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I. VARIAZIONE INDOLORE

Cominciamo subito bene. È il 16 aprile e il vulcano islandese dall'inpronunciabile nome di Eyjafjallajökull è arrabbiato, erutta ceneri già da alcuni giorni ma solo da oggi gli aeroporti cominciano a chiudere anche nell'Europa continentale, come la lunga fila per il check in rivela prima ancora che riesca a parlare con un operatore. Viaggiando con la KLM avrei dovuto fare scalo ad Amsterdam e da lì ripartire verso Pechino, peccato solo che dalla capitale olandese si possa atterrare ma non decollare. Alla fine però non pago dazio: vengo dirottato su Francoforte, in pratica accorciando sia il primo volo che il secondo. Morale: arrivo a Pechino un quarto d'ora prima di quanto sarei arrivato coi voli regolari. Mentre attendo a Pechino la cosa che più mi incuriosisce sono gli annunci per i voli diretti a Hohhot, località che mi incuriosisce già solo per il nome che pare uno scherzo. Finalmente atterro a Guilin e conoscono Keith, la guida, un filiforme e spelacchiato stangone, il cui accento neozelandese inizialmente mi risulta assai ostico. Durante il viaggio si dimostrerà davvero in gamba e pure sulla mia stessa lunghezza d'onda su molti argomenti, dal rispetto per le minoranze etniche (è un conoscitore delle loro culture, in particolare dei Naxi che sono quelli che abitano la città dove vive, Lijiang), alla passione per lo sport, la scrittura e la fotografia: non potevo capitare meglio.

 

Cominciamo subito con le marce basse visto che la prima tappa è la visita alla zona super-turistica di Guilin. Oddio, turistica soprattutto per i cinesi, visto che di occidentali se ne vedono davvero pochi, cosa della quale non mi lamento di certo. In realtà Guilin è solo la città principale dell'area, dove c'è l'aeroporto e, con poco meno di un milione di abitanti, da queste parti é considerata quasi un paesello di campagna.

 

Primo trasferimento a Yangshuo, e comincio a rendermi conto di cosa significherà portarmi sulle spalle tutti i giorni i circa 12 kg di zaino sui mezzi locali dove lo spazio è quello che è e la folla non manca mai: girarsi di scatto con lo zaino grosso in spalla significa attentare ogni volta alla vita di una mezza dozzina di locali. Keith invece viaggia leggerissimo, praticamente ha poco più di quello che indossa e giungerà a fine viaggio senza mostrare indumenti diversi da quelli del primo giorno. Eppure non puzza e avendo viaggiato spesso stipato al suo fianco nei bus occasioni per accorgermene ne avevo. Un vero backpacker.Yangshuo è una gradevole e affollata cittadina turistica, di notte tutto un luccichio di luci al neon e piena di ristoranti e negozietti turistici, con ponticelli che scavalcano fiumiciattoli e circondata dal fiume Li che è quasi perennemente circondato dalla nebbia. Giungiamo nel tardo pomeriggio e non c'è tempo per fare molto altro se non gironzolare per Yangshuo quindi sistemo i bagagli nel pulito alberghetto e poi usciamo. Primo pasto e decido di lasciare sempre a Keith, che nonostante la magrezza mangia come un lupo, la scelta del posto e del cibo, così non mi faccio condizionare dal mio relativo amore per i contrasti della cucina cinese e provo dei piatti nuovi. Poi Keith va al suo alberghetto (più economico e quindi più defilato) e io rimango solo a farmi una passeggiata tra la folla, nonostante sia da poco cominciata una fastidiosa, ma per queste latitudini consueta, pioggerella. C'è una pasticceria aperta anche a quell'ora, entro inizialmente per cercare riparo ma poi mi addolcisco la bocca dopo i sapori prepotenti della cena. Mentre sono sotto la soglia e tardo a riprendere la strada per via della pioggia, incredibilmente una signorina con l'ombrello mi rivolge la parola: "Sexy massage?". Ah, ecco, mi pareva strano.

 

Torno all'alberghetto ed effettuo il primo strategico acquisto: un paio di bacchette che si dividono in due e si ripiegano in un piccolo astuccio, che terrò sempre nel taschino visto che, adeguandomi ai ritmi di un ormai completamente "cinesizzato" Keith, si mangerà a tutte le ore e in tutti i posti, dalla strada alle stazioni dei bus, come dei veri cinesi. Un'accortezza che mi consente di non dovermi preoccupare dell'igiene delle posate visto che in Cina, a differenza del Giappone, non sono mai monouso ma lavate alla meno peggio (avendo visto come le lavano, so di cosa parlo).

 

Le cime svettano alle spalle delle case

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