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FOTORACCONTO GHANA APRILE 2023

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VII

Oggi prima giornata del Dipo, il rito di passaggio delle giovani Krobo dalla pubertà all'età adulta, e quindi prodromico al matrimonio. Per essere ammesse alle cerimonie, le ragazze devono essere vergini. Una volta bisognava avere tra i 12 e 18 anni per prendervi parte, ultimamente si vedono bimbe sempre più giovani, non perché ci si sposi prima ma perché i genitori temono che, causa l'indottrinamento cristiano (molto forte da queste parti, è pieno di pubblicità di predicatori e leader spirituali) poi induca le ragazze a rinunciarvi in età maggiore. Quindi si passa da bimbe talmente piccole che la parata in giro per la città la fanno in spalla alla madre ad altre che mi superano in altezza e che sembrano delle donne fatte e finite.

Entriamo nel "Dipo palace" dove si terranno tutte le fasi private del rito e vengo portato al cospetto di un personaggio nei confronti del quale tutti dimostrano grande deferenza. Dopo un po' capisco: è il re dei Krobo. Piuttosto giovane (o giovanile), direi sui 40 abbondanti, ben piazzato, in jeans, ciabatte e gran orologio d'oro. Sembra un tipo sveglio. Meno sveglio invece è la nostra guida Krobo: sembra che si sia dimenticato di portare l'immancabile omaggio per il sovrano, di norma un paio di bottiglie di superalcolici. Il monarca vuole sapere se voglio fare delle foto, se ho intenzione di venderle. Certo che voglio fare delle foto, venderle non so se riuscirò a farlo. Alla fine chiede di mandargliene delle copie e di non fotografare le ragazze quando sono a seno scoperto, cosa non facilissima vista che per parte del rito diverse saranno a seno scoperto, anche se ultimamente - e qui si vede la sempre maggior influenza del cristianesimo - la maggior parte hanno i seni e i fianchi coperti da fasce di cotone bianco. Ogni clan Krobo, qui ad Odumasi ce ne sono sette, svolge i propri riti del Dipo distintamente da quelli degli altri clan. Io sono ammesso a quello del clan del re, quindi il più potente e forse anche il più numeroso, a cui prendono parte ben 81 ragazze.

Dopo un po' le ragazze, tutte coi capelli rasati cortissimi, vengono messe in fila indiana, vestite con una stoffa colorata, i piedi scalzi, una specie di collana di fibra al collo e delle tracce di una sostanza bianca (che dicono essere mirra) su fronte, guance e spalle. Con in testa una calebasse - che tutte tengono con due mani - all'interno delle quali si notano una stoffa rossa e delle fibre vegetali, escono dal cortile del palazzo e, guidate dalle donne più anziane, attraversano le strade della città per recarsi al fiume. Questa storia della "parata" tra le strade si ripeterà, perché uno degli scopi originari di questo rito è di far sapere che le ragazze sono pronte per sposarsi. Arrivati a un certo punto, ormai nei pressi del fiume, mi viene detto di non proseguire oltre, perché al fiume le ragazze evidentemente si spogliano per "purificarsi".

Dopo qualche decina di minuti torna la processione, scatto delle foto e quando, seguendo le ragazze, sto per entrare in un cortile diverso da quello dal quale siamo partiti, mi rendo conto che stavo seguendo il gruppo sbagliato. Sorry. Torna il "mio" gruppo, lo riconosco dalla prima ragazza che in tutte le parate e gli altri momenti sarà sempre in testa alle altre: è un privilegio che si è guadagnata perché è stata la prima a cui è sbocciata una pianta che è stata data a tutte le ragazze. Tornate dal giro, si siedono all'ombra di un tendone montato in mezzo al cortile e vengono rifocillate con alimenti tradizionali, gli unici che possono mangiare durante questi giorni. Le iniziande sono estremamente compite e silenziose, a differenza delle madri e delle altre astanti che cantano e suonano con delle calebasse e danzano eccitate. Alcune ragazze, sospinte dalle madri, si mettono in posa per farsi fotografare a seno scoperto dai fotografi locali che immagino oggi facciano affari d'oro.

La cerimonia osserva una lunga pausa e ne approfittiamo per pranzare con dei succulenti manghi freschissimi. Poi faccio un giro e trovo un campetto da basket dove 6 ragazzi a torso nudo si sfidano in una partitella: sono molto atletici, ma cestisticamente piuttosto grezzi. Chiedo di fare due tiri insieme a loro assieme al driver e, per qualche minuto mostro lampi di un'antica maestrìa, prima di rischiare di avere un infarto sotto l'implacabile solleone africano. È ancora presto per tornate al palazzo e allora ne approfitto per farmi tagliare la barba da un barbiere locale, al misero costo di 5 cedis (circa 0,38€).

Rientrato nella Dipo House, vedo che le ragazze hanno tutte un bastone e a turno viene loro fatto un segno nero sulla fronte, attorno all'attaccatura dei capelli. Poi partono per un'altra parata durante la quale attraversano quartieri diversi da quelli del mattino, entrano anche in alcuni cortili e infine sulla strada principale, dove passano anche le auto. I riti odierni sono terminati e allora, con l'aiuto della poco sveglia guida locale, andiamo a trovare un prete voodoo che abita a qualche decina di chilometri da Odumasi Krobo. Il personaggio in questione ci accoglie con molta cortesia ma anche molta curiosità, fa molte domande e s'informa sul perché siamo interessati al suo operato. Prendiamo accordi per tornare il mattino dopo, verso le 9:00, per non assistere a non so bene cosa.

VIII

Il titolare dell'agenzia locale cha ha organizzato il tour oggi è presente anche lui a Odumasi Krobo con dei clienti del Kuwait, dice che è passato alle 8:30 nel luogo in cui avevamo appuntamento (ma eravamo d'accordo per le 9:00, senza contare il canonico ritardo del "Ghana time") e che non c'era nessuno, quindi ci dice che è meglio andare a visitare la fabbrica di perle di vetro riciclate.

 

Le perle di vetro hanno una lunga tradizione in questa zona del Ghana, prodotte in loco per molti secoli in vari materiali tra cui pietra, osso, legno, gusci di cocco, conchiglie di mare, argilla e ottone. Il contatto con i commercianti di tutto il deserto del Sahara e gli Europei introdotto nuovi materiali per la produzione di perline nell'area e si pensa che le tecniche di produzione delle perle di vetro siano state introdotta dagli europei. Intorno al XVI secolo era notevole la produzione di perle di vetro in diverse parti d'Europa per soddisfare il mercato africano tra cui la Boemia (perle ceche), l'Olanda e l'Italia (perle veneziane). Vennero chiamate "trade beads" in quanto di fatto erano una valuta per l'acquisto di merci nell'Africa occidentale, anche schiavi. Tradizionalmente le perline sono uno status symbol che rappresenta la ricchezza, usate persino dai reali, ma anche rosse di bauxite come simbolo di lutto oppure bianche dopo un parto, oppure introno alla vita dei bambini piccoli. Tuttora vengono indossate dalle donne Krobo, spesso nascoste dai vestiti, quasi come se fosse un capo di lingerie riservato agli occhi del marito. Sempre più popolari presso gli africani della diaspora. La produzione e l'uso di perline commerciali sono molto importanti nella cultura del popolo Krobo - in pratica, le perline delle iniziande Krobo rappresentano la ricchezza della ragazza, come se fosse una vera e propria dote, soprattutto le pregiate perline antiche - al punto di dare vita a una propria produzione, principalmente con vetri rotti. Nella vetreria visitata, c'erano centinaia di bottiglie usate, grazie a un accordo con l'ambasciata americana di Accra (dove evidentemente, tra acqua e alcolici, pare non si facciano mancare nulla), pronte per essere riciclate. Il vetro viene ridotto in piccoli pezzi oppure in polvere, in modo da poter creare le combinazioni di colore desiderate, poi messe in piccoli stampi e messe in un piccolo forno dove, una volta raggiunta la temperatura desiderata, vengono ulteriormente modellate. Eventualmente possono essere dipinte e sottoposte ad una seconda cottura. Procedimento interessante, simpatica la collana (nelle foto seguenti) fatta di perle trasparenti provenienti da bottiglie di Coca Cola e verdi da bottiglie di birra.

In seguito, visto che al Dipo Palace ci consentono di andare solo nel pomeriggio (secondo quanto mi risulta, stamattina dovrebbe esserci il rituale durante il quale alle ragazze vengono lavati i piedi col sangue di una capra offerta in sacrificio dalla famiglia e, siccome le cerimonie del Dipo sono contestate da alcuni attivisti - per via del fatto che le ragazze devono sfilare per la città mezze nude - probabilmente non vogliono fare assistere agli stranieri a questa parte del rituale che solleva altrettante critiche), ci rechiamo dal prete voodoo. Lui non c'è, è in viaggio non si sa dove, però ci sono dei ragazzi e qualche adulto che suonano le percussioni e danzano. Ma non sembrano essere venuti apposta, sembra che vivano lì, ogni tanto qualcuno spunta da una porta e si aggiunge al gruppo. Non saprò mai se avrei potuto assistere a una cerimonia voodoo vera e propria o se l'accordo preso prevedeva di vedere queste danze (belle sì, ma niente di particolarmente nuovo).

Comunque, voodoo o meno, m'inquieta l'onnipresenza di personaggi religiosi sui cartelloni pubblicitari, alcuni veramente enormi e palesemente realizzati da pubblicitari professionisti, in cui vengono spesso rappresentati come fossero stelle del cinema (e infatti, agli inizi, pensavo fossero personaggi televisivi) quando non addirittura come dei supereroi. Campagne pubblicitarie che sicuramente costano dei bei soldi, quelli che evidentemente si possono raggranellare copiosamente con questa "professione". Non sostengo che siamo ai livelli di quanto successo a Shakaola in Kenya, ma è indubbio che in Ghana la religione sia anche un grosso business. Ovviamente in origine qui si praticavano religioni animiste ma i colonizzatoti europei (ricordiamoci che i primi a giungere in questa regione furono i Portoghesi, da sempre più invasivi col proselitismo religioso dei più prosaici Inglesi e Olandesi) imposero il Cristianesimo, dando luogo a particolari forme di sincretismo. Oggi oltre il 70% della popolazione si professa cristiana, anche se spesso non ha mai rinunciato a credere al pantheon delle divinità africane. È in questo humus che prosperano tali personaggi che si autoproclamano pastori o reverendi ma anche vescovi e arcivescovi, alcuni persino profeti o apostoli. Quasi sempre (ma non esclusivamente) sono uomini, ben vestiti e istruiti, ovviamente dotati di buone capacità oratorie, i più bravi decisamente ricchi, come svela questo articolo (in inglese). Ovviamente non ho potuto assistere a una di queste riunioni, che più che nelle chiese si tengono in centri congressi (alcuni di proprietà dei predicatori, capaci di contenere fino 10.000 fedeli), a volte con più speaker che si susseguono - un po' come nei megaconcerti rock -, perché bisogna essere dei fedeli accreditati. Da quel che leggo, i predicatori parlano per ore, ma quasi sempre i loro discorsi sono accompagnati o intervallati da musica dal vivo (generalmente gospel ma anche pop e reggae) e i fedeli ballano. Ci si può fare un'idea di come siano questi eventi attraverso video che si trovano su youtube (questi predicatori usano abbondantemente i social e gestiscono canali streaming, quando non addirittura canali televisivi veri e propri, e milioni di follower): List of Top 10 influential Pastors in Ghana 2022 e, tra i miei preferiti, Ghana preachers performs Bob Marley. Buona visione.

Un'altra cosa che rivela la forte religiosità dei Ghaniani, è la diffusissima pratica di dare al proprio business un nome di stampo confessionale, del tipo "Ditta Gesù è la mia forza" oppure "Surgelati Dio è Grande". Ne vedete qualcuno tra le foto che seguono.
La giornata si chiude con la fase finale del Dipo. Quando arrivo io le ragazze sono già agghindate con l'abbigliamento tradizionale composto da strisce di stoffa bianca su seni e vita, strisce di rafia su braccia e schiena, pesanti collane di perle di vetro intorno ai fianchi, mirra sulle spalle e segni bianchi su fronte e braccia. Se fossi arrivato prima avrei potuto vedere le ragazze mentre si vestivano ma non avrei potuto fotografarle perché il re non vuole che vengano riprese coi seni scoperti. Anzi no, in un angolo alcune ragazze a seno nudo si stanno purificando usando l'acqua di una calebasse con delle foglie e sono proprio le madri che mi invitano a scattare le foto di questo momento per loro importante. È il momento migliore per fare delle foto perché le ragazze hanno i vestiti del giorno finale ma non è facile fare delle buone fotografie in questo contesto, in un cortile dove ci sono centinaia di persone che vanno e vengono in continuazione. Dopo un sopralluogo e aver ottenuto il permesso da un anziano che dorme nella stanza accanto, trovo una stanza laterale un po' buia ma dove c'è un muro azzurro pieno di scarabocchi che mi sembra possa essere uno sfondo adatto. Dico al driver di convocare qualche ragazza per le foto e dopo un po' cominciano a presentarsene diverse, spesso sospinte dalle madri. Per una decina di minuti tutto fila alla perfezione, i soggetti si lasciano fotografare con calma ma all'improvviso scoppia un acquazzone e la stanza viene invasa da chi cerca riparo dalla pioggia. Addio foto in tranquillità. Nel frattempo, alle ragazze è stata messa una foglia in bocca e dovranno tenerla così per ore.

Smette di piovere e le ragazze devono superare un'ultima prova. S'incamminano, in processione a piedi nudi e con ancora la foglia in bocca, nelle strade spesso fangose, verso una roccia sacra ai margini della città, fermandosi nei pressi di un canna di bambù sotto la quale devono passare. Mi becco una lavata di testa da un anziano perché supero quel limite, ma nessuno mi aveva avvisato di non farlo. Le ragazze spariscono alla vista di tutti per affrontare la prova decisiva di tutto il cerimoniale: dovranno sedersi per tre volte sopra una pietra sacra, cosa che non riuscirebbero fare se non più vergini o se hanno abortito. Non superare questa prova sarebbe una vergogna insostenibile, la ragazza ma anche l'uomo che l'ha spinta a infrangere questo tabù sarebbero cacciati dal villaggio oppure dovrebbero affrontare impegnativi riti di purificazione. Ovviamente è anche un metodo per controllare la moralità dei giovani e impedire delle maternità precoci e indesiderate. Dopo questa prova, scoppia la felicità: le ragazze, tra urla di gioia e anziani che sparano in aria con fucili di epoca poco successiva al Medio Evo, vengono caricate in spalla dalle madri (le più grandicelle anche da uomini) che si dirigono di corsa verso la Dipo House.

Si torna tutti al Dipo Palace, alcune ragazze l'hanno fatto con le proprie gambe, che significa che non c'è nessuno che si prende cura di loro. Si siedono su delle stuoie ancora con la foglia in bocca, e pertanto non possono parlare. A tutte viene consegnato un cappello di paglia cilindrico poi, dopo non so quale rito di un anziano, possono togliersi la foglia e finalmente bere e rifocillarsi. Le più grandi di età (quelle che hanno avuto le prime mestruazioni) vengono adunate in una sala e, chiamate una ad una da un anziano, ricevono in dono da una delle regine, due pacchetti di assorbenti femminili. Nel frattempo le più giovani abbozzano qualche passo di danza ma sembra farlo solo perché spinte dalle genitrici. Si fa tardi, la luce comincia a essere troppo poca e rientro in albergo, stanco ma felice per lo stupendo spettacolo a cui mi è stato concesso di assistere.

In realtà l'intero rituale del Dipo è ben lungi dall'essere terminato. Secondo la tradizione, dopo la giornata odierna le iniziande vengono ospitate per una settimana durante la quale vengono loro trasmessi insegnamenti su come cucinare, sui lavori di casa, su come allevare i figli, sulla seduzione e sul sesso. Imparano la danza Klama, che eseguiranno l'ultimo giorno del rito, al termine della quale le cerimonie saranno terminate, ringrazieranno tutti i parenti che le hanno aiutate in questa prova e riceveranno dei regali. Nel 1872 il rito del Dipo, che prevedeva che le ragazze trascorressero tre anni sul Monte Krobo (luogo ancestrale a cui i Krobo ritengono di appartenere), era stato ufficialmente vietato ed è stato di nuovo autorizzato in seguito solo dopo che è stato riformato nel rito attuale che viene svolto in 7 giorni.

ix

La prima parte della giornata è di trasferimento al nord, con volo interno che mi porta a Tamale. All'uscita del basico aeroporto, mi preleva il driver locale e ci dirigiamo ancora più a nord, verso Karimenga, a qualche decina di chilometri dal confine con l'attualmente problematico Burkina Faso. Prima di arrivare a destinazione, facciamo una sosta per visitare lo stupendo palazzo di fango di Wulugu, che molti chiamano erroneamente "la moschea di fango di Zayaa". In realtà era l'abitazione privata di Sheik Abdul-Karim, un sant'uomo di etnia Mossi, proveniente dalla città di Bawku, che sognò di dover costruire un palazzo con una forma particolare ma non gli era stato rivelato né quale né dove. Dapprima migrò a Bolgatanga, poi a Pwalugu e infine a Wulugu, dove in sogno gli venne rivelata la forma precisa e che quello era il posto giusto. Il mattino dopo si recò sul punto preciso che gli era stato indicato e vi trovò un pozzo. Secondo la leggenda, ogni mattina trovava l'edificio più alto di quanto lo avesse costruito il giorno precedente, fino al completamento del palazzo. Anche per questo motivo, In seguito sognò che il palazzo doveva essere considerato luogo sacro: infatti, viene tuttora chiesto di accedervi scalzi. Il palazzo di due piani, costruito probabilmente negli anni '50/'60 del secolo scorso direttamente sopra al pozzo da cui si può attingere senza uscire dal palazzo, è un labirinto di 45 stanze, alcune veramente minuscole, con entrate talmente strette che spesso bisogna mettersi di profilo per passare dalle porte. Molti visitatori raccolgono l'acqua dei pozzi (ve ne sono due esterni al palazzo) che viene considerata sacra perché, secondo una credenza, proverrebbe dalla stessa sorgente del pozzo Zamzam della Mecca (cosa piuttosto improbabile visti gli oltre 5.000 km di distanza). La guida locale è un giovane che distogliamo dalle preghiere nella moschea di fronte: molto spigliato e sicuro di sé, si dichiara seguace di una forma di sufismo (la pratica ascetico-religiosa islamica tendente all’unione mistica con la divinità) locale ed è molto ligio alla preghiera quotidiana al punto che porta con sé un breviario che recita ad alta voce tra la spiegazione di un dettaglio architettonico dell'edificio e l'altro.

Pernottamento in un eco lodge (molto eco, poco lodge), dove prepararsi la doccia significa riempire un secchio di acqua da tirarsi addosso, prima di andare a dormire sotto una zanzariera con parecchi larghi buchi. Ovviamente, niente wifi, quindi sfrutto un telefonino di scorta che, opportunamente dotato di sim card locale, mi fa da hot spot.

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Giornata piuttosto impegnativa anche perché, con la stagione delle piogge agli inizi, la temperatura si aggira sui 40° all'ombra. Primo stop, dopo ore di strada, è presso le Tongo Hills, una zona di una ventina di chilometri quadrati ricca di formazioni rocciose di granito che spiccano in una zona di piatta savana, da secoli ritenuto un luogo sacro dai Tallensi, una popolazione poligamica che adora i coccodrilli. In uno anfratto tra queste rocce (vedi foto) c'era l'antica scuola. Prima di accedere alla collina sacra che ospita il santuario più importante devo passare nel villaggio di Tengzug che è, a dir poco, spettacolare. L'architettura labirintica trasforma ogni angolo in uno scorcio inaspettato, le "piazzette" ospitano altari voodoo (in pratica ogni adulto ha il suo), sui quali sono evidenti gli indizi dei sacrifici e delle offerte quotidiane (in linea di massima di pennuti) e tra un compound e l'altro si dipanano stretti sentieri, sinuosi come le forme architettoniche delle case a cui girano attorno. Una simbiosi tra spazi fisici e sociali che hanno fatto inserire Tengzug tra i luoghi candidati a far parte dei siti patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. Come non bastasse, il capo villaggio (che purtroppo non è presente, avrei voluto stringergli la mano con ammirazione) vanta attualmente ben 305 mogli. Dopo aver ottenuto l'autorizzazione anche dal prete voodoo più alto in grado, posso ascendere all'altare (in realtà una grossa fenditura nella roccia) in cima alla collina, scalzo e a torso nudo. Anche le donne, turiste comprese, devono attenersi a questa regola. È assolutamente vietato fotografare l'altare ma posso testimoniare che è un ammasso informe di piume di galline, cordicelle (con le quali sono state portate fin delle capre o delle pecore da sacrificare) e altre sostanze, tra cui soprattutto sangue animale, perché ogni richiesta di aiuto o protezione va accompagnata da un sacrificio. In una delle foto che seguono c'è la grotta con i teschi degli asini sacrificati.

La giornata prosegue con la visita al villaggio di Sirigu, abitato dai Frafra., dove un'intraprendente donna locale ha fondato la SWOPA, una cooperativa femminile che produce vasellame, cesteria e decora le case con disegni tradizionali. Certo, non è come lo stupendo villaggio di Tiebelé abitato dai Gurunsi, (anche se ho la sensazione che sia un malcelato tentativo di imitarlo), che è veramente a un tiro di schioppo da qui, circa 20 km in linea d'aria, appena oltre il confine col travagliatissimo Burkina Faso.

 

Sulla via del ritorno, facciamo una sosta presso delle signore che tessono su telai artigianali e poi la solita pausa rinfrescante a base di frutta tropicale, sono comunque in orario per rientrare a Karimenga e fare un "farming tour" con la famiglia che gestisce l'eco lodge ma Giove Pluvio fa partire i primi goccioloni di un acquazzone, che poi invece tarda a scatenarsi cosa che invece mi auguravo nella speranza che abbassasse la temperatura rovente attuale, e quindi lasciamo perdere.

xi

Sveglia di buon'ora per essere a Gambaga all'orario giusto. Gambaga è una cittadina che ospita al suo interno uno degli ultimi "villaggi delle streghe" del nord del Ghana. Qui vengono accolte le persone accusate di aver operato dei malefici contro qualcuno causandone la sfortuna, la malattia o una morte misteriosa. Le persone accusate di questo atto rischiano di essere linciate e si rifugiano qui dopo che il capo villaggio di Gambaga e/o il suo prete hanno effettuato i sortilegi del caso. La maggior parte (94 su attuali 98 ospiti) sono donne, non perché gli uomini non vengano accusati di stregoneria ma perché per quest'ultimi non è difficile ricominciare una nuova vita dove non si è conosciuti (i 4 uomini presenti sono troppo vecchi per essere autosufficienti) mentre per una donna, immancabilmente anche madre di una prole che la segue ovunque, è impossibile nascondere i motivi della sua condizione. Le presenti si dividono in base all'etnia (ben 7), ognuna con una propria leader. Ultimamente, grazie al lavoro di mediazione svolto da una ONG locale, molte vengono "perdonate" e rientrano al loro villaggio di origine, ma alcune sono nel villaggio da molti decenni, una addirittura da 37 anni, spesso con figli cresciuti qua.

Mi racconta la sua storia una donna di 80 e passa anni, qui da 31 (vedi foto). Era la prima moglie di un uomo da cui aveva avuto un figlio, mentre la seconda moglie ne aveva avuti 7. Poco dopo la morte del marito, uno dei figli della seconda moglie morì in maniera apparentemente inspiegabile e la madre accusò la prima moglie dell'evento. Lei negò tutto, dovette anche fuggire presso la casa dei suoi genitori ma, per sfuggire al linciaggio, riparò definitivamente a Gambaga. Scatenare un'accusa del genere pare piuttosto semplice, basta che due o tre persone sostengano di sospettare di stregoneria o anche solo di aver fatto un sogno in tal senso che vengono considerati argomenti sufficienti. A volte sono gli stessi familiari a proferire le accuse, altre volte le donne si autoconvincono di quanto gli viene incolpato. Storie che paiono incredibili in pieno XXI secolo.

Rientrando verso Tamale in anticipo rispetto a quanto preventivato (le "streghe" ci hanno accolto subito perché poi essendo coinvolte in progetti produttivi non ci avrebbero potuto ricevere più tardi), il driver nota una serie di capanne non di fango come tutte le altre ma con le pareti esterne di erbe intrecciate. È un accampamento di Fulani (detti anche Peul), un popolo di pastori di norma seminomadici (questi sono stanziali) provenienti dal Mali/Burkina Faso in cerca di terre più ricche di pascoli. In effetti qui, per quanto meno rispetto alla zona costiera, il verde non manca e il bestiame viene spostato saltuariamente tra questo accampamento e un altro, a cui capo c'è il fratello di quello che comanda questo, a circa una decina di km. Somaticamente piuttosto diversi dagli altri popoli del nord del Ghana: alti, magri, volti più allungati, le donne hanno tatuaggi facciali e scarificazioni sugli zigomi. Si alimentano del latte delle vacche che macellano solo in casi particolari o di necessita, essendo il numero dei capi in possesso la misura della ricchezza di un Fulani.
Nel pomeriggio visito un paio di compounds di un villaggio Dagomba, l'etnia dominante nel nord del Ghana. È un popolo di allevatori (prodotti principali yam e mais) collegato coi Mossi del Burkina Faso, in passato fondatori di un potente impero. I loro villaggi sono costituiti da "compounds" abitati da un nucleo familiare (a volte anche allargato) che si sviluppano con stanze (quadrate per gli uomini e rotonde per le donne) attorno a uno spiazzo centrale, il tutto racchiuso da alte mura di fango, in modo da sembrare tante mini-fortezze su cui svettano i tetti conici di paglia. Al bisogno, si possono aggiungere stanze al compound, visto che c'è sempre una certa distanza dagli altri "cluster di compunds". In uno di questi vi era pure un basso muro per separare i due generi. I Dagomba praticano la poligamia e, stando a quanto mi dice il driver/guida (lui pure un Dagomba), di norma vengono stabiliti dei turni di 3 giorni in cui la donna che passa la notte col marito è la stessa che gli prepara i pasti.
La giornata si chiude in maniera decisamente inaspettata. Avendo tempo a disposizione, dopo aver trovato il settimo campetto da basket, vado alla ricerca del Savanna Center for Contemporary Art (SCCA), di cui mi era giunta voce da un'amica su Facebook. Ammetto che non era in cima alla lista dei miei interessi e quando ho trovato il centro espositivo in fase di smantellamento non ero disperato ma quando il giovane (direttore?) dei lavori mi ha invitato a visitare il magazzino/stabilimento Red Clay (in aperta campagna) sono rimasto letteralmente a bocca aperta di fronte a quanto vi ho trovato: sculture gigantesche, spazi espositivi grandiosi degni di una capitale europea, carcasse di aerei civili (una usata per corsi di informatica) e di antichi vagoni (e ferrovie) tedesche, incredibili raccolte di pezzi di storia del Ghana e non solo. Tutta opera di Ibrahim Mahama, giovane ma affermato artista contemporaneo, già protagonista alla Biennale di Venezia e altri prestigiosi contesti. Un posto che sarebbe incredibile ovunque, nella remota Tamale appare letteralmente surreale.
xii

Oggi finalmente ammiro dal vivo la moschea di fango di Larabanga, per me uno di quei luoghi "mistici" che da anni è entrato nel mio immaginario. La moschea - nel caratteristico stile detto "del Sahel" - è stata fondata attorno al 1421 e ospita un Corano di poco successivo, cosa che la rende uno dei luoghi sacri dell'Islam, al punto che un pellegrinaggio qui può sostituire, per chi non ha i mezzi economici, quello canonico alla Mecca. Come succede spesso nei luoghi considerati sacri, qui è tutto un pullulare di leggende: c'è la leggenda secondo la quale il luogo dove erigere l'edificio religioso sia stato deciso dal punto in cui cadde una lancia; c'è quella secondo la quale sopra alla sepoltura dell'imam che la fece erigere è cresciuto il baobab accanto alla moschea e una volta all'anno gli abitanti di Larabanga ne raccolgono le foglie e ne fanno un decotto "sacro" che bevono i fedeli: c'è quella secondo la quale una grossa pietra, detta la "pietra mistica", prima della costruzione della moschea, veniva spostata perché dovevano costruire una strada e la mattina dopo se la ritrovavano di nuovo nel posto originario.

Larabanga è un paese di circa 4.000 anime, islamiche al 100%. Nonostante sia veramente remota, è palese il tentativo di voler sfruttare il non troppo florido flusso turistico, al punto che le richieste di donazioni o mance per le foto sono più insistenti che altrove. La cosa che più rattrista è che chiedono soldi per la fondazione di una scuola nonostante quella pubblica esista ma non la frequenta nessuno, nel timore che gli scolari vengano educati con valori non islamici.

Stasera a Tamale la stagione delle piogge decolla sul serio con un violento e prolungato acquazzone che mi limita negli spostamenti serali, per ora confinato nell'alberghetto di proprietà di un simpatico Gallese, che, nonostante l'età apparentemente superiore alla mia, è da poche settimane diventato padre di una splendida bimba mulatta.

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