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VIII. MONOSOPRACCIGLI
L'ultimo giorno a Bukhara inizia senza luce causa un black out del quartiere, un po' come il mio stomaco, ancora fuori servizio. La guida ci porta fuori città, al mausoleo di Bakhautdin Naqsbandi, uno dei santuari più frequentati perché dedicato al fondatore del più importante ordine sufi dell'Asia Centrale. È un luogo pieno di gente ma privo di turisti, si percepisce un'atmosfera di autentica devozione. All'interno vi è un delicato aivan e una vasca quadrata. Nel cortile vi è un albero pietrificato, attorno al quale la gente gira in senso antiorario e sopra al quale lascia delle offerte. Le donne in particolare passano sotto al tronco, quasi strisciando a terra, per tre volte nella certezza che questo le renda fertili.
L'altra meta extracittadina è il palazzo estivo di Alim Khan, discendente di Gengis Khan e ultimo emiro in questa parte di mondo, ora trasformato in museo. Costruito in un non sempre gradevole mix fra lo stile locale e quello russo (a 13 anni era stato mandato a studiare a San Pietroburgo), assomma le comodità del mondo moderno, come le stufe, allo stile ridondante della sua terra e alle tradizioni alle quali ha ritenuto, furbamente, di non rinunciare, quali ad esempio l'harem. Di fronte a quest'ultimo, in un edificio separato dal resto del palazzo, si trova una grande vasca per le donne e a fianco un padiglione di legno dal quale, ci narra la guida, soleva gettare una mela alla prescelta per la notte. Ora l'ombroso parco è popolato da numerosi pavoni. Segue la visita alla necropoli di Chor Bakir, un non imperdibile sito dove la temperatura raggiunge il massimo, se si fa eccezione per alcune tombe all'ombra dei gelsi.
Torniamo in centro e il posto che possa offrire più refrigerio ci pare ancora una volta la chaikana accanto alla vasca, approfittandone per cambiare un po' di valuta (3200 sms per 1 euro, nonostante fosse partito sotto ai 3000). Nel tapchan a fianco del nostro c'è un gruppo di signore, col classico tatuaggio sulle sopracciglia, che paiono in gita di piacere. Chiedo se posso scattare qualche foto e le signore annuiscono sorridendo, anzi alcune chiedono espressamente di essere riprese.
Dopo la pausa andiamo a visitare la bella casa del discusso Fayzulla Khojaev, da alcuni considerato uno che aveva venduto la patria ai russi e da altri un idealista che voleva migliorare le condizioni di vita del popolo. Figlio di un ricco commerciante, dopo aver studiato in Russia e aver conosciuto il progresso, volendo ammodernare il suo paese ancora sotto il potere dell'emiro, fondò un partito e chiamò i bolscevichi che poi, deposto Alim Khan, qualche anno più tardi lo insediarono quale Presidente della Repubblica Popolare di Bukhara. Nel 1937 avversò alcune scelte di Stalin, in particolare la decisione di imporre la monocultura basata sul cotone, e questo gli costò un processo e la seguente esecuzione capitale. La casa è in ottimo stato, con i ghanch (stucchi) perfettamente restaurati e stanze piene di nicchie. Non abbiamo potuto esimerci dal sottostare a una vestizione turistica: io con chapan in ikat e turbante, la mia compagna con un paranja e relativo chachvan in crine di cavallo (l'equivalente uzbeko del burqa). Avevo trovato una coppia paranja-chachvan vintage ad un prezzo davvero interessante, ma purtroppo i contanti stavano per finire e non abbiamo trovato modo di ottenere soldi tramite la carta di credito. Ci rifaremo parzialmente con l'acquisto di un paio di belle marionette di cartapesta e qualche cappello tradizionale.
IX. ATTRAVERSATA DEL DESERTO ROSSO
Giornata in larga parte dedicata al trasferimento da Bukhara a Khiva, quarto e ultimo sito UNESCO del paese e così facciamo un bel filotto. Il tassista prenotato tramite il b&b è, per quanto paia impossibile, ancora meno loquace di quelli conosciuti in precedenza: non proferisce verbo alcuno per ore. Nemmeno ci chiede se vogliamo fare una sosta, chessò per mangiare o anche solo per andare in bagno: dopo una brevissima sosta iniziale - durante la quale non ci ha comunicato che sarebbe stata l'unica di tutto il viaggio - risale in macchina e continua ininterrottamente a guidare fino a sera. Le uniche parole le pronuncia ad un posto di blocco della polizia, che gli chiede da dove provengono i due turisti che sta trasportando: il colmo è che sbaglia pure, dicendo Spagna...
Purtroppo ci sono dei lavori nel tratto di strada che attraversa il deserto Kyzylkum (Deserto Rosso) e il tragitto di quasi 470 km diventa un calvario causa il prudentissimo pilota che, attento a non rovinare le sospensioni dell'auto, affronta ogni minimo dosso a velocità da pedone. Morale: invece delle circa sei ore che ci vorrebbero normalmente ce ne mettiamo quasi nove, arrivando a destinazione verso le sei di sera! L'unico punto a favore è che il mezzo è dotato di aria condizionata, anche se viene azionata solo nel momento più caldo (comunque, con i finestrini abbassati si sta bene lo stesso, l'unico problema è doverlo alzare ogni tanto quando si incrocia o sorpassa un camion che alza nuvoloni di polvere). Prezzo 100 dollari, dopo che la guida, alla quale avevo chiesto un preventivo via mail, mi aveva detto che ne aveva trovato uno che ne voleva 150. Lo so che su internet si trova chi ha speso la metà o meno, però abbiamo viaggiato comodi e freschi, senza stare pigiati per nove ore e allora va bene così.
Il Kyzyklum è quanto di più triste si possa immaginare: niente a che fare con le spettacolari dune rosse di Merzouga in Marocco o della Namibia. Solo un piattume giallo/grigio, senza nessuno spunto paesaggistico degno di nota. Ogni tanto si incontrano, non lontano dalla strada, le yurte (o per meglio dire le gher, le tende circolari dei nomadi) e automaticamente ci si pone la classica domanda sul come faccia qualcuno a vivere in un territorio tanto desolato. Giunti finalmente a destinazione, alla modesta ma pulita guest house prenotata dall'Italia ci sta già attendendo Jonibek, guida locale prenotata in precedenza. Gli faccio presente il mio problema di liquidità e mi conduce a uno degli hotel della catena Malika, l'unico in città a disporre di un cash dispenser. Ma il marchingegno non espleta la sua funzione, secondo l'impiegato di turno perché è il 30 del mese e quindi giorno di chiusure. Sa tanto di scusa pietosa, ma ci dice che l'indomani dopo le 14:00 non ci saranno problemi nel ritirare soldi. Salutiamo Jonibek dandogli appuntamento per l'indomani mattina.
Partendo dal nostro alberghetto che è magnificamente posizionato, andiamo in giro per sfruttare il tramonto che si preannuncia bello e ci imbattiamo in una troupe cinematografica che sta girando il videoclip di un giovane gruppo musicale uzbeko, composto di 5 elementi vestiti tutti di nero tranne il cantante di bianco, alternando scene dei giovani che cantano mentre passeggiano a quelle delle ballerine in abiti tradizionali che danzano all'ombra dei monumenti più belli della cittadina. Chiudiamo la serata con un giro sulle possenti mura di argilla che cingono la Ichon-Qala (fortezza), proprio di fronte alla nostra guest house.
Tatuaggio tradizionale che unisce le sopracciglia
X. GIOIELLO FINALE
Ultimo giorno in Uzbekistan dedicato a quello che ci è parso come il sito più bello: la splendida Khiva, un pullulare di moschee, madrasse, mausolei e musei. Scendiamo e non c'è Jonibek ad aspettarci ma Muhammad, un suo amico e socio che lo sostitusce poiché ha problemi di stomaco, probabilmente causati da un cocomero mangiato la sera prima. Beh, se succede a uno di loro, non vedo perché non possa succedere anche a me...
Il centro storico di Khiva è perfettamente conservato, secondo alcuni pure troppo. Tutti gli edifici di maggiore interesse si concentrano all'interno delle mura, la maggior parte di essi disposti lungo Pahlavon Mahmud, la strada che la attraversa da est ad ovest. Oltre ad avere tutti i siti nello spazio di poche centinaia di metri, c'è anche il vantaggio che si paga un biglietto unico all'ingresso nella cittadella, senza dover mettere mano al portafoglio ad ogni piè sospinto come succedeva nelle altre città e, visto che fà un caldo beduino (la guida ci dice che il giorno prima la temperatura era arrivata a 42°), magari si staziona un po' meno sotto il solleone.
Si parte dalla statua di Abu Jofar e il primo sito visitato è un'ex-madrassa che ora è diventata la sede dell'Orient Star Hotel che avevo scartato, per questioni di costi, prima di partire: è bello anche se le stanze, in ossequio alla loro destinazione originale (celle degli studenti), sono piuttosto semplici. A fianco sorge il tozzo minareto Kalta Minor dalla base larga oltre 14 metri ma che non va oltre i 26 metri di altezza, rivestito di piastrelle turchesi che presto diventa il nostro punto di riferimento. Proseguiamo ammirando lo stupendo palazzo di Tosh-Hovli, costituito di più cortili interni dalle meravigliose piastrelle e da mirabili aivan. Dall'esterno non si intuisce tutto questo splendore, è come un gioiello nascosto nascosto a occhi profani. La tappa seguente è alla moschea Juma, costituita da 218 colonne di legno intarsiate, di cui una mezza dozzina sono ancora quelle originali del X secolo. Poi visitiamo la madrassa di Allakuli Khan, quella di Kutlimurodinok e ammiriamo l'alto minareto della madrassa di Islam-Hoja, il più alto d'Uzbekistan con i suoi 57 metri (fondamenta comprese, il punto d'osservazione sulla torre è a 45 metri dal suolo). Molto bello anche il Kuhna Ark, fortezza nella fortezza, residenza dei sovrani di Khiva con delicati aivan e una sala del trono.
Poi la guida ci lascia, non prima di aver fatto chiamare l'hotel e scoprire che, guarda caso, nemmeno oggi funziona il cash dispenser: vedremo di farci bastare le poche decine di euro che ci rimangono, purtroppo non potremo spendere e spandere in acquisti come avremmo voluto, anche se lo spettacolare cappello, tipicamente uzbeko, di pelo di pecora nera riesco a trovarlo a un prezzo stracciato e lo faccio mio. Proseguiamo per conto nostro, ammirando un caravanserraglio, un museo con belle foto d'epoca ed, entrati nella madrassa di Islam-Hoja che prima avevamo visto solo da fuori, il museo di Arti Applicate, con manufatti di ogni tipo ed epoca. Chiudiamo il giro vagando per la parte meno turistica della città vecchia, dove sperimentiamo ancora una volta l'affabilità degli uzbeki. Torniamo in albergo verso le 19:00, dove c'è Jonibek, finalmente ripresosi, che ci accompagna all'aeroporto. L'aereo parte con mezz'ora di ritardo (un cambiamento d'orario avvenuto lo stesso giorno che eravamo partiti dall'Italia e quindi lo abbiamo scoperto solo al rientro), ci riporta a Tashkent e da lì a Riga, dove almeno la carta di credito funziona e possiamo passare le quasi 5 ore di stop over senza patire i morsi della fame come in volo.
Le possenti mura di Khiva