformati in negozi all'interno dei quali è possibile sostare per rinfrescarsi all'interno delle alte cupole dove il caldo ascende. Bukhara pullula di negozi di souvenir dozzinali ma vi sono anche diversi con vere antichità e piccoli capolavori e curiosare in giro è un vero divertimento. Il sole però non concede tregua e dopo aver a lungo gironzolato troviamo ristoro presso la chaikana (sala da tè) Bolo Hauz le cui torte non sono niente di speciale ma il fresco e la comodità offerta dai tapchan (tipica piattaforma rialzata con basso tavolino centrale e spalliere dove gustarsi la bevanda nazionale) sono un vero toccasana per le nostre stanche membra. Rifocillati e andando incontro a temperature meno torride, decidiamo di ripetere quanto fatto a Samarkanda, dedicando il tardo pomeriggio a visitare quei siti "minori" che l'itinerario classico della guida non prevederà. È così che partiamo alla ricerca della nascosta ma originale moschea di Chor Minor (che significa "quattro minareti") dalle influenze indiane, tanto per cambiare nascosta tra i vicoli della città vecchia: un percorso che ci fa anche trovare il mausoleo di Turki Jandi, che in realtà pare più una moschea disabitata, nella quale mi addentro indisturbato.

Ritorniamo verso il b&b per rinfrescarci con una doccia e un po' di insana esposizione al getto dell'aria condizionata, poi andiamo a cenare nella caratteristica chaikana Lyabi-Hauz in centro, vicino a un'antica vasca che però non ha l'effetto rinfrescante sulla temperatura che speravo. Al momento del conto il cameriere si limita a dire una cifra ed io, pur senza aver fatto calcoli sulla correttezza o meno della cifra, dico che voglio vedere il conteggio, avendo letto che quando non lo portano spesso c'è la magagna: il cameriere, seccato per la mancanza di fiducia, comincia a snocciolare a voce quello che abbiamo preso ma lo becco in castagna, la Coca Cola che ci addebita non l'avevamo ordinata. Si assenta per chiedere lumi e torna dicendo che si erano sbagliati e che il conto giusto è di 3.000 sums inferiore. Il tutto di nuovo a voce. Sicuramente ci avrà fregato lo stesso ma almeno gli ho reso la vita più difficile.

La cena non è stata esaltante e allora in questi casi mi piace "chiuderla" con un gelato, per dare un contentino al mio palato viziato. C'è un signore con quelle macchine che azionando una leva fanno scendere il gelato che viene raccolto in un cono. A Samarkanda ne avevo preso uno e non era cattivo: il cono più grande costava 800 sums. Chiedo all'omino dei gelati e lui ne vuole 1500 per il cono piccolo. Eh no, stasera ormai sono entrato in modalità "antitruffa" e mi impunto. Provo allora presso un bel negozio di alimentari lì di fronte con un gelato confezionato e mi viene chiesto lo stesso prezzo. Non demordo. Passeggiamo per il centro fino a quando, presso il punto in cui partono i taxi collettivi, trovo un negozietto di alimentari aperto, nonostante l'ora. C'è lo stesso gelato confezionato per il quale poco fa mi hanno chiesto 1500 sums, prezzato 800 sums. Lo compro e me lo lecco trionfante.

Vicolo

VII. CENA CON VISTA
Colazione in una spettacolare stanza cesellata di nicchie di tutte le fogge e anche qui squisite marmellate fresche e altre golosità di questa terra che regala frutta e verdure deliziose, oltre a uova, affettati e altre più palesi concessioni ai gusti occidentali. La guida è puntuale e cominciamo il giro dei tanti siti storici della città, nonostante qualche problema di stomaco (lo so quello che state pensando, ma non può essere colpa del gelato!) mi infiacchisca non poco.

Il giro comincia dal tozzo ma allo stesso tempo raffinato mausoleo Ismail Samani, uno degli edifici più antichi della città essendo stato costruito nel 905. La sua peculiarità consiste nell'elaborata muratura in mattoni terracotta, che a seconda dell'ora ha un aspetto diverso in base a come viene colpito dal sole. Poco distante visitiamo il mausoleo Chashma Ayub e il suo piccolo museo dedicato all'acqua, una risorsa che in un ambiente desertico come questo è sempre stata di importanza capitale. Fino ad un secolo fa Bukhara aveva circa 200 vasche di pietra dove la gente beveva, si lavava e presso la quale spettegolava. L'acqua non veniva mai cambiata e non a caso la città era famosa per le pestilenze: la vita media era superiore di poco ai 30 anni. Poi vennero i sovietici che costrinsero, tra grandi proteste, le autorità locali a chiuderne la maggior parte ma poi le sostituirono costruendo un sistema idrico funzionante.

Tappa successiva presso la moschea di Bolo Hauz, con un aivan strepitoso sorretto da 20 alte colonne magnificamente decorate. Viene detta la moschea delle 40 colonne perché queste si riflettono nell'antistante vasca. Attraversato il parco che contiene la dismessa Torre dell'Acqua (un acquedotto in ferro costruito dai russi nel 1927) si entra nell'Ark, la cittadella regale protetta da imponenti mura abitata dal V secolo fino al 1920, anno in cui venne bombardata dall'Armata Rossa. Al suo interno vi sono una bella moschea del Venerdì e la Corte per le udienze e incoronazioni.

Andiamo poi al Registan (in pratica la "piazza centrale") di Bukhara ai cui lati vi sono la madrassa di Mir-i-Arab e la moschea di Kalon, dal caratteristico minareto costruito nel 1127 e alto 47 metri, probabilmente l'edificio più alto dell'Asia Centrale per diversi secoli. Dotata di fondamenta profonde 10 metri che poggiano, come misura antisismica, su canne, risparmiata da Gengis Khan che, colpito dalla sua bellezza, ordinò di non distruggerla, ha resistito senza bisogno di restauri per quasi 9 secoli fino a quando venne colpita dall'artigliera dell'Armata Rossa. La moschea è meno interessante dal punto di vista architettonico ma è molto vasta e in grado di ospitare 10.000 fedeli.

Nell'ora più calda facciamo una sosta in un localino sui tetti dai quali si gode una bella vista del Registan poi riprendiamo a macinare siti: prima la bella madrassa di Ulugh Bek e poi la prospicente madrassa di Abdul Aziz Khan dal portale con colori pastello mai restaurata e ormai adibita in pianta stabile ad una specie di centro commerciale di negozietti. Salutiamo la guida e torniamo al b&b per ricaricare le pile e poi torniamo in giro a goderci la calda luce del tramonto. Ceniamo in un ristorantino sui tetti, da dove si gode uno spettacolare coricarsi del disco solare con il minareto di Kalon in controluce, ma la cena non è all'altezza: fa troppo caldo e la tradizione locale vuole che il pasto più corposo sia quello del pranzo, quindi a cena la scelta dei piatti si riduce drasticamente. Noi invece abbiamo bioritmi opposti: abbuffate mattutine, molti liquidi e cose leggere nel resto del giornata nella speranza di recuperare a cena.

La vista dalla terrazza

 

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