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FOTORACCONTO MAURITANIA GENNAIO 2025

(per vedere le didascalie, clicca sulle immagini delle slideshow)

GIORNO 1

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L'arrivo a Nouakchott è previsto alle 1:45 di notte. Da appena due settimane il governo mauritano ha deciso che è obbligatorio il visto elettronico. Bello, penso, una semplificazione: invece la nuova procedura rallenta immensamente, fra controlli e attese, i tempi di attesa al punto che usciamo dall'aeroporto verso le 3:30.

Pertanto la mattina seguente ce la prendiamo con un po' più di calma e, dopo colazione, usciamo verso le 10:00. Prima tappa è lo strepitoso mercato dei cammelli che si tiene in periferia in un grande spiazzo polveroso che accoglie circa tremila animali e qualche centinaio di commercianti e addetti ai lavori. Il caos impera tra animali che bramiscono, addetti indaffarati che spingono i dromedari e altri che li caricano a forza sui pick up degli acquirenti, che il più delle volte acquistano gli animali per costituire la dote di un matrimonio: di solito ne servono uno o due, tre per i più facoltosi. Un generatore seriale di situazioni fotogeniche.

In seguito ci richiamo nel cosiddetto mercato delle donne divorziate. Il Mauritania il divorzio non è considerato un disastro sociale come in molti paesi islamici, ma non solo. Molte donne hanno alle spalle cinque e più divorzi, addirittura anche una ventina. Questo perché molto spesso i matrimoni, soprattutto i primi, sono organizzati dalle famiglie. Si usa dire che non si sceglie chi si sposa ma si può scegliere da chi divorziare. Una volta divorziate le donne acquisiscono una libertà che prima non avevano, spesso cominciano vendendo le cose di casa e poi diventano commercianti, e agli occhi di chi cerca moglie sono considerate più interessanti delle spose alle prime armi perché più esperte.

Nel pomeriggio vorremmo visitare il Museo Nazionale ma inaspettatamente lo troviamo chiuso. Poco male, ci dedichiamo quindi al mercato capitale dove si vendono cibo e abbigliamento, tutto molto colorato. Ultima visita giornaliera alla grande moschea, di recente costruzione con i soldi arabi ma non particolarmente bella.​

GIORNO 2

Inizia il lungo trasferimento verso est. Facciamo tappa per pranzo ad Akjoujt presso un "ristorantino" tipico, con tanto di pecora scuoiata appesa in cucina, situazione allietata da una bimba curiosa che si lascia fotografare. Finita la pausa, comincia lo sterrato che ci porterà nel cuore del deserto. Prima di giungervi facciamo sosta presso un piccolo villaggio dove troviamo il primo di tanti "negozietti" di souvenir, immancabilmente gestito da donne che quasi sempre si coprono il volto quando vedono spuntare una macchina fotografica, anche se l'incontro è sempre amichevole. Proseguiamo e cominciano a vedersi il lontananza le dune, a cui ci avviciniamo lentamente fino a quando giungiamo in un punto in cui alle classiche dune di colore arancio se ne alternano altre di colore bianco, un fenomeno che non ho mai visto altrove, e sì che di deserti ne ho visti più d'uno.

 

Procediamo oltre e giungano ad Azoueigua, dove le enormi dune sembrano sorgere all'improvviso dal piatto territorio circostante: pareti di sabbia poco meno che verticali che si innalzano di 85 metri circa (più all'interno, le dune possono raggiungere anche i 300 metri di altezza). Saliamo in cima alle montagne di sabbia e proviamo a catturare con la macchina fotografica la magia di questo posto, mi sono pure portato il cavalletto appositamente e cerco di sfruttare la luce radente che lambisce le sinuose curve del deserto ma è un tipo di fotografia molto ragionata che non sempre mi riesce, a voi il giudizio. Rimango più degli altri sulle dune e rientro quando ormai è quasi completamente buio e nel cielo cominciano a comparire migliaia di stelle, rese un po' meno visibili solo dal chiarore emesso di un falò. Cena in un accampamento già organizzato: la volta precedente le tende le montammo noi e la cena fu al sacco, adesso le tende sono già predisposte, così come la cena servita in una tenda apposita. Si notano i progressi legati all'aumentato turismo.

GIORNO 3

Al mattino presto la vista non è meno grandiosa di quella della sera precedente ma bisogna muoversi perché il programma della giornata prevede più cose da vedere. In realtà non c'è bisogno di un sito specifico da ammirare, basta anche solo fermarsi presso un villaggio o una scuola per essere avvicinati da bambini curiosi, studenti eccitati, mamme premurose o anziani divertiti dal nostro passaggio.

Il luogo successivo è lo spettacolare passo di Tifoujar, per attraversare il quale ci fiondiamo con le jeep in una discesa a occhio croce col 50% di pendenza, in realtà un'operazione più divertente che pericolosa. Da questo passo entriamo nella Valle Bianca dove si alternano sabbia e imponenti rocce dal chiaro sapore western. Ne usciamo infilandoci in un bel canyon formato da un lato da un alto e frastagliato costone roccioso e dall'altra dune di sabbia.

Raggiungiamo la fresca oasi di Terjit dove ci godiamo il pranzo sotto l'ombra di un albero: è gennaio ma la temperatura non credo sia di molto inferiore ai 30°. Anche per questo addentrarsi tra la fitta vegetazione dell'oasi è un vero refrigerio, dove l'acqua sgocciola direttamente dalla roccia, in maniera apparentemente inspiegabile.

Proseguiamo oltre e mentre siamo scesi per immortalare l'ennesimo paesaggio in stile Monument Valley, vediamo passare un raro ciclista solitario. Gli diamo la voce, risponde che è italiano, noi pure e quindi si ferma per 2 chiacchiere, anche se esordisce con un "è un po' che non parlo in italiano". È giunto in Mauritania a metà novembre, da allora gira per le strade del paese (per lo più controvento!) e non ha idea né fino a quando starà in giro, né dove andrà in seguito, forse Senegal o in Gambia. Buon strada ragazzo.

Nel tardo pomeriggio giungiamo ad Atar, la capitale della regione dell'Adrar, dove c'è un gustoso mercato, più piccolo di quello di Nouakchott ma più vivace, la gente è tutta in strada e non chiusa tra le mura di un negozio, ci sono tanti carretti trainati da asinelli e venditori di baguette, regolarmente trasportate ed esibite su delle carriole. La lunga giornata termina presso un albergo dove, dopo cena, si tiene una piccola serata di musica e danze tradizionali, in cui qualcuno si lascia coinvolgere.

GIORNO 4

Partiamo da Atar in direzione di Chinguetti e, dopo aver scollinato il passo Ebnou dalle imponenti pareti rocciose, facciamo sosta al passo di Amagjar dove ci sono delle pitture rupestri non indimenticabili ma una veduta mozzafiato sulla valle sottostante e ci si può inerpicare tra gigantesche rocce nere che paiono poggiate su sabbia gialla, fino a giungere in cima dove si stagliano strane forme rocciose. Una di queste, che alla sua base ha 25 incisioni (ognuna a rappresentare un diverso clan), è quella da cui il leader parlava, in pratica una specie di antichissimo parlamento (secondo la guida risalente a circa 7000 anni fa). A un paio di km c'è il più noto sito di Agrour, le cui pitture rupestri collocate su una piccola collina con grotte protette da dei cancelli, sono più ricche ma lo scenario meno maestoso.

In seguito giungiamo a Chinguetti, non solo una storica città carovaniera sito UNESCO ma anche la settima città più sacra per l'Islam. La lunga storia della città risale almeno all'anno 777. Da sempre un centro di commerci e cultura, annoverava una 30ina di biblioteche contenenti vecchissimi e preziosi libri, ora ne sono rimaste una dozzina che contengono in totale circa 3.000 volumi. La città è letteralmente circondata dal deserto che continua a insinuarsi nelle sue strette strade racchiuse tra alte pareti di muri a secco, rendendola allo stesso tempo in declino e incredibilmente affascinante.

Visitiamo una famiglia nel villaggio di Entkemkemt in cui la donna di casa ci mostra come prepara il couscous e poi l'accampamento di una famiglia di nomadi, con un simpatico e arzillo vecchietto che si diverte a mettersi in posa, dapprima su un asinello e poi sfoggiando un binocolo più vecchio di lui.

Chiudiamo la giornata fotografando un gruppo di dromedari sulle dune nei pressi di Chinguetti. Poi, siccome le nuvole fanno presagire un tramonto non particolarmente fotogenico, trascorriamo l'ultima mezz'ora di luce nel centro di Chinguetti, dove la gente è ancora tutta in strada.
 

GIORNO 5

Stiamo per lasciare Chinguetti e, pur avendo visitato la biblioteca privata più famosa della città raccontataci dal suo gestore affabulatore, di libri antichi non ne abbiamo ancora visti, solo delle scansioni degli stessi. Su spinta di Vincenzo, chiediamo alla nostra guida se c'è un modo per colmare questa lacuna e, procuratoci il numero di telefono, la mattina seguente (cioè oggi) ci siamo presentati presso un'altra biblioteca che invece ci mostra gli originali più antichi in suo possesso, tra cui un prezioso corano del XII sec. Soddisfatti partiamo in direzione di Ouadane, la città più remota della Mauritania settentrionale.

La prima pausa è presso un bel minareto in stile architettonico tradizionale ma realizzato di recente. Poi comincia un lungo ma spettacolare tratto di guida nel deserto, in cui le dune si alternano alla roccia, le zone con arbusti o alberelli a quelle senza la minima traccia di vita vegetale. A un certo punto vediamo due motociclisti fermi e la nostra guida, in ossequio al principio che nel deserto si aiuta qualsiasi viandante che ne abbia bisogno, fa fermare le nostre jeep per andare a chiedere info ai due centauri. Sono due francesi che sono partiti dalla Spagna e hanno intenzione di giungere a Dakar da cui rispediranno le moto in Francia via mare. Un'avventura sicuramente affascinante ma non proprio riposante, come uno dei due piloti lascia chiaramente trapelare. Buona strada anche a voi, a quanto pare la Mauritania ispira queste grandi traversate.

Proseguendo giungiamo nell'oasi di Tanouchert, caratterizzata dalle palme a ridosso delle dune, dove una famiglia locale ci accoglie sotto la propri tenda per l'ormai canonico tè zuccherato.

Raggiungiamo infine Ouadane, altra storica città carovaniera e sito UNESCO, la cui caratteristica è quella di aver una parte nuova abitata e la città vecchia disabitata, ormai ridotta in condizioni di rovina ma anche per questo ricca di fascino, con le sue strette strade e i tanti saliscendi. Diversamente dal solito, qua le ragazze non solo si lasciano fotografare, anzi insistono pure per essere fotografate più volte. Poi capiamo perché: sono un po' su di giri perché stanno andando a un matrimonio. Entriamo anche noi nella casa in cui si tengono i festeggiamenti, ci sono molte decine di donne e bambini ma nessun adulto. La sposa ci invita a restare suoi ospiti ma dobbiamo andare perché dobbiamo vederci con delle donne locali che ci mostrano come si applica l'henné: una di loro, prelevata direttamente alla festa, ha mani e piedi riccamente decorati.

Poi cerchiamo di giungere in tempo su una collina fuori città per immortalare Ouadane illuminata al tramonto ma non abbiamo tenuto conto che il sole, che normalmente dovrebbe coricarsi sulle 19:00, per via della suddetta collina scompare all'orizzonte quasi mezz'ora prima. Non ci resta che goderci il tramonto in sé.

GIORNO 6

Giornata inaugurata da un'alba strepitosa ma in cui le cose decidono di prendere una piega imprevista. Partiamo presto da Ouadane, alle 7:00, per essere a Zouerat verso le 12:00. Ma poco dopo la partenza ci accorgiamo che la seconda auto (io sto nella prima) non ci segue più (siccome percorriamo una pista, è normale stare distanziati di un centinaio di metri per non farsi ricoprire di polvere). Veniamo a sapere che la seconda auto ha forato una gomma e ci fermiamo ad aspettarli. Dopo una mezz'oretta ci raggiungono e andiamo ad Atar da un gommista. Mentre siamo quasi arrivati, un'auto della polizia, con i lampeggianti accesi, ci fa segno di cedere la strada e affiancare: sta per passare un nutrito gruppo di ciclisti, pare ci sia la "maratona del deserto" ciclistica. Sembra una cosa bella, ma non tardiamo molto a cambiare idea: scopriamo che i ciclisti sono diretti a Choum, sulla strada per Zouerat, e non possiamo percorrere quella strada. Dopo un po' ci lasciano passare ma quando arriviamo, assieme ad altre auto, a ridosso degli ultimi ciclisti, veniamo immancabilmente fermati. Lunghe soste, senza sapere quando potremo ripartire, poi si riparte, si raggiungono di nuovo gli ultimi (che vanno veramente piano) e ci si ferma di nuovo. È uno stillicidio e stiamo accumulando un ritardo sempre più ampio.

A un certo punto, uno dei driver suggerisce al nostro di prendere uno sterrato. Usciamo dall'asfalto e ci tuffiamo a spron battuto su una pista sabbiosa, nell'intento non solo di recuperare il tempo perduto ma anche e soprattutto di superare il gruppetto di testa, per evitare ulteriori rallentamenti. Entriamo a Choum praticamente assieme ai battistrada della gara ciclistica, evitando per poco uno scontro con chi ha lanciato la volata a poche centinaia di metri dal traguardo. Finalmente, dopo, possiamo dirigerci a Zouerat, ma i driver sono palesemente provati e con la scusa di voler fare una foto, facciamo osservare una pausa ristoratrice.

Giungiamo a Zouerat con tre ore di ritardo sulla tabella di marcia prevista, quindi saltiamo il pranzo per recarci all'appuntamento col funzionario della SNIM, l'azienda statale che si occupa delle miniere. Mentre stiamo per entrare in città vediamo il famoso "treno del deserto", lungo più di 2 km e pronto per partire col suo carico di 84 tonnellate di minerali ferrosi per ognuno dei suoi oltre 200 vagoni. Da qualche anno in qua, salire su uno di questi vagoni carichi di ferro e scendere a Nouadhibou dopo circa 18 ore di viaggio, immersi nella sabbia e nella polvere, è diventata una cosa popolare per i viaggiatori più avventurosi, nonostante la fatica, le giornate afose in estate e le notti fredde in inverno. Avevo una mezza intenzione di provarci (mi sono pure portato gli occhiali da sci) ma poi rinuncio perché - visto che i treni non rispettano un orario e partono quando vogliono - è impossibile organizzare la cosa per tempo.

Il funzionario della miniera ci accompagna in fuoristrada presso una specie di belvedere da cui si può ammirare il gigantesco cratere (580 metri di profondità) da cui risalgono giganteschi camion speciali (che da quassù paiono modellini ma trasportano fino a 300 tonnellate di roccia l'uno per ogni viaggio, 24 ore su 24). La miniera, che ha altri tre crateri del genere nei paraggi, dà lavoro a circa 800 persone, divise su 5 turni. Da sola costituisce più del 30% del PIL nazionale, circa l'80% delle esportazioni. Prima di abbandonare questo autentico girone dantesco, abbiamo modo di ammirare da vicino uno di questi giganteschi camion, con ruote alte circa 4 metri e per salire sul quale c'è una scaletta con diversi gradini da percorrere.

Non abbiamo più il tempo per andare a visitare l'assurdo "tunnel nel deserto" (ora in disuso) costruito dai Francesi e considerato dai locali un grandioso esempio di stupidità europea, ma abbastanza per andare a fare qualche scatto divertente presso un enorme deposito di giganteschi copertoni usati.

GIORNO 7

Giornata di trasferimento da Zouerat a Nouadhibou, bella ma molto lunga anche a causa di una foratura. Partiti presto dalla capitale mineraria del paese, la prima sosta fotografica è al villaggio di Touajil, particolarmente fotogenico anche grazie alla luce radente del mattino. Mentre proseguiamo vediamo giungere il treno del deserto (di rientro a Zouerat) e non possiamo non fermarci ad immortalarlo. Il treno non segue orari, quando lo si vede è sempre una sorpresa, quindi bisogna stare all'erta per non lasciarselo sfuggire.

La tappa successiva, anche logistica, la facciamo a Choum: dobbiamo riempire i serbatoi e fare provviste perché per il resto della giornata percorreremo solo piste. Durante l'attesa, assistiamo allo svolgersi della vita del villaggio, incentrata sulla strada asfaltata che lo attraversa: un enorme camion fa benzina al piccolo distributore mentre bimbi molto vivaci scorrazzano sulla strada principale giocando a trascinare bottigliette di plastica riempite di sabbia.

 

Poi ci si inoltra nel cuore del deserto che, anche se non è un susseguirsi di dune gigantesche come ad Azoueiga, offre spesso scorci affascinanti con isolate colline rocciose e la sparuta vegetazione che sopravvive alla sabbia, che anche oggi, spinta dal vento, sembra voler ricoprire ogni cosa. Verso mezzogiorno giungiamo a ridosso del monolito di Ben Amera, di cui ci si rende delle dimensioni solo quando si giunge ai suoi piedi. Alto 633 metri, è il più grande d'Africa e considerato il secondo al mondo dopo Uluru (Ayers Rock in Australia). Nei suoi paraggi vi sono altre rocce, tra cui il monolito di Aisha, secondo un detto locale la controparte femminile di Ben Amera, a causa della sua morfologia che richiama chiaramente le forme femminili. Pranziamo al sacco ai suoi piedi, in una zona di grandi massi dove artisti locali e non sono stati invitati a creare delle sculture avvalendosi delle rocce.

Molto particolare anche il piccolo villaggio a fianco del monolito dove, oltre alla tangibile sensazione di fine del mondo che caratterizza questi posti, tutto sembra essere stato costruito a partire dalle traversine di metallo della ferrovia, un tratto comune anche ai villaggi incontrati in seguito come Timichat e Legreidat. È una zona davvero remota, prova ne è che non abbiamo incontrato altro che locali, se escludiamo un paio di camion 4x4 da spedizione superattrezzati.

Eravamo già in notevole ritardo sulla tabella di marcia poi un'altra foratura che ha richiesto un intervento di circa 40' ha ulteriormente allungato i tempi. Abbiamo avuto il privilegio di vedere il sole tramontare lentamente ma siamo giunti destinazione a notte inoltrata. Al nostro arrivo troviamo un convoglio in stile Parigi-Dakar che sta facendo manutenzione ai propri mezzi di fronte al ristorante dove ceniamo.

GIORNO 8

Siamo a Nouadhibou dove evidentemente il porto da cui si esportano i minerali ferrosi trasportati dal treno del deserto e l'intensa attività peschereccia un po' di ricchezza la portano perché sento per la prima volta il ronzio di un'auto elettrica e, ancora più sorprendentemente, vedo una Mercedes nuova di fabbrica. La città, che sorge all'estremità di una piccola penisola, ha un porto brulicante di vita che non vuole mostrarsi: già da tempo non erano graditi i fotografi, ora addirittura è vietato l'accesso ai turisti. Peccato, perché le barche nel porto, addossate le une alle altre in maniera che sembra sfidare la legge sulla impenetrabilità dei corpi, sarebbero un soggetto interessante, viste su Google Maps paiono un disegno frattale.

Ci rechiamo a Cap Blanc, la punta estrema della penisola su cui sorge Nouadhibou (NDB per gli amici) che un po' mi sorprende. Non ero giunto fin qua in precedenza e dalle foto che avevo visto non mi sembrava niente di che. Dal vivo invece difficilmente lascia indifferenti: da un lato l'oceano aperto che ha scavato delle scogliere che combattono ogni giorno contro la potenza delle onde, dall'altro una laguna dove lingue di sabbia delimitano un habitat decisamente diverso dove cresce vegetazione e trovano rifugio uccelli acquatici. Anche da questo lato le scogliere sono particolari benché paiano piuttosto fragili.

La tappa successiva è decisamente meno convenzionale. Andiamo alla ricerca di navi abbandonate, cosa per cui NDB è stata tristemente famosa per molti anni, arrivando ad essere considerata il più grande cimitero navale al mondo per colpa di armatori senza scrupoli che, grazie alla connivenza delle autorità portuali, invece di far smantellare le vecchie navi secondo le norme, preferiscono lasciare i vecchi scafi in queste acque. Circa un anno fa, tutte le barche in "decomposizione" sono state vendute ai Cinesi, interessati a recuperare il metallo di cui sono fatte. Ma hanno già ricominciato ad apparirne di nuove, quando ci andiamo noi ne troviamo 7/8, in una piccola spiaggia stracolma di rifiuti di ogni genere, plastica in primis.

Dopo pranzo partiamo in direzione sud, dove dobbiamo pernottare in un campo tendato all'interno del parco nazionale di Banc d'Arguin. E ancora una volta la Mauritania si mostra per quel paese vasto che è. Servono circa 4 ore di guida per giungere a destinazione, anche stavolta con molto sterrato da percorrere. Quando raggiungiamo l'alloggio, scopriamo che più che tende sono dei bungalow e tutti gradiscono il "salto di qualità", anche se pare un posto di molto recente apertura visto che alcune cose ancora sono da sistemare: nella mia stanza - decorata con carta da parati che raffigura in serie delle torri di Pisa - non c'è l'interruttore della luce ma dei fili scoperti intrecciati. Chiedo come fare a spegnere e mi viene mostrato: basta staccare i fili, facile. Comunque l'addetto dell'albergo non è morto fulminato, la cosa mi rincuora. Poi, mentre stiamo facendo delle chiacchiere dopo cena, tutte le luci si spengono, quindi il problema di rimanere fulminati non esiste proprio più.

GIORNO 9

Giornata quasi interamente dedicata ai villaggi abitati dagli Imraguen, l'etnia composta da circa 5.000 individui che si dedica alla pesca in queste pescose acque. Sono gli unici autorizzati a pescare all'interno dell'area protetta dal parco nazionale di Banc d'Arguin, sito UNESCO. Tra i metodi tradizionali ce n'era uno, ormai non più praticato, che si effettuava con la collaborazione dei delfini. I pescatori Imraguen avevano imparato a comunicare con gli intelligenti mammiferi marini grazie a dei fischi: i delfini si avvicinavano a riva e facevano in modo che i cefali che di solito li seguono finissero nelle reti dei pescatori, i quali poi lasciavano una sostanziosa quota di pesce ai loro insospettabili collaboratori.

Il primo villaggio che visitiamo è quello di Iwik, a poche centinaia di metri dal nostro alloggio. C'è gente nel villaggio ma non ferve molta attività, gli unici un po' vivaci sono gli studenti che, ben poco timidi, mi chiedono di essere fotografati. Tutti immancabilmente  assumono pose da rapper afroamericano, con sguardo da duro e cappuccio della felpa calato in testa, uno addirittura vuole essere fotografato di spalle, una posa probabilmente vista adottare da qualche idolo musicale.

In un altro "villaggio" nei pressi non c'è nessuno, poche case e tutte disabitate ma i segni dell'attività di pesca sono molti: pesci morti sparsi un po' dappertutto, cormorani che attendono appollaiati sull'albero di una barca in secca, carapaci svuotati e piccoli cumuli di enormi conchiglie. Proseguiamo verso sud e ci fermiamo a Chami dove, dopo una passeggiata fotografica, pranziamo in un ristorante locale, dove dubito vedano molto spesso turisti occidentali.

Riprendiamo il cammino e, dopo un'altra ora abbondante di guida (ma quanto è grande la Mauritania?), entriamo in un altro villaggio Imraguen: Lemheijratt. C'è attività. Degli adulti stanno squamando dei pesci, poi giunti in spiaggia vediamo decine di barche in acqua, alcune delle quali stanno scaricando il pescato del giorno. La gente è molto cordiale e si lascia fotografare, che differenza col porto di NDB! Peccato solo che moltissimi pesci siano lasciati andare a male (o forse lasciati in pasto agli uccelli) nella sabbia, sembra quasi che ai pescatori interessi di più estrarre le uova per ricavarne la bottarga che mangiare o vendere il pesce. Ultimi 100 km e siamo di ritorno nella capitale Nouakchott (NKC per gli amici), per l'ultima notte in terra mauritana.

GIORNO 10

Ultima giornata in Mauritania, in pratica un giorno in più ottenuto grazie alla partenza a notte inoltrata. Partenza con calma (anche se uno dei nostri è partito alle 7:00 per tornare al mercato dei cammelli) e facciamo sosta presso la deliziosa Zeinart Gallery dove la proprietaria, di origini portoghesi, mette in vendita un riuscito mix di arte, artigianato pregiato e antichità come molto raramente è dato trovare in Africa. La signora è cordiale e decisamente eclettica, come dimostrato anche dalle galline di diverse razze che ci accolgono nel cortile antistante alla galleria.

In seguito recuperiamo la visita al Museo Nazionale che avevamo trovato chiuso il primo giorno. Diviso in due parti - quella archeologica e quella sulla vita tradizionale - è un interessante compendio del paese e dei suoi usi e costumi.

Poi sosta nella zona in cui si trova una decina di negozi di souvenir/artigianato/antichità, il livello non è paragonabile a quello della galleria ma non mancano oggetti simpatici e di poco costo.

 

Dopo pranzo ci rechiamo nella zona del mercato del pesce della capitale. È un posto affollatissimo, ci sono migliaia di personaggi al lavoro anche se per lo più neri - pochi gli arabi - tra quelli che sono in spiaggia tra centinaia di colorate imbarcazioni e quelli che dividono il pescato, quelli che lo puliscono e quelli che lo comprano. C'è anche tutto il resto come negozi, bancarelle di street food e biliardini. Sfortunatamente però è una giornata piuttosto ventosa e la maggior parte delle barche pare ancorata in rada mentre in un mio viaggio precedente vidi file di lavoratori scendere in mare fino alle barche a una 20ina di metri dalla battigia per caricare sulla testa dei contenitori di plastica colmi di pesce. Oggi queste scene non si vedono ma rientriamo in albergo con ancora negli occhi le vivaci scene offerteci dal mercato del pesce.

Tour accompagnato per conto di Namaa Travel Photography.

Copyright Roberto Cornacchia 2007-2025

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