SULLA VIA DELLA SETA
Viaggio in Uzbekistan, giugno 2011
PREPARATIVI
Un viaggio in coppia e meno impegnativo, da un punto di vista organizzativo, di altri. L'Uzbekistan è destinazione decisamente tranquilla ma la gente, sarà perché finisce in -stan come il confinante Afghanistan, spesso pensa che sia un paese in mano ad Al-Qaida. Invece casomai è il contrario: in pratica, dalla caduta del comunismo, nel paese vige la dittatura di Islom Karimov, uno dei tanti "presidenti senza la data di scadenza" che governano a queste latitudini (anche se, accennando il discorso, gli uzbeki non mi sono parsi nutrire astio nei suoi confronti), cosa che lo rende un paese dove le libertà individuali non sono magari molto rispettate ma anche decisamente tranquillo. Dopo i disordini di Andijon del 2005 durante i quali la polizia sparò e uccise 187 dimostranti (circa 1.500 secondo altre fonti), l'Uzbekistan è stato pesantemente accusato di negazione dei diritti umani da parte dell'ONU, capitanati dagli USA. Per ripicca il dittatore ha tolto l'autorizzazione ad usare le sue basi militari alle forze impegnate nel conflitto afghano. Quindi paese in mano ai Talebani? Nemmeno per sogno: per non correre rischi, il despota da allora ha vietato i cinque classici richiami quotidiani alla preghiera dei muezzin e gli imam, nella predica, sono "tenuti a lodare il governo". Comunque l'Islam, forse anche per merito della corrente mistica sufi che l'ha per molto tempo ispirata ma sicuramente anche a causa dell'opera di "affrancamento dalle superstizioni" operata dal regime sovietico, in Uzbekistan non raggiunge il parossismo di altre zone: il paese è decisamente laico, i fedeli dell'Islam si possono definire moderati e nessuno è costretto a portare burqa o a coprirsi il volto o i capelli. Se nella capitale non ci sono problemi per minigonne o tacchi a spillo, anche nelle campagne le donne portano il fazzoletto in testa più per motivi di consuetudine o praticità (d'estate il sole picchia davvero forte), come le nostre nonne contadine, che per dettami religiosi.
In pratica l'itinerario, per il quale abbiamo a disposizione una decina di giorni voli compresi, segue uno dei tratti storici della famosa Via della Seta, strategico crocevia di traffici di ogni tipo, leciti e non. Per una volta faccio un'eccezione rispetto al mio modo di viaggiare: prenoto gli alberghi, cosa che solitamente evito per lasciarmi l'opportunità di cambiare idea in corsa. Però l'itinerario è talmente classico e le possibili deviazioni poco interessanti che questa scelta non ci impedisce chissà quali variazioni dell'ultimo momento. Anzi, prenotare per tempo ci permette di scegliere non gli alberghi più lussuosi, dotati di tutti i comfort ma spesso privi di personalità dove ci scaricherebbe qualsiasi viaggio organizzato, ma fra le più curate guest house e bed&breakfast, nei casi migliori ricavati da vecchie abitazioni di ricchi commercianti, arricchite da colonne finemente intarsiate e con incantevoli cortili interni. Inoltre, il viaggio coincide anche col compleanno della mia compagna e quindi una serie di gradevoli sistemazioni, peraltro non costose, è cosa buona e giusta più che in altre occasioni. Il vero motivo che ci spinge a preferire il viaggio in autonomia è quello di non farci intruppare in grupponi che si muovono in pullman dall'aria condizionata, al seguito del tour leader, che peraltro finiscono col pagare autista e guida anche quando non servono. Ci sposteremo da una città all'altra con i taxi, collettivi o privati a seconda delle situazioni, e una volta arrivati in città ci prenderemo una guida privata, se e quando lo riterremo necessario.
Il volo, con la compagnia lettone della Air Baltic, è abbastanza scomodo ma più economico dei voli diretti dell'Uzbekistan Airways che però sono stati già tutti bloccati da tempo dai tour operator che offrono pacchetti tutto compreso: 560€ che lievitano a 610 con i bagagli, oltre ad un centinaio di 100€ a testa per i visti. Da bravo paese ex-sovietico, l'Uzbekistan mantiene alcune retrograde pastoie burocratiche: è obbligatorio farsi rilasciare una "registration card" in ogni città in cui si pernotti almeno tre notti, e potrebbero chiedere di vederle tutte alla partenza e piantare dei problemi in caso ci siano giornate scoperte. Avevo letto di gente che se dormiva presso dei locali (o alberghi non autorizzati ad accogliere gli stranieri) poi all'albergo successivo chiedeva di aggiungere un giorno in più e che i poliziotti a volte la usavano per estorcere soldi ai turisti, anche se il pernotto era inferiore ai tre giorni e quindi non ci sarebbe l'obbligo. Nessuno ci ha chiesto niente e ogni B&B ci ha sempre fatto la registration card.
Ovviamente, considerato il poco tempo a disposizione, non era possibile non escludere qualcosa. Queste sono le cose più interessanti sulle quali è caduta la nostra "mannaia":
- la Valle di Fergana, la zona più agricola e popolata del paese e quella con la popolazione più legata allo stile di vita suggerito dall'Islam;
- il Lago d'Aral o, per meglio dire, quello che ne rimane visto che Moynaq, che una volta era un porto, adesso è a circa 80km dall'acqua e le vecchie navi, ormai arrugginite e appoggiate sulla sabbia, ne punteggiano i dintorni. Un apocalittico monito di come l'operato sconsiderato dell'uomo (in questo caso per irrigare una monocoltura estensiva basata sull'assetato cotone) possa provocare disastri.
- l'interessante museo Savitsky a Nukus, dedicato ai pittori dell'avanguardia sovietica ignorati, quando non proprio avversati, per decenni e ora meritatamente rivalutati;
- le imponenti, per quanto spesso abbondantemente in rovina, fortezze di argilla del Karakalpakstan.
È stato il viaggio dove più di ogni altro abbiamo incontrato persone che si erano "perse per il mondo": una coppia di svizzeri che erano al quinto mese di un viaggio di nove mesi in bicicletta, una coppia di austriaci che erano allo stesso punto di un viaggio di pari lunghezza a bordo di un Defender Land Rover cabinato, ma soprattutto un'altra coppia svizzera che era "in giro" da oltre 5 anni e aveva già percorso circa 52.000 km in bicicletta. Come voi starete facendo adesso anche noi, smaltita l'invidia, ci siamo detti che c'è gente che ha davvero "visto un bel mondo" (modo di dire romagnolo che sta per "ha una bella fortuna" e che in questo caso calza davvero a pennello)...

I. SCAMPANELLATA
Prenotato il posto macchina presso il parcheggio che ci è parso fare i prezzi migliori, ci siamo fatti portare all'aeroporto e abbiamo preso il volo per Riga. Solo mezz'ora di stop over nella capitale lituana: ci chiedevamo se ci fosse o meno il rischio che non facessero in tempo a caricare i bagagli sul volo per l'Uzbekistan ma, complice un ritardo di un'ora nella partenza del secondo volo, gli operatori hanno avuto tutto il tempo per farlo. Contiamo sui pasti in volo ma scopriamo che la Air Baltic è una compagnia low cost e che questi non sono compresi: tocca mettere mano al portafoglio per non digiunare per tutta la durata del volo, oltre 8 hh scalo compreso.
L'arrivo è ulteriormente scomodo: previsto per l'1:30 di notte, avviene verso le 3:00 e del tassista che ci avrebbe dovuto aspettare col nome scritto su un cartello non c'è nemmeno l'ombra. Cambiamo in fretta e furia un centinaio di euro ad una tariffa molto simile allo svantaggioso cambio ufficiale (2445 sum per un euro - tanta di quella carta che in una tasca non ci sta poiché la banconota più cospicua in circolazione è quella da 1000 sum, pari a circa 30 centesimi), prendiamo un taxi e ci facciamo portare alla guest house prenotata dall'Italia, l'unica sistemazione nella zona vecchia della città, quella in cui ci interessa stare perché nei pressi del bazar. Ci vuole qualche lunga scampanellata per tirare giù dal letto il padrone...
II. TASHKENT
Con poche ore di sonno alle spalle, ci svegliamo per la colazione che si prende nell'immancabile cortile interno che hanno tutte le case uzbeke degne di questo nome: un'oasi di pace all'interno del quale c'è sempre qualche ombroso albero - spesso dei gelsi ridondanti di more che lasciano immancabilmente le loro tracce scure sul suolo - per garantire il preziosissimo riparo dal sole cocente del caldo periodo estivo che è appena iniziato: siamo infatti nel periodo cosiddetto del chilla, i 40 giorni più caldi dell'anno che di norma cadono nella seconda metà di giugno e nel mese di luglio. Il sole picchia, però all'ombra si sta benone, non c'è un filo d'afa.
Tashkent non c'entra niente con le altre città che vedremo. È la capitale e la città più moderna, probabilmente per uno straniero che debba risiedere in Uzbekistan anche la più vivibile e sicuramente quella con più servizi e agi, compresa una serie di gradevoli locali notturni, ma dal punto di vista turistico ha poco da offrire. Una delle cose più belle è il grande mercato, il Chorsu Bazaar, che si tiene sotto e attorno a una struttura con una gigantesca cupola. Nonostante la maggior parte del suolo di questo paese sia desertico e/o tendente al sabbioso, dove si riesce a sfruttare l'acqua dei fiumi che lo attraversano, si coltiva con efficacia e le bancarelle pullulano di frutta e verdure di tutti i tipi: sarà una piacevole costante di tutto il viaggio quella di trovare sempre gustosa frutta fresca, di norma impilata con cura certosina su colorate bancarelle. Il bazar è davvero vasto e vi sono anche reparti dedicati al pane, ai dolci, alle infinite varietà di frutta secca. Uno spettacolo per gli occhi e per il palato.
Usciti dal mercato, nei cui pressi ci sono una serie di negozi artigiani che producono un po' di tutto (a noi rimangono impresse le buffe culle col buco per i "bisognini"), cerchiamo i pochi punti di interesse turistico e sperimentiamo subito le due caratteristiche principali degli uzbeki nell'approccio col turista: poca o nessuna conoscenza dell'inglese e un'estrema cordialità. Difatti le due ragazze a cui abbiamo chiesto informazioni, non potendo spiegarsi più di tanto, ci accompagnano direttamente al mausoleo di Yunus Khan, il nostro primo monumento uzbeko che ci prepara alle grandiose architetture che vedremo in seguito.
Rientrando verso la zona raggiungiamo il centro religioso di Khast Imom, la cui maggiore attrattiva è un gigantesco Corano in pelle di daino che risale al VII secolo e ritenuto il più antico del mondo, portato a Samarkanda dal grande condottiero Tamerlano (il personaggio più famoso nella storia uzbeka), depredato dai Russi nel 1868 e restituito da Lenin nel 1924. Il sole è cocente ma tutti i giardini pubblici sono costellati dagli zampilli degli impianti di irrigazione e quindi, quando proprio se ne avverte il bisogno, c'è sempre qualche spruzzo d'acqua fresca a portata di mano.
III. HAPPY BIRTHDAY!
Svegliatici con calma per recuperare gli arretrati di sonno, ci rechiamo con un taxi, sperimentando ancora quanto poco sia diffuso l'inglese, dove partono i taxi collettivi per Samarkanda. Come scendiamo dall'auto, un tassista ci propone (3h e mezzo di viaggio circa per circa 280 km) una cifra che accettiamo senza trattare. Dopo dieci minuti si trovano anche gli altri due compagni di viaggio e si parte, col tassista che per tutto il viaggio elenca, man mano che gli vengono in mente, i nomi dei calciatori e/o personaggi italiani che conosce, il tutto mentre schiva le buche sulla strada ai 120 km all'ora.
Giungiamo alla guest house prenotata dove la mia compagna viene accolta da un "Happy birthday to you" cantato in coro, mazzo di fiori e cappellino tradizionale in regalo, grazie al fatto che avevo avvisato via mail del compleanno, anche se non mi avevano detto se o cosa avrebbero organizzato. La padrona di casa è molto disponibile ed efficiente, in pratica funge anche da agenzia viaggi e ci elenca subito i suoi servizi. Decidiamo di valercene anche se, specie per i trasporti, andare a trattare di persona coi conducenti ci farebbe probabilmente risparmiare qualcosa. Organizziamo le due giornate seguenti: dapprima la visita alla città, considerata patrimonio dell'umanità dell'UNESCO, con una guida che parla italiano e il giorno seguente, domenica e quindi il giorno migliore, andremo a Urgut dove si tiene uno dei mercati più belli di tutta l'Asia Centrale nonché quello dove si trovano i suzani più belli e a miglior prezzo, sui quali mi sono documentato per tempo. Lunedì ci sposteremo definitivamente a Bukhara ma vi giungeremo via Shahrisabz: un giro assai inconsueto, che ci costicchierà qualcosa in più, ma ci permetterà di attraversare zone davvero poco battute (di solito i visitatori a Shahrisabz ci vanno e tornano in giornata da Samarkanda, dalla quale dista una 90ina di km). Ci rimane pertanto il pomeriggio per visitare quei monumenti che non potremo vedere il giorno seguente per una mera questione di tempo e la signora ci dà le indicazioni su quali vedere e in quale ordine affrontarli.
Visitiamo l'Osservatorio di Ulugh Beg, più famoso come astrologo che come sovrano e inferiore in Uzbekistan per fama al solo Tamerlano, che contiene i resti di un astrolabio di 30 metri. Tutto attorno all'edificio e alla statua del monarca si accalcano una mezza dozzina di coppie di sposi, con l'immancabile seguito di fotografi, cameraman (è cosa seria qua, il matrimonio) e parenti. Le spose, tutte immancabilmente vestite con i luccicanti abiti bianchi che riempiono le vetrine dei tanti negozi specializzati nell'articolo che si vedono in giro, sono poco espansive ma una di loro ha un'espressione a dir poco funerea: probabilmente, come in altri paesi, dimostrare gioia nel giorno in cui ci si separa dalla propria famiglia di nascita non è considerato un comportamento rispettoso.
In seguito visitiamo il museo di Afrosiab il cui massimo reperto è un grande affresco del VII secolo venuto alla luce nel 1965. Poi siamo alla moschea di Hazrat-Hizr (non ricordo la cifra pagata, hanno chiesto un supplemento per salire sul minareto ma non ci siamo andati), dal pregiato aivan, dalla quale si gode una bella vista della città. Di fronte alla moschea, che non dista molto dal bazar, inizia un cimitero che si disloca su una vasta zona di collina. Ne attraversiamo un pezzo e giungiamo allo Shah-i-Zinda, lo spettacolare "viale dei mausolei" che visiteremo con più dovizia il giorno seguente, entrandovi dalla parte opposta dalla quale accedono di norma i visitatori (difatti nessuno ci ha chiesto di esibire il biglietto d'ingresso o di pagare l'immancabile tariffa aggiuntiva per chi ha al collo una macchina fotografica).
Rientriamo al b&b che è nel pieno della città vecchia e a poche centinaia di metri dal Gur-e-Amir, il mausoleo di Tamerlano, benché separato da questo da alte e antiestetiche mura fatte erigere dalla poliedrica Gulnora Karimova, figlia del presidente Karimov nonché ministro del Turismo, ambasciatrice, donna d'affari, stilista e cantante. La cena si tiene presso un altro edificio, una stupenda abitazione signorile bisognosa di restauro, dove ci conduce uno dei ragazzi del b&b che è figlio della proprietaria dell'antica casa che ci viene descritta in ogni dettaglio e con malcelato orgoglio. Appena prima di entrare nel "ristorante" mi fermo per fotografare un gruppetto di bimbi. Nel vedermi in opera, un'anziana, probabilmente la nonna di uno dei pargoli, intima ai bimbi di mettersi in posa, i quali eseguono senza tentennamenti. Effettuati gli scatti, come d'abitudine, mostro ai soggetti il risultato sul display della mia Nikon, e per farlo, essendo dei bimbi, mi abbasso. Immagino che la nonna dica al più paffuto dei monelli di ringraziarmi visto che questo mi dà un bacio sulla fronte, sorprendendomi e un po' anche commovendomi. Durante la squisita cena vegetariana ci fanno compagnia un americano e due coppie di svizzeri.
IV. IL REGISTAN DETURPATO
La guida ci prende in consegna al mattino e ci porta subito allo Shah-i-Zinda, che significa "Tomba del Re Vivente". In realtà è un susseguirsi di mausolei, uno più bello dell'altro, lungo uno stretto asse centrale. L'edificio più delizioso è il mausoleo di Shodi Mulk Oko, dedicato a una sorella e una nipote di Tamerlano, decorato da splendide piastrelle di maiolica talmente ancora perfette da aver necessitato solo in minima parte di quel restauro, a volte fin troppo aggressivo e discutibile, a cui sono stati sottoposti molti monumenti uzbeki.
Spostandoci a piedi attraversiamo il bazar, meno vasto di quello di Tashkent ma non meno fornito di leccornie di ogni foggia e colore, apprezziamo il pane dalla caratteristica forma a ciambella senza buco (una specialità della storica città che ha la stessa età di Roma, circa 2750 anni), ammiriamo le tante varietà di tabacco da fiuto e i più disparati tipi di dolci. Usciti dal bazar siamo di fronte alla maestosa moschea di Bibi-Khanym, un tempo una delle moschee più grandi del mondo. Fatta erigere da Tamerlano sul finire del XIV secolo (anche se la leggenda vuole che a commissionarla sia stata la moglie cinese del condottiero della quale l'architetto si invaghì al punto da rallentare i lavori per continuare a vederla), nel cortile interno dispone di un gigantesco leggìo di pietra sul quale presumibilmente veniva letto il pesante Corano visto a Tashkent.
A seguire visitiamo il deserto mausoleo di Hodja Abdi Darum (nessun pedaggio, non citata sulla Lonely Planet) dal minareto inframezzato da un'inconsueta tettoia. L'interno è piacevole: la vasca ottagonale nella quale si specchia l'antico portale - in restauro - è circondata da giganteschi platani e su un lato vi è la moschea vera e propria, perfettamente curata perché in uso. Di fronte si trova il mausoleo di Ishratkhana (nessun pedaggio), maestoso ancorché in rovina e forse, in futuro, oggetto degli invasivi restauri uzbeki. A noi è piaciuto gustarcelo così com'era, col tetto di lamiera a ripararlo dagli agenti atmosferici e le impalcature all'interno per sostenere i pezzi pericolanti ma ancora trasudante storia da ogni mattone.
Dopo il pranzo in un defilato ristorante per locali ben consigliatoci dalla guida, visitiamo il pezzo forte: il Registan. Purtroppo la classica veduta di grande impatto della magnifica piazza circondata su tre lati da alcuni degli edifici più belli di tutta l'Asia Centrale è deturpata da una tribuna e un ancora più vasto palco montati in previsione del Festival della Musica Tradizionale Asiatica che si terrà a settembre. Vabbeh mettercisi per tempo, ma qui mi sembra si sia esagerato... Entrando nella piazza, sulla sinistra vi è la madrassa di Ulugh Bek, la più antica costruita nel 1420. Di fronte la madrassa di Cher-Dor il cui portale è decorato da due strani felini che paiono dei leoni tigrati, a dispetto del divieto islamico di raffigurare animali viventi. In mezzo alle due vi è la madrassa Tilya Kori la cui moschea interna ha un soffitto piatto raffinatamente decorato in oro che lo fa sembrare una cupola. Tappa finale al mausoleo di Gur-e-Amir dalla bella cupola scanalata che ospita le ceneri del grande condottiero (e diversi parenti stretti tra cui alcuni figli e il suo maestro Sheikh Umar) anche se, nelle sue intenzioni, questo edificio doveva ospitare le spoglie di un nipote, avendo previsto per sé una modesta cripta a Shahrisabz, la sua città natale.
Rientrati al b&b, usciamo per cercare di sfruttare la calda luce del tramonto per fotografare il Registan o, visto il palco in mezzo, qualcuna delle madrasse che lo circondano. Arrivato in piazza una delle guardie mi ripropone l'offerta che mi aveva fatto in precedenza ma che avevo ignorato: 10.000 sum per salire sul minareto, un palese "fuori busta" per una visita che non credo sia tanto lecita. Stavolta accetto e seguo un suo collega che mi indica la strada tra le impalcature. Ad un certo punto, in mezzo a calcinacci e solai poco rassicuranti, parte la strettissima e buia scala a chiocciola che mi porta in cima alla torre da dove, attraverso un buco nella lamiera, fotografo la madrassa Sher Dor dall'alto. Niente di indimenticabile, anche perché c'è appena lo spazio per stare in piedi, e poi è già subito ora di scendere visto che dietro di me premono una decina di corpulenti coreani. Passare nella scala due alla volta è ancora meno divertente: la macchina fotografica sbatte un paio di volte sulle pareti ma non subisce danni, fortunatamente. Tornato a terra, la guardia invita tutti ad andarsene, non si può più stare nella piazza. Ma poi la mia compagna si fa venire lo scrupolo e mi costringe, anche se non se lo meritava, a tornare dalla guardia alla quale do la somma pattuita, che né lui né il collega mi avevano chiesto, pensando entrambi che l'avrebbe fatto l'altro. Rimane stupito ma poi, ovviamente, non mi dice nulla anche se resto col cavalletto ben oltre il tempo consentito.
Tornati al b&b faccio qualche scatto al mausoleo Gur-e-Amir illuminato di notte che però non mi soddisfano. Al rientro purtroppo ci aspetta una doccia gelata: la signora, nel cercare di organizzarci l'escursione a Urgut, ha appreso con suo grande stupore (visto che appena la domenica precedente lei, collezionista di suzani come dimostra la stanza in cui dormiamo, vi era stata), che il mercato è stato chiuso a tempo indeterminato, pare per permettere dei lavori di ristrutturazione, cosa che non è stata presa bene dai commercianti, visto che ci sono stati scontri con la polizia con relativi arresti dei dissidenti. Ci tocca pertanto rinunciare e rimodellare gli spostamenti: domenica andremo a Shahrisabz in giornata dedicando allo spostamento a Bukhara il lunedì mattina, almeno guadagneremo tempo.
V. OSPITI INATTESI
Alle 9:00 ci passa a prendere il tassista dalla bella faccia rubiconda che ci porterà a Shahrisabz: anche questo l'inglese non lo mastica e lo scambio di informazioni è piuttosto basico durante i quasi 90 km di strada in buone condizioni che ci separa dalla città di Tamerlano, anch'essa sito UNESCO. Prima di uscire dalla città visitiamo una moschea non indicata sulla Lonely Planet e il cui nome ci risulta tuttora sconosciuto visto che il biglietto era scritto unicamente in cirillico. Il percorso fino alla città di Tamerlano offre al nostro sguardo qualche paesaggio diverso: dai 700 mslm di Samarkanda si scavalca il passo Takhtakaracha attorno ai 1700 mslm, anche se la montagna continua ad essere piuttosto brulla e non offre scorci particolarmente spettacolari se non qualche strana roccia e alcuni locali a dorso di somaro. Quasi in corrispondenza del passo facciamo una sosta presso un mercatino dove spicca la frutta secca: prendo un sacchetto di albicocche secche che poi si riveleranno piuttosto ostiche da masticare. Qualche chilometro più avanti facciamo sosta presso una versione locale di un "autogrill": una famiglia ha costruito un forno tandoor in corrispondenza di un piccolo spiazzo e sta macellando una pecora (e non vogliono essere ripresi mentre lo fanno) che poi cuoceranno aggiungendo dei rami di piante locali per insaporirlo. All'assaggio è gustosa, ma di mangiare della pecora con questo caldo non se ne parla neanche.
Giunti a destinazione l'autista parcheggia e ci fa capire che ci aspetterà lì al termine del nostro giro. Cominciamo dal vicino Ak Saray (Palazzo Bianco) che fu il Palazzo di Tamerlano: nel parco antistante c'è una grande statua del condottiero attorno alla quale si ammassano un numero imprecisato di cortei nuziali mentre sullo sfondo i resti del palazzo rivelano che, ai bei tempi, poteva tranquillamente rivaleggiare in grandiosità coi monumenti di Samarkanda. Adesso invece è abbastanza male in arnese, in pratica spezzato in due visto che la parte centrale del portale è crollata ma conserva molto del suo fascino, come del resto la città, quasi non toccata dagli architetti sovietici che, di norma, a fianco dei tortuosi vicoli della città antica solevano erigere la "città nuova", fatta di larghi viali e anonimi quartieri di casermoni di cemento. Saliamo fino in cima a una delle strutture residue per godere una vista della cittadina e mappare i cortei matrimoniali, almeno cinque o sei, che si sparpagliano nel parco. Strana abitudine questa di recarsi presso un monumento dopo la cerimonia nuziale. Tornati a livello del suolo un cameraman ci chiede, per dare un tocco di originalità, di poterci riprendere assieme agli sposi e mentre posiamo sorridenti sopraggiunge un'altra coppia che mi affianca e sfrutta la geniale idea del primo "regista".
Procediamo verso la parte vecchia della città per visitare la grande moschea Juma (del Venerdì) le cui decorazioni interne rivelano influenze iraniane e indiane e dietro la quale si trova un complesso funerario. Poco lontano dalla moschea sorge un altro edificio piuttosto malridotto, il complesso dell'imam Khazrati, che visitiamo brevemente anche per non disturbare la preghiera che un gruppo di anziani vi sta tenendo. In pratica il giro è finito, altri monumenti significativi da vedere la guida non li segnala e allora rientriamo infilandoci nel dedalo di straduzze della città vecchia, che il tassista ci aveva accennato di evitare, forse nel timore che ci perdessimo. È giorno di mercato, c'è gente in giro e continuiamo a destare sorpresa: dapprima fotografo le commesse di uno dei tanti negozi di abiti da sposa che non trattengono i risolini e poi delle ragazze dietro a una bancarella di tessuti. Infine un simpatico bimbo che si è bloccato sulla porta di casa: effettuato lo scatto glie lo mostro e lui gradisce, così come la madre che si è affacciata che poi, sorridendo, ci fa un gesto con la mano, come se si stesse pulendo la bocca. Intuisco che è un invito a pranzo ed entro, più per la curiosità che per la fame. Ci fanno accomodare a tavola, all'ombra del cortile interno, e nel giro di pochi minuti ci portano un gigantesco piatto di plov, riso saltato, in questo caso condito con carne di montone e carote che i bimbi della casa, a tavola con noi, affrontano con gusto. Mangiamo qualche boccone per cortesia, scattiamo qualche foto alla simpatica famigliola che, nel frattempo, si è radunata nel cortile uscendo dalle varie porte ma la conversazione, dovendo basarsi sul nostro risicato russo parlato, ha breve durata. Li salutiamo e i reciproci sorrisi sono la cosa più eloquente che riusciamo a comunicarci.
Siamo quasi arrivati al parcheggio ma prima di svegliare il tassista che sornacchia, un signore anziano ci ferma e sorridendoci ci rivolge la parola. Non capiamo ma presumendo che voglia sapere da dove veniamo rispondo con un "Italy", lui pare apprezzare e allarga ancora di più il sorriso: snocciola un convinto "Toto Cutugno" e qualche nome di calciatore. Poi gli argomenti terminano e non sapendo come comunicarmi il piacere del breve scambio di battute mi abbraccia calorosamente, tra le nostre risate. Sono proprio simpatici questi uzbeki. Rientrati al b&b, come sapevamo di dover fare, ci spostiamo in una stanza che dà sul cortile dell'abitazione principale. Non c'è la terrazza ma è pure più bella, con pareti ricche di nicchie e uno spettacolare soffitto dipinto.
Ci rimane ancora qualche ora di luce che sfruttiamo per andare a cercare una vecchia sinagoga nella parte vecchia della città, il quartiere dove preferiamo bighellonare. La sinagoga è quasi indistinguibile dalle case dei dintorni, solo una grondaia con il disegno di una menorah (candelabro a sette braccia) ce ne rivela la presenza. Pare abbandonata ma poi salta fuori un ometto che ci fa accedere e ci mostra, dietro richiesta di una piccola donazione, l'interno del luogo sacro. Continuiamo a vagare per le stradine sterrate e incontriamo una bella moschea, con le colonne dell'aivan dipinte di verde, davanti alla quale degli uomini giocano a backgammon. La mia compagna non viene perché teme che le donne non siano ben accette e allora entro io e scambio un paio di battute mentre fotografo. Poi torno da lei che ha fatto comunella con un gruppetto di signori e bimbi molto cordiali che ci invitano a sederci sulla loro panca e coi quali si reitera l'ennesimo tentativo di comunicazione attraverso le poche paroli comuni: i nomi degli italiani famosi. Siamo seduti, non c'è fretta, la platea è leggermente più numerosa e incuriosita del solito e quindi viene stabilito il record di nomi italiani pronunciati: Toto Cutugno, Adriano Celentano, Eros Ramazzotti, Berlusconi, Roberto Baggio, Cannavaro, Spalletti (che in questo momento allena lo Zenit di S. Pietroburgo). Poi si passa ai calciatori dell'ex-blocco sovietico che hanno giocato in Italia come Shevchenko e Kaladze, chiudo io in bellezza citando Zavarov, destando l'ammirazione di quello che sembrava il più preparato nella materia.
Rientrando ci imbattiamo nella fascinosa vecchia moschea di Koroboy Oksokol e proseguendo a piedi verso la guest house attraversiamo la zona nuova di zecca fatta costruire dalla solita figlia del presidente, piena di moderni negozi con grandi vetrate e articoli costosi in bella mostra, marciapiedi larghi, verde ben tenuto e unita al Registan da una specie di comodo trenino elettrico. Ma noi continuiamo a preferire le sgarrupate stradine della città vecchia, con i muri di fango essiccato misto a paglia e i tubi del gas che costeggiano i muri esterni delle case come fossero dei fili elettrici e che si alzano in corrispondenza degli incroci per lasciare passare i mezzi.
VI. UN GELATO COME PREMIO
Partiamo alla volta di Bukhara, terzo sito UNESCO da visitare, su un taxi guidato da un silenzioso tassista: 260 di km di strada in buono stato per quasi 4 ore di viaggio, durante i quali l'unica sosta è quella che facciamo, quando ormai siamo alle porte della destinazione, presso un antico caravanserraglio e la sua cisterna.
Pernottiamo per tre notti presso un'altra stupenda guest house, una sistemazione che in sede di prenotazione avevo preferito ad altre più consigliate dalla guida, oltre che per motivi architettonici, anche perché il proprietario ha un'agenzia viaggi.
La guida è già prenotata da prima della partenza e ci accompagnerà dal giorno seguente: abbiamo quindi mezza giornata per gironzolare per i fatti nostri. Bukhara però è a 220 msl e la differenza di temperatura con Samarkanda (che è a 710 msl) si avverte: non abbiamo un termometro a portata di mano ma non credo di sbagliarmi di molto nel dire che siamo vicini ai 40°. La città è costellata di edifici storici, ben 140, in gran parte non più adibiti alle funzioni originali e spesso trasformati in negozi all'interno dei quali è possibile sostare per rinfrescarsi all'interno delle alte cupole dove il caldo ascende. Bukhara pullula di negozi di souvenir dozzinali ma vi sono anche diversi con vere antichità e piccoli capolavori e curiosare in giro è un vero divertimento. Il sole però non concede tregua e dopo aver a lungo gironzolato troviamo ristoro presso la chaikana (sala da tè) Bolo Hauz le cui torte non sono niente di speciale ma il fresco e la comodità offerta dai tapchan (tipica piattaforma rialzata con basso tavolino centrale e spalliere dove gustarsi la bevanda nazionale) sono un vero toccasana per le nostre stanche membra. Rifocillati e andando incontro a temperature meno torride, decidiamo di ripetere quanto fatto a Samarkanda, dedicando il tardo pomeriggio a visitare quei siti "minori" che l'itinerario classico della guida non prevederà. È così che partiamo alla ricerca della nascosta ma originale moschea di Char Minar (che significa "quattro minareti") dalle influenze indiane, tanto per cambiare nascosta tra i vicoli della città vecchia: un percorso che ci fa anche trovare il mausoleo di Turki Jandi, che in realtà pare più una moschea disabitata, nella quale mi addentro indisturbato.
Ritorniamo verso il b&b per rinfrescarci con una doccia e un po' di insana esposizione al getto dell'aria condizionata, poi andiamo a cenare nella caratteristica chaikana Lyabi-Hauz in centro, vicino a un'antica vasca che però non ha l'effetto rinfrescante sulla temperatura che speravo. Al momento del conto il cameriere si limita a dire una cifra ed io, pur senza aver fatto calcoli sulla correttezza o meno della cifra, dico che voglio vedere il conteggio, avendo letto che quando non lo portano spesso c'è la magagna: il cameriere, seccato per la mancanza di fiducia, comincia a snocciolare a voce quello che abbiamo preso ma lo becco in castagna, la Coca Cola che ci addebita non l'avevamo ordinata. Si assenta per chiedere lumi e torna dicendo che si erano sbagliati e che il conto giusto è di 3.000 sums inferiore. Il tutto di nuovo a voce. Sicuramente ci avrà fregato lo stesso ma almeno gli ho reso la vita più difficile.
La cena non è stata esaltante e allora in questi casi mi piace "chiuderla" con un gelato, per dare un contentino al mio palato viziato. C'è un signore con quelle macchine che azionando una leva fanno scendere il gelato che viene raccolto in un cono. A Samarkanda ne avevo preso uno e non era cattivo: il cono più grande costava 800 sums. Chiedo all'omino dei gelati e lui ne vuole 1500 per il cono piccolo. Eh no, stasera ormai sono entrato in modalità "antitruffa" e mi impunto. Provo allora presso un bel negozio di alimentari lì di fronte con un gelato confezionato e mi viene chiesto lo stesso prezzo. Non demordo. Passeggiamo per il centro fino a quando, presso il punto in cui partono i taxi collettivi, trovo un negozietto di alimentari aperto, nonostante l'ora. C'è lo stesso gelato confezionato per il quale poco fa mi hanno chiesto 1500 sums, prezzato 800 sums. Lo compro e me lo lecco trionfante.
VII. CENA CON VISTA
Colazione in una spettacolare stanza cesellata di nicchie di tutte le fogge e anche qui squisite marmellate fresche e altre golosità di questa terra che regala frutta e verdure deliziose, oltre a uova, affettati e altre più palesi concessioni ai gusti occidentali. La guida è puntuale e cominciamo il giro dei tanti siti storici della città, nonostante qualche problema di stomaco (lo so quello che state pensando, ma non può essere colpa del gelato!) mi infiacchisca non poco.
Il giro comincia dal tozzo ma allo stesso tempo raffinato mausoleo Ismail Samani, uno degli edifici più antichi della città essendo stato costruito nel 905. La sua peculiarità consiste nell'elaborata muratura in mattoni terracotta, che a seconda dell'ora ha un aspetto diverso in base a come viene colpito dal sole. Poco distante visitiamo il mausoleo Chashma Ayub e il suo piccolo museo dedicato all'acqua, una risorsa che in un ambiente desertico come questo è sempre stata di importanza capitale. Fino ad un secolo fa Bukhara aveva circa 200 vasche di pietra dove la gente beveva, si lavava e presso la quale spettegolava. L'acqua non veniva mai cambiata e non a caso la città era famosa per le pestilenze: la vita media era superiore di poco ai 30 anni. Poi vennero i sovietici che costrinsero, tra grandi proteste, le autorità locali a chiuderne la maggior parte ma poi le sostituirono costruendo un sistema idrico funzionante.
Tappa successiva presso la moschea di Bolo Hauz, con un aivan strepitoso sorretto da 20 alte colonne magnificamente decorate. Viene detta la moschea delle 40 colonne perché queste si riflettono nell'antistante vasca. Attraversato il parco che contiene la dismessa Torre dell'Acqua (un acquedotto in ferro costruito dai russi nel 1927) si entra nell'Ark, la cittadella regale protetta da imponenti mura abitata dal V secolo fino al 1920, anno in cui venne bombardata dall'Armata Rossa. Al suo interno vi sono una bella moschea del Venerdì e la Corte per le udienze e incoronazioni.
Andiamo poi al Registan (in pratica la "piazza centrale") di Bukhara ai cui lati vi sono la madrassa di Mir-i-Arab e la moschea di Kalon, dal caratteristico minareto costruito nel 1127 e alto 47 metri, probabilmente l'edificio più alto dell'Asia Centrale per diversi secoli. Dotata di fondamenta profonde 10 metri che poggiano, come misura antisismica, su canne, risparmiata da Gengis Khan che, colpito dalla sua bellezza, ordinò di non distruggerla, ha resistito senza bisogno di restauri per quasi 9 secoli fino a quando venne colpita dall'artigliera dell'Armata Rossa. La moschea è meno interessante dal punto di vista architettonico ma è molto vasta e in grado di ospitare 10.000 fedeli.
Nell'ora più calda facciamo una sosta in un localino sui tetti dai quali si gode una bella vista del Registan poi riprendiamo a macinare siti: prima la bella madrassa di Ulugh Beg e poi la prospicente madrassa di Abdul Aziz Khan dal portale con colori pastello mai restaurata e ormai adibita in pianta stabile a una specie di centro commerciale di negozietti. Salutiamo la guida e torniamo al b&b per ricaricare le pile e poi torniamo in giro a goderci la calda luce del tramonto. Ceniamo in un ristorantino sui tetti, da dove si gode uno spettacolare coricarsi del disco solare con il minareto di Kalon in controluce, ma la cena non è all'altezza: fa troppo caldo e la tradizione locale vuole che il pasto più corposo sia quello del pranzo, quindi a cena la scelta dei piatti si riduce drasticamente. Noi invece abbiamo bioritmi opposti: abbuffate mattutine, molti liquidi e cose leggere nel resto del giornata nella speranza di recuperare a cena.
VIII. MONOSOPRACCIGLI
L'ultimo giorno a Bukhara inizia senza luce causa un black out del quartiere, un po' come il mio stomaco, ancora fuori servizio. La guida ci porta fuori città, al mausoleo di Bakhautdin Naqsbandi, uno dei santuari più frequentati perché dedicato al fondatore del più importante ordine sufi dell'Asia Centrale. È un luogo pieno di gente ma privo di turisti, si percepisce un'atmosfera di autentica devozione. All'interno vi è un delicato aivan e una vasca quadrata. Nel cortile vi è un albero pietrificato, attorno al quale la gente gira in senso antiorario e sopra al quale lascia delle offerte. Le donne in particolare passano sotto al tronco, quasi strisciando a terra, per tre volte nella certezza che questo le renda fertili.
L'altra meta extracittadina è il palazzo estivo di Alim Khan, discendente di Gengis Khan e ultimo emiro in questa parte di mondo, ora trasformato in museo. Costruito in un non sempre gradevole mix fra lo stile locale e quello russo (a 13 anni era stato mandato a studiare a San Pietroburgo), assomma le comodità del mondo moderno, come le stufe, allo stile ridondante della sua terra e alle tradizioni alle quali ha ritenuto, furbamente, di non rinunciare, quali ad esempio l'harem. Di fronte a quest'ultimo, in un edificio separato dal resto del palazzo, si trova una grande vasca per le donne e a fianco un padiglione di legno dal quale, ci narra la guida, soleva gettare una mela alla prescelta per la notte. Ora l'ombroso parco è popolato da numerosi pavoni. Segue la visita alla necropoli di Chor-Bakr, un non imperdibile sito dove la temperatura raggiunge il massimo, se si fa eccezione per alcune tombe all'ombra dei gelsi.
Torniamo in centro e il posto che possa offrire più refrigerio ci pare ancora una volta la chaikana accanto alla vasca, approfittandone per cambiare un po' di valuta (3200 sms per 1 euro, nonostante fosse partito sotto ai 3000). Nel tapchan a fianco del nostro c'è un gruppo di signore, col classico tatuaggio sulle sopracciglia, che paiono in gita di piacere. Chiedo se posso scattare qualche foto e le signore annuiscono sorridendo, anzi alcune chiedono espressamente di essere riprese.
Dopo la pausa andiamo a visitare la bella casa del discusso Fayzulla Khojaev, da alcuni considerato uno che aveva venduto la patria ai Russi e da altri un idealista che voleva migliorare le condizioni di vita del popolo. Figlio di un ricco commerciante, dopo aver studiato in Russia e aver conosciuto il progresso, volendo ammodernare il suo paese ancora sotto il potere dell'emiro, fondò un partito e chiamò i bolscevichi che poi, deposto Alim Khan, qualche anno più tardi lo insediarono quale Presidente della Repubblica Popolare di Bukhara. Nel 1937 avversò alcune scelte di Stalin, in particolare la decisione di imporre la monocultura basata sul cotone, e questo gli costò un processo e la seguente esecuzione capitale. La casa è in ottimo stato, con i ghanch (stucchi) perfettamente restaurati e stanze piene di nicchie. Non abbiamo potuto esimerci dal sottostare a una vestizione turistica: io con chapan in ikat e turbante, la mia compagna con un paranja e relativo chachvan in crine di cavallo (l'equivalente uzbeko del burqa). Avevo trovato una coppia paranja-chachvan vintage ad un prezzo davvero interessante, ma purtroppo i contanti stavano per finire e non abbiamo trovato modo di ottenere soldi tramite la carta di credito. Ci rifaremo parzialmente con l'acquisto di un paio di belle marionette di cartapesta e qualche cappello tradizionale.
IX. ATTRAVERSATA DEL DESERTO ROSSO
Giornata in larga parte dedicata al trasferimento da Bukhara a Khiva, quarto e ultimo sito UNESCO del paese e così facciamo un bel filotto. Il tassista prenotato tramite il b&b è, per quanto paia impossibile, ancora meno loquace di quelli conosciuti in precedenza: non proferisce verbo alcuno per ore. Nemmeno ci chiede se vogliamo fare una sosta, chessò per mangiare o anche solo per andare in bagno: dopo una brevissima sosta iniziale - durante la quale non ci ha comunicato che sarebbe stata l'unica di tutto il viaggio - risale in macchina e continua ininterrottamente a guidare fino a sera. Le uniche parole le pronuncia a un posto di blocco della polizia, che gli chiede da dove provengono i due turisti che sta trasportando: il colmo è che sbaglia pure, dicendo Spagna...
Purtroppo ci sono dei lavori nel tratto di strada che attraversa il deserto Kyzyl Kum (Deserto Rosso) e il tragitto di quasi 470 km diventa un calvario causa il prudentissimo pilota che, attento a non rovinare le sospensioni dell'auto, affronta ogni minimo dosso a velocità da pedone. Morale: invece delle circa sei ore che ci vorrebbero normalmente ce ne mettiamo quasi nove, arrivando a destinazione verso le sei di sera! L'unico punto a favore è che il mezzo è dotato di aria condizionata, anche se viene azionata solo nel momento più caldo (comunque, con i finestrini abbassati si sta bene lo stesso, l'unico problema è doverlo alzare ogni tanto quando si incrocia o sorpassa un camion che alza nuvoloni di polvere). Prezzo 100 dollari, dopo che la guida, alla quale avevo chiesto un preventivo via mail, mi aveva detto che ne aveva trovato uno che ne voleva 150. Lo so che su internet si trova chi ha speso la metà o meno, però abbiamo viaggiato comodi e freschi, senza stare pigiati per nove ore e allora va bene così.
Il Kyzyl Kum è quanto di più triste si possa immaginare: niente a che fare con le spettacolari dune rosse di Merzouga in Marocco o della Namibia. Solo un piattume giallo/grigio, senza nessuno spunto paesaggistico degno di nota. Ogni tanto si incontrano, non lontano dalla strada, le yurte (o per meglio dire le gher, le tende circolari dei nomadi) e automaticamente ci si pone la classica domanda sul come faccia qualcuno a vivere in un territorio tanto desolato. Giunti finalmente a destinazione, alla modesta ma pulita guest house prenotata dall'Italia ci sta già attendendo la guida locale prenotata in precedenza. Gli faccio presente il mio problema di liquidità e mi conduce a uno degli hotel della catena Malika, l'unico in città a disporre di un cash dispenser. Ma il marchingegno non espleta la sua funzione, secondo l'impiegato di turno perché è il 30 del mese e quindi giorno di chiusure. Sa tanto di scusa pietosa, ma ci dice che l'indomani dopo le 14:00 non ci saranno problemi nel ritirare soldi. Salutiamo la guida dandogli appuntamento per l'indomani mattina.
Partendo dal nostro alberghetto che è magnificamente posizionato, andiamo in giro per sfruttare il tramonto che si preannuncia bello e ci imbattiamo in una troupe cinematografica che sta girando il videoclip di un giovane gruppo musicale uzbeko, composto di cinque elementi vestiti tutti di nero tranne il cantante di bianco, alternando scene dei giovani che cantano mentre passeggiano a quelle delle ballerine in abiti tradizionali che danzano all'ombra dei monumenti più belli della cittadina. Chiudiamo la serata con un giro sulle possenti mura di argilla che cingono la Ichon-Qala (fortezza), proprio di fronte alla nostra guest house.
X. GIOIELLO FINALE
Ultimo giorno in Uzbekistan dedicato a quello che ci è parso come il sito più bello: la splendida Khiva, un pullulare di moschee, madrasse, mausolei e musei. Scendiamo e non c'è la nostra guida ad aspettarci ma un suo amico e socio che lo sostituisce poiché ha problemi di stomaco, probabilmente causati da un cocomero mangiato la sera prima. Beh, se succede a uno di loro, non vedo perché non possa succedere anche a me...
Il centro storico di Khiva è perfettamente conservato, secondo alcuni pure troppo. Tutti gli edifici di maggiore interesse si concentrano all'interno delle mura, la maggior parte di essi disposti lungo Pahlavon Mahmud, la strada che la attraversa da est ad ovest. Oltre ad avere tutti i siti nello spazio di poche centinaia di metri, c'è anche il vantaggio che si paga un biglietto unico all'ingresso nella cittadella, senza dover mettere mano al portafoglio ad ogni piè sospinto come succedeva nelle altre città e, visto che fà un caldo beduino (la guida ci dice che il giorno prima la temperatura era arrivata a 42°), magari si staziona un po' meno sotto il solleone.
Si parte dalla statua di Abu Jofar e il primo sito visitato è un'ex-madrassa che ora è diventata la sede dell'Orient Star Hotel che avevo scartato, per questioni di costi, prima di partire: è bello anche se le stanze, in ossequio alla loro destinazione originale (celle degli studenti), sono piuttosto semplici. A fianco sorge il tozzo minareto Kalta Minor dalla base larga oltre 14 metri ma che non va oltre i 26 metri di altezza, rivestito di piastrelle turchesi che presto diventa il nostro punto di riferimento. Proseguiamo ammirando lo stupendo palazzo di Tosh-Hovli, costituito di più cortili interni dalle meravigliose piastrelle e da mirabili aivan. Dall'esterno non si intuisce tutto questo splendore, è come un gioiello nascosto a occhi profani. La tappa seguente è alla moschea Juma, costituita da 218 colonne di legno intarsiate, di cui una mezza dozzina sono ancora quelle originali del X secolo. Poi visitiamo la madrassa di Allakuli Khan, quella di Kutlimurodinok e ammiriamo l'alto minareto della madrassa di Islam-Hoja, il più alto d'Uzbekistan con i suoi 57 metri (fondamenta comprese, il punto d'osservazione sulla torre è a 45 metri dal suolo). Molto bello anche il Kuhna Ark, fortezza nella fortezza, residenza dei sovrani di Khiva con delicati aivan e una sala del trono.
Poi la guida ci lascia, non prima di aver fatto chiamare l'hotel e scoprire che, guarda caso, nemmeno oggi funziona il cash dispenser: vedremo di farci bastare le poche decine di euro che ci rimangono, purtroppo non potremo spendere e spandere in acquisti come avremmo voluto, anche se lo spettacolare cappello, tipicamente uzbeko, di pelo di pecora nera riesco a trovarlo a un prezzo stracciato e lo faccio mio. Proseguiamo per conto nostro, ammirando un caravanserraglio, un museo con belle foto d'epoca ed, entrati nella madrassa di Islam-Hoja che prima avevamo visto solo da fuori, il museo di Arti Applicate, con manufatti di ogni tipo ed epoca. Chiudiamo il giro vagando per la parte meno turistica della città vecchia, dove sperimentiamo ancora una volta l'affabilità degli uzbeki. Torniamo in albergo verso le 19:00, dove c'è la nostra guida originaria, finalmente ripresosi, che ci accompagna all'aeroporto. L'aereo parte con mezz'ora di ritardo (un cambiamento d'orario avvenuto lo stesso giorno che eravamo partiti dall'Italia e quindi lo abbiamo scoperto solo al rientro), ci riporta a Tashkent e da lì a Riga, dove almeno la carta di credito funziona e possiamo passare le quasi cinque ore di stop over senza patire i morsi della fame come in volo.




























































































