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APPUNTI DI VIAGGIO IN PERÙ, ottobre 2009

 

 

PREPARATIVI
"In Africa no perché non voglio fare le vaccinazioni e l'Asia non mi ispira" dice la mia compagna in sede di scelta della destinazione. Tenuto conto che in Australia ci siamo già stati entrambi e che l'Europa ormai ci va un po' stretta, non è che le alternative siano poi infinite... Rimane quindi solo il Sud America, che ai miei occhi non ha il fascino di Africa e Asia, ma il Perù ci pare comunque una buona scelta giusta per quantità di cose da vedere. Il tempo a disposizione è sempre il solito, la seconda metà di ottobre. Il paese è grandicello, i siti archeologici e naturalistici sono variamente distribuiti e quindi bisogna effettuare delle scelte: ci concentriamo sul cosiddetto Gringo Trail, l'itinerario più tradizionale che da Lima giunge a Cuzco, includendo Machu Picchu e il Lago Titicaca. Ci sarebbero siti archeologici interessanti, e in generale aree meno turisticizzate, nel nord del paese, così come mi piacerebbe fare qualche giorno nella zona di foresta amazzonica del parco Manu ma non c'è tempo a sufficienza per tutto. Provo ad informarmi per un fly&drive, la modalità che preferisco per avere la massima libertà e flessibilità ma nei diversi racconti di viaggio che ho trovato su internet solo uno ha noleggiato l'auto, peraltro facendo solo il tratto costiero e non quello più impegnativo andino: tutti gli altri hanno usufruito degli autobus. Alla fine anche noi optiamo per questa soluzione, di gran lunga più economica che, in cambio, permette un maggior contatto coi locali. In realtà, il contatto coi locali su questi mezzi è decisamente relativo: i bus che abbiamo preso noi sono quelli più lussuosi e quasi esclusivamente utilizzati da viaggiatori occidentali, che scelgono questo tipo di compagnie non solo per il comfort (e quando si sta in bus per lunghe ore non è che dispiaccia stare comodi) ma anche perché vi è controllo sui bagagli, che nei mezzi popolari sono sempre a rischio furto, come mi hanno raccontato amici che facevano i turni di veglia per monitorare gli zaini. Difatti la consegna dei bagagli alla stazione è proprio in stile aeroporto, con tanto di scontrino utile per il ritiro degli stessi a destinazione.

 

Non volendo far parte di un tour organizzato e vederci sempre le stesse facce attorno, siamo partiti senza nessuna prenotazione ma, una volta giunti sul posto, abbiamo accettato l'offerta di un'agenzia che ci ha contattato nel primo albergo di Lima di organizzarci spostamenti ed escursioni fino ad Arequipa. Del resto, senza un'auto a disposizione, ogni singola escursione va organizzata un po' per tempo sia per non doversi prendere un taxi apposito tutte le volte. Ad Arequipa, dove il bed&breakfast ce lo siamo trovati da soli, abbiamo contattato un'agenzia locale per l'escursione di due giorni al Canyon del Colca e il biglietto per Puno. A Puno abbiamo prenotato la visita alle Isole Uros e all'isola di Taquile, tranne il pernottamente in quest'ultima che può essere fatto solo in loco, e preso un taxi alla stazione degli autobus per visitare Sillustani che altrimenti avremmo dovuto saltare. Il tassista ci ha chiesto se andavamo poi a Cuzco, come di norma è prassi per chi fa la Gringo Trail, e ci ha dato il telefono di un suo amico che ci è venuto a prendere alla stazione degli autobus: abbiamo usufruito dei suoi servigi per i due giorni e mezzo che abbiamo girato per la Valle Sacra - e vista la quantità di siti da visitare non credo che coi mezzi pubblici avremmo potuto vederli tutti anche se questo ha significato qualche sosta di tipo commerciale che si poteva evitare - mentre il giro per Cuzco e l'escursione di due giorni per Machu Picchu l'abbiamo prenotata in un'agenzia locale.Ci sono anche altre possibilità, rispetto al classico tour in bus prenotato da casa o di tratta in tratta come abbiamo fatto noi: ci sono guide - ne avevo trovata una italiana - che in pratica si offrono di accompagnarti come se fossero un viaggiatore come te, con lo zaino in spalla. Ovviamente gli vanno pagati costi e tariffa, ovviamente non c'è da sbattersi in prima persona e si vengono a sapere più cose da uno che conosce il posto ma si perde l'esperienza e la formativa complicazione del fai da te.Come sempre succede in ogni viaggio c'è sempre qualcosa che non va o che, per un motivo o l'altro, non si riesce a fare. Una volta decisa la destinazione e l'itinerario in linea di massima cerco di conoscere quali sono gli eventi interessanti che coincidono col periodo scelto. Oltre all'ormai classico Halloween che coincide con la chiusura del viaggio, avevo individuato due eventi a cui tenevo: la processione del Senor de los Milagros, la più imponente del paese, e la Festa dei Morti che in Sud America è sempre molto sentita e, a suo modo, divertente. Sulla seconda riesco a trovare delle immagini su internet che confermano che è cosa interessante anche a Lima. Allora organizzo il volo di rientro da Cuzco a Lima per 1° novembre, in modo da essere il 2 Novembre nella capitale, godermi l'evento e partire in serata per il ritorno in Italia.Purtroppo solo a Lima ho capito quello che in settimane di organizzazione a tavolino non era stato specificato da nessuna parte: in realtà la festa grossa si tiene il 1° novembre, quello che loro chiamano il Giorno dei Vivi, in contrapposizione con il Giorno dei Morti del giorno seguente. Morale, abbiamo anticipato la partenza dalla Valle Sacra per nulla, meglio sarebbe stato visitare ancora quella zona, dove peraltro questo tipo di evento è più sentito che nella ormai occidentalizzata capitale. Almeno Lima al nostro ritorno aveva appena chiuso la stagione della garùa perenne, regalandoci un ultimo giorno di cazzeggio al sole.

 

LIMA

Capitale del paese sia per tradizione, costruita e voluta capitale dal conquistador Francisco Pizarro, sia per numero di abitanti, visto che da sola ha quasi un terzo degli abitanti dell'intera nazione, è quasi impossibile arrivare in Perù senza passarvi, benché non sia fra le cose più belle da vedere. Sorge vicino all'Oceano Pacifico, che guarda all'alto di una costa alta una trentina di metri e alle spalle ha un territorio desertico. La prima cosa che stupisce di questa città è il clima. Ad appena 12° a sud dell'equatore e a livello del mare, uno si aspetterebbe spiaggie caraibiche percorse da donzelle in bikini, come succede in Brasile alla stessa latitudine. Invece la gelida corrente di Humboldt proveniente da sud mantiene le acque fredde e raffredda l'aria che non riesce a scambiarsi con quella sovrastante più calda. Poi le vicine Ande bloccano le nuvole che nascono da questa situazione che non riescono praticamente mai a trasformarsi in nuvole che possono scaricare pioggia. Morale: piove pochissimo, meno di 10mm all'anno, e l'umidità si scarica sotto forma di pioviggine, la famosa garùa, che rende tutto grigio nei mesi più freddi da aprile a ottobre.Il centro storico è Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. I punti di interesse sono:

- Plaza Mayor, circondata di palazzi in stile coloniale con le belle terrazze chiuse in legno;

- sulla stessa piazza si svolge, davanti al non intimenticabile Palazzo del Governo, l'elaborato cambio della guardia, con cavalli, cavalieri e banda che fanno il giro della piazza;

- sul lato a sinistra del Palazzo del Governo, c'è la Cattedrale di Lima. Eseguita su disegno di Francisco Pizarro, ne contiene la tomba;

- la chiesa del Convento di San Francisco, dalla gialla facciata in stile neoclassico spagnolo;

- il bel palazzo in barocco spagnolo di Torre Tagle;

- i quartieri signorili di Miraflores, ora dominato da un centro commerciale che dà direttamente sul mare e dal quale si possono ammirare i surfers e dei bei tramonti, e di San Isidro;

- il poco raccomandabile quartiere di Gallao, costituito da casupole a coliri pastello che si inerpicano sulle vicine colline;

- il sito archeologico di Huaca Pucllana, costruito in adobe (i mattoni in fango essiccato che tuttora vengono utlizzati dai locali) testimonianza della cultura Lima risalente al 200/700 d.C.

La città è strana, offre begli squarci ma anche quartieri desolati. Una cosa che mi è rimasta impressa sono i tetti. Visti dall'alto sono in pratica dei piani non terminati, come se ci si aspettasse di proseguire la costruzione dei lavori: di fatto diventano degi disordinati sgombrarobe, grigi di polvere, con i ferri del cemento armato che rivelano una tradita aspirazione verso l'alto.

 

LA PROCESSIONE DEL SENOR DE LOS MILAGROS

Quando posso cerco sempre di partecipare alle feste delle culture che visito e rimandiamo la partenza da Lima di un giorno per assistere alla processione del Señor de los Milagros. Si tiene ogni anno, il 18, 19 e 28 ottobre, dedicata all'immagine di Cristo che appare nell'affresco all'interno del Santuario de Las Nazarenas, uno dei pochi muri a sopravvivere ad un disastroso terremoto nel XVII secolo.

La mattina la sveglia suona molto presto, scendiamo dall'albergo senza fare colazione e ci dirigiamo al Santuario. È già pieno di gente per le strade e difatti, al nostro arrivo, la folla già presente non ci permette di avvicinarci a meno di un centinaio di metri dalla chiesa. Esce il baldacchino che trasporta l'immagine sacra ma la folla è troppa, si vede solo in lontananza, tra le braccia alzate dai fedeli. Allora ci allontaniamo, percorriamo strade laterali e torniamo sul percorso della processione più a valle, conquistando un posto vicino a dove dovrà passare. Vediamo da lontano il baldacchino, circondato dal fumo dell'incenso profuso, avvicinarsi molto lentamente e ogni pochi metri fare una pausa per "ascoltare" le preghiere e i canti che gli vengono indirizzati. Sarà a circa duecento metri da noi, in una strada larga almeno una trentina di metri, dove non c'è posto per uno spillo. Altrettanta gente c'è alle spalle del baldacchino, idem alle nostre spalle, anche loro in attesa che passi. Non penso di discostarmi molto dal vero nel presumere di essere circondato da un milione di persone (del resto, Lima ha quasi 10 milioni di abitanti), nonostante non sia riuscito a vedere nemmeno un occidentale. Quando finalmente giunge alla nostra altezza, il vero miracolo è fare le foto, spintonati da fedeli che premono da tutte le parti. La fortuna è che i peruviani sono decisamente bassi e io, pur non essendo uno stangone per gli standard occidentali, dal bordo del marciapiede che separa le due corsie svetto manco fossi un pivot. Appena passato il baldacchino, cerchiamo di allontanarci il prima possibile dalla calca, cosa che ci riesce dopo un quarto d'ora di spintoni tipo quelli che ci si può aspettare pogando sotto al palco di una punk band. La mia compagna ne ha avuto abbastanza e torna in albergo per fare colazione, io ho lo stomaco chiuso dall'eccitazione e le dico che la raggiungerò poi in albergo, volendo provare a fare qualche scatto migliore.

Avevo notato, il giorno prima, i preparativi presso una chiesa sul percorso e ci avevano detto che, se ci fossimo presentati entro 9:00 di mattina, ci avrebbero consentito di vedere la processione dall'interno del cortile della chiesa, che sarebbe poi stato chiuso per evitare l'assalto della folla. La raggiungo in tempo ma i posti buoni sono già stati assegnati e comunque la visione è parzialmente ostacolata da un'alta inferriata. Prendo allora posizione all'esterno, appoggiato alla cancellata sulla quale conto di issarmi al momento opportuno. Non mi resta che attendere, cosa meno noiosa di quanto mi aspettassi visto che devo continuamente difendere la mia postazione da delle vecchiette sfacciatissime, solo apparentemente innocue. Tutto intorno è un ribollire di gente che indossa abiti di colore viola con cordoni bianchi, i colori della processione. Le donne hanno spesso il capo velato e un'immagine del santo appuntata sul vestito. Pian piano il corteo si avvicina, e passando in un tratto di strada molto più stretta, la calca nei suoi pressi raggiunge il parossismo. Ora è giunta davanti alla chiesa e posso vedere meglio quanto prima avevo visto di sfuggita. Davanti al baldacchino, trasportato a braccia da una trentina di uomini che si danno il cambio, ci sono alcune decine di donne, tutte vestite di viola con un velo bianco in testa. Camminano all'indietro, per non dare mai le spalle all'immagine sacra e tengono in mano degli incensieri che spargono il loro forte profumo. Molte hanno anche delle sedie portatili, che aprono durante le lunghe pause che costellano il tragitto. Difatti ora, davanti alla chiesa, la processione sosta per almeno mezz'oretta, fra canti e lunghi discorsi inneggianti al Señor de los Milagros. Tutto intorno alle donne e al baldacchino c'è il servizio d'ordine, costituito da centinaia di uomini in giacca viola e cravatta che reggono un cordone che funge da transenna mobile e che, tra persone che salmodiano con trasporto a occhi chiusi, altoparlanti che diffondono musica sacra a tutto volume, balconi dai quali vengono catapultati coriandoli, cercano di contenere l'entusiasmo della folla facendo scudo col proprio corpo. Nonostante l'equilibrio precario, riesco a scattare qualche bella foto, poi attendo che defluisca la folla, mentre le mie gambe, l'unica parte di me rimasta ad altezza d'uomo perché sono salito sul muretto che è alla base dell’inferriata, vengono continuamente schiacciate contro il metallo: non oso immaginare cosa debba essere stare lì sotto.

 

PARACAS
Cominciamo gli spostamenti in bus, in direzione sud. Prima destinazione Paracas, visto che Pisco, la località dove di norma si pernottava, non si è ancora ripresa dal devastante terremoto di magnitudo 8.0 di due anni prima. Paracas è un sonnolento paese sul mare, che vive di pesca e di turismo. Due sono le cose che attirano qui i turisti:

- le Isole Ballestas, talmente ricche di fauna da essere soprannominate "le piccole Galapagos". Dislocate ad una dozzina di km dal porto di Paracas, necessarie un paio d'ore per raggiungerle, danno ospitalità a foche, otarie, pellicani, cormorani, sule, pinguini e altre varietà di uccelli. Queste isole, prima della diffusione dei fertilizzanti chimici, erano un importante luogo di raccolta del guano, che cresce al ritmo di diversi metri all'anno. E difatti si consiglia di tenere in testa un cappello durante la visita: le goccioline bianche che immancabilmente vi colpiranno non sono di panna... Durante il viaggio c'è modo di ammirare dal mare il geoglifo di circa 180 metri di altezza detto il Candelabro, opera della civiltà Paracas che è esistita in questa terra tra il 750 a.C. e il 100 d.C. Esistono ancora diversi dubbi sul significato di questa imponente opera, che variano da chi la ritiene una specie di indicazione per i naviganti a chi gli attribuisce un simbolismo sacro, con interpretazioni della figura che variano dall'albero della vita al cactus San Pedro dalle prorpietà allucinogene;

- il Parco Naturale di Paracas, nell'onomina penisola, abbastanza desertico ma che offre belli scorci. Vistiamo una laguna dove i pochi fenicotteri sono talmente lontani che quasi non si distinguono; vediamo quel che resta di un faraglione a forma di arco crollato nel terremoto citato, ai piedi di una vertiginosa scogliera; alcune belle spiaggie, in particolare una dalle sabbie rosse; una piccola baia pacifica sulla quale dà un ristorantino dove abbiamo pranzato assieme ad una coppia di tedeschi e nel cui parcheggio girava indisturbato una piccola otaria.Paracas è gradevole, con una bella spiaggetta - dove per balneare ci vuole un bel coraggio visto la temperatura dell'acqua -, negozietti e pellicani ormai abituati ai turisti e che si lasciano avvicinare senza particolari problemi. Sul lungomare ci sono diversi ristorantini dove, ovviamente, il pesce è la specialità della casa.

NAZCA
Che ci crediate o no, non abbiamo incontrato Roberto Giacobbo di Voyager, forse era impegnato nel preparare un servizio sul suchacapras. Scherzi a parte Nazca è un luogo a suo modo imperdibile, non fosse altro per le strampalate leggende che lo circondano sulle linee leggibili solo in volo (ma non è vero, alcune si possono vedere dalle colline) e quindi, secondo certuni, necessariamente fatte dagli extraterrestri. In realtà i geoglifi sono stati tracciati, rimuovendo delle pietre con indubbia abilità tecnica, dalla civiltà Nazca, attiva in questa zona tra il 300 a.C. e il 500 d.C.. Poi l'assenza di pioggia e l'assorbimento di calore da parte delle pietre che alzano aria calda proteggondoli dal vento, hanno fatto sì che queste delicati disegni siano giunti fino a noi praticamente intatti.

I geoglifi più famosi sono i più grandi come "il Pellicano" o "Alcatraz" (lungo 300 m e largo 54 m), "il Colibrì", "la Scimmia" e "il Condor" (130 m per 115 m di larghezza) e i più spettacolari come "il Ragno", "le Mani" e quello cosiddetto "l'Astronauta", in realtà un essere umano la cui testa piuttosto grande ha dato origini alle speculazioni di cui sopra.

Il volo è stato abbastanza una sofferenza, con il pilota che cabra bruscamente per permettere ai passeggerri di entrambi i lati del finestrino di vedere i geoglifi. Noi avevamo preso le pastiglie contro il mal d'aria e, pur non vomitando come le nostre compagne di volo australiane, abbiamo avuto lo stomaco scombussolato per un paio d'ore. benché ci fossimo presentati all'aeroporto di buon ora, purtroppo non abbiamo potuto scegliere di volare la mattina presto, quando la luce è più radente e le linee più distinguibili: a mezzogiorno, col sole a picco, vedere i disegni non è per niente semplice. Quando il pilota indicava dove guardare lo facevo ma non sempre riuscivo a distinguere qualcosa.

 

AREQUIPA
Da qui in poi si entra in territorio andino e le altezze saranno sempre piuttosto considerevoli. Arequipa è la seconda città del Perù, detta "La Ciudad Blanca" per via del sillar, la pietra utilizzata per la costruzione della maggior parte delle belle chiese e palazzi che le hanno meritato il riconoscimento di patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. Costruita ai piedi del vulcano El Misti il cui profilo incombe sulla città, è a 2.300 msl. Pernottiamo presso una specie di bed&breakfast gestito da un'anziana signora, ex-avvocato, che ci dà una dritta molto apprezzata sul mal d'altura cui l'indomani potremmo dover combattere. Arequipa è piacevole, non c'è la nebbia della costa, anzi il cielo è terso e la luce inonda ogni cosa. Visitiamo la Cattedrale all'interno della quale si tiene la messa: è una messa cantata, ma non la solfa che di solito intendiamo con questo termine. Si vede che siamo in Sudamerica, la musica è decisamente popolare e allegrotta e i fedeli letteralmente ballano, con giravolte e passi di danza, con tanto di dame in divisa distribuite all'interno della chiesa a sollecitare i fedeli.

La cosa più interessante da visitare è il Monastero di Santa Catalina: una vasta struttura labirintica con le celle disseminate tra piazzette e stradine. Costruito in sillar, solo nell'800 si capì che i problemi agli occhi delle religiose, molto maggiori che nella media, erano dovuti al fatto di stare in un ambiente sempre troppo luminoso. Da allora le pareti sono tinteggiate con colori meno riflettenti, in particolare l'azzurro e il rosso, dando luogo ad un ambiente a tinte pastello che ricorda, per certi versi, dei paeselli del mediterraneo, non fosse per il profilo del vulcano che si staglia minaccioso all'orizzonte. Una simpatica caratteristica della città sono i taxi: piccoli, gialli e numerosissimi.


CANYON DEL COLCA
Da Arequipa abbiamo un'escursione di due giorni prenotata per visitare il Canyon del Colca, con i suoi 3200 metri di profondità ritenuto il secondo canyon all mondo (il più profondo è il Canyon di Cotahuasi, che dista alcune centinaia di chilometri dal Canyon del Colca ma si trova in una zona molto più remota). Per raggiungere la vallata, ricca di villaggi andini dove i costumi e le tradizioni sono più vive che nelle grandi città, occorre superare un passo a notevole altitudine, e quindi a rischio di mal d'altura. Seguendo il consiglio della vecchietta, ignoriamo i vari rimedi naturali: masticare coca, bere mate di coca, sniffare piante che anche la guida dell'escursione ci propone come rimedio. Il giorno prima ci siamo procurati in farmacia le soroche pills (soroche è il nome del mal d'altura in spagnolo) e, come da sue istruzioni, le assumiamo subito dopo aver sorpassato un cementificio. La mia compagna, per stare dalla parte dei bottoni, compra come quasi tutti delle foglie di coca da masticare, comprata in un negozietto in cui il bus si è fermato appositamente.Durante l'ascesa si attraversa il Parco Nazionale di Salinas, dove si vedono lama, alpaca, le meno frequenti vigogne e i vizcaya (una specie di coniglia selvatico) pascolare nei vasti spazi, con alle spalle l'inquietante cono del vulcano El Misti.

Quando l'altura comincia a mietere vittime, con tanto di gente stesa nel pullman in deliquio, noi non avvertiamo fastidi. Ci dicono che gli alberghi più lussuosi quando vanno a prendere i loro clienti, tengono nel bus una bombola d'ossigeno per ogni evenienza. Si fa una breve sosta nel piazzale del passo, a 4990 msl, il punto più alto di questo viaggio (e anche di tutti quelli fatti in precedenza): anche qua ci sono delle bancarelle ma metà degli occupanti del bus è in sofferenza e si cerca di tenerla breve per consentire ai sofferenti di tornare quanto prima a quote più digeribili.Si scende quindi a Chivay dove pernottiamo in un albergo decisamente nuovo e bello, anche se ovviamente più costoso del solito. Non c'è tempo per fare altro in giornata e quindi dedichiamo il pomeriggio a gironzolare per la gradevole cittadina, animata da un vivace mercato e da un comizio che attira una discreta folla. Il giorno seguente passiamo da Yanque per visitarne la bella chiesa, che è un po' la summa di tutte le chiese andine: tutta bianca, un bel portale, un tozzo campanile, all'interno i ghirigori del barocco spagnolo, elaborati altari e le classiche statue molto espressive, che contrastano con i solitamente compiti personaggi delle nostre chiese. Coglie l'occasione (programmata) un gruppo di ballerini locali che inscena una danza sulla piazza principale: anche in un territorio così terrazzato e apparentemente propizio per l'agricoltura, il turismo costituisce già il vero motore dell'economia locale.

Proseguiamo per la Cruz del Condor, un belvedere su uno dei punti più profondi del canyon dove è più probabile vedere i rari condor in volo. Probabilità in pericolo, visto che è nuvoloso e i condor, troppo pesanti (fino a 18 kg) per sollevarsi grazie al battito d'ali, necessitano che il calore del sole crei le correnti ascensionali che sfruttano per librarsi. Per fortuna poco dopo il nostro arrivo il sole esce da dietro le nuvole e dopo poco si vedono i maestosi rapaci volteggiare, fino a quando non arrivano a sfiorarci le teste, volando a pochissimi metri da noi e dagli altri turisti convenuti numerosi. Sulla via del ritorno ci fermiamo a Pinchollo: anche qui una bella chiesa e le donnine variopinte che tengono lama e alpaca al guinzaglio per strappare una foto.Ritorniamo ad Arequipa e dalla vecchietta. Ne approfittiamo per ripresentarci alla farmacia, visto che le pillole funzionano e, mentre io mi sono acclimatato, la mia compagna se non le prende le viene il mal di testa che è uno dei sintomi del mal d'altura (gli altri sono debolezza, insonnia e anche svenimento nei casi più gravi).

 

 

 

 

La processione del Nuestro Senor de los Milagros, Lima

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