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SULLA SELLA DI UN VERO VIETNAMITA

Viaggio nel Vietnam del Nord, Novembre 2011

 

 

PREPARATIVI

Seconda tappa di un ideale "trittico delle minoranze etniche asiatiche" la cui prima tappa è stata quella nelle provincie del Guangxi e del Guizhou nella Cina meridionale di aprile dell'anno scorso. Il Vietnam Settentrionale non è un territorio a me completamente ignoto, visto che nel 1997 vi feci una capatina all'interno di un viaggio dal più classico itinerario Saigon-Hanoi. Fu un breve toccata e fuga: io e il mio compagno di zingarate di allora prendemmo un volo interno con partenza da Hanoi e arrivo a Dien Bien Phu (atterraggio "con rimbalzo", lo ricordo ancora...), località nota soprattutto per gli importanti fatti bellici che vi ebbero luogo negli anni '50. Poi, una volta sul posto, gli arrugginiti ricordi di quegli scontri che segnarono il destino di questa parte di mondo lasciarono il campo alle spettacolari minoranze etniche di quelle terre, qualcosa che mi aveva sempre interessato ma che non avevo ancora approfondito. Fu come aprire uno scrigno: col senno di poi posso dire che quella tappa, non prevista in sede di preparazione dell'itinerario, fu un po' come il seme piantato che in seguito ha generato un albero. Ora qualsiasi mio viaggio, in particolar modo se in solitaria come questo, prevede nel suo svolgersi di incontrare e conoscere qualche minoranza etnica.

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Erano altri tempi, però. Il Vietnam aveva aperto da appena quattro anni questa zona ai visitatori occidentali, dopo che le aveva chiuse a seguito del tentativo di invasione della Cina del febbraio 1979, in risposta agli attacchi vietnamiti in Cambogia agli alleati khmer rossi, respinto in appena 4 settimane. Per anni gli unici bianchi che potevano circolare in queste zone furono i tecnici sovietici, mandati dalla Madre Russia a cui i Vietnamiti si erano rivolti per trovare un alleato che li proteggesse dall'ingombrante vicino. Arrivammo in aereo verso mezzogiorno e avevamo il volo di rientro per la capitale circa alla stessa ora del giorno successivo. Dire che la città non fosse attrezzata per il turismo è un eufemismo: un solo albergo nei pressi dell'aeroporto, nessun taxi, nessun autonoleggio, nessuna agenzia di viaggi locale, nessuna guida. Avendo visto che tutti si spostavano su motociclette, di proprietà oppure con passaggi pagati, ci rivolgemmo a uno di questi motociclisti, trattando la cifra per il "noleggio" scrivendo a penna i numeri su un pezzo di carta, non conoscendo noi il vietnamita né lui l'inglese. Senza mappe del luogo, vagammo a sentimento per alcune ore, calcolando il rientro in base alle ore di luce rimaste, su una già allora vecchia Minsk 125 che nel giro di pochi chilometri ruppe, in rapida successione, sia i freni che la frizione, che riuscimmo a far riparare in un villaggio. Oltre al colorato mercato cittadino, ammirammo alcuni paesaggi spettacolari ma soprattutto alcuni villaggi che parevano non aver mai visto occidentali: la gente, rigorosamente in abiti tradizionali, spesso rimaneva bloccata nel vederci e, passato il primo momento di stupore, diventavamo l'attrazione principale con i più sfacciati, i bambini, che ci venivano a toccare e a tirare i peli delle braccia, che loro non avevano, per controllare che non fossero posticci. Una sensazione da "primo contatto" che raramente ho provato in seguito ma sapevo anche che, tornandovi ora, non sarebbe più stata la stessa cosa.

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Ho le solite due settimane e mezzo a disposizione e posso vedere una bella fetta delle zone di montagna che mi interessano. Comincio col cercare tra le varie agenzie locali quelle che offrono itinerari di 2 settimane e ne trovo alcune che propongono tragitti abbastanza completi, anche se so già che alla fine avrò bisogno di un itinerario su misura perché Dien Bien Phu e dintorni li ho già visitati e quindi vorrei concentrarmi sulle altre aree. Il primo punto da chiarire è come viaggiare: se con auto, autista (in Vietnam per un turista non è possibile noleggiare l'auto) e guida al seguito oppure se in moto, con pilota o senza. I costi variano parecchio anche perché, pigliando l'auto, poi servirebbe anche una guida, visto che gli autisti non sono praticamente mai in grado di parlare un inglese sufficiente. Poiché voglio viaggiare con due corpi macchina, mi rendo conto che viaggiare in auto sarebbe un bel po' più comodo e mi permetterebbe di tenere le macchine a portata di mano, pronte all'uso in caso di incontri interessanti mentre in moto, oltre al rischio pioggia, durante gli spostamenti dovrei tenerle nello zaino, con ovvie complicazioni e rallentamenti nel tirarle fuori. Poiché, nonostante il mio "annuncio" sul forum in inglese della Lonely Planet, non riesco a trovare compagni di viaggio coi quali condividere i costi dell'auto, alla fine propendo per la moto guidata da un pilota. Per le macchine studio un metodo che mi consenta di essere, per modo di dire, più agile. Posseggo un robusto cinturone al quale si può attaccare una reflex e allora vi appendo due astucci per le macchine. Quando scendo dalla moto, con casco in testa, zaino piccolo in spalle e i due astucci a mo' di pistolero, non sono tanto diverso dai soldati USA di Desert Storm. Soluzione con vantaggi (non c'era bisogno di aprire lo zaino tutte le volte) e svantaggi (sempre un certo peso addosso e comunque un accesso alle macchine non così immediato), ma direi il miglior compromesso possibile.

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Dopo aver contattato alcune agenzie locali con base a Sapa (dove i costi di norma sono inferiori ad Hanoi ed è più probabile avere a che fare con chi conosce bene le minoranze etniche), aver enfatizzato i miei interessi specifici ed aver verificato che le tariffe sono più o meno sempre le stesse, procedo quindi nella definizione dell'itinerario col tour operator che fin da subito mi pare quello più dettagliato e che mi specifica, zona per zona, quali etnie potrò vedere. Una cura che altri t.o. non hanno dimostrato, limitandosi a più generici itinerari con le tappe e basta. Seguono frequenti scambi di mail per meglio definire le zone da visitare e le conseguenti tappe e io, come mi è usuale, intervengo spesso per meglio definire il tutto allo scopo di non perdermi niente di quello a cui tengo. Cosa che avrà il suo peso sulle sorti del viaggio: il t.o. mi dirà poi, quando lo incontrerò l'ultimo giorno, che siccome dimostravo di sapere parecchie cose sulle zone da visitare ("più di quelle che sanno buona parte delle guide vietnamite" mi dice e io gonfio metaforicamente il petto come un papà che vede il proprio figlioletto segnare in rovesciata alla partita dei pulcini), decise di cambiare il pilota che mi aveva inizialmente assegnato dandomi il migliore a sua disposizione. Ma il "migliore" in che senso? Il migliore in assoluto o solo il migliore a guidare visto che mi riteneva relativamente bisognoso di guida? Non l'ho mai capito. Nel frattempo chiedo al t.o. di trovarmi nelle librerie di Hanoi (visto che su internet costano il doppio e il quadruplo a farli spedire) la migliore mappa stradale del paese e un paio di libri sulle minoranze etniche (per la precisione i due testi di Tim Doling, Mountains and Ethnic Minorities: North West Vietnam e Mountains and Ethnic Minorities: North East Vietnam:). Il solerte t.o. mi procurerà subito un dettagliato stradario (Giao Thong Duong Bo Viet Nam) mentre il testo di Doling sul North West (purtroppo non quello sul North East), assieme ad Ethnic Minorities in Vietnam (di autori vietnamiti), che si riveleranno indispensabili per la buona riuscita del viaggio, mi verranno consegnati alcuni giorni dopo a Cao Son, dove sono previste due notti consecutive.

Risaie terrazzate nei pressi di Sapa​​​

IL VERO VIETNAMITA

Nel mio viaggio in Cina avevo avuto la possibilità di scegliere tra una guida cinese e un'occidentale e scelsi la seconda opzione, perché non mi sembrava avesse un gran senso andare a visitare delle minoranze etniche a fianco di chi apparteneva alla stessa maggioranza che le aveva sconfitte e poi emarginate, senza contare che spesso l'etnia dominante nutre, di norma, poco rispetto quando non proprio disprezzo nei confronti delle minoranze. Un po' come andare a visitare un campo Rom con Borghezio come guida. Fu un'ottima scelta perché Keith, neozelandese da anni in Cina, si rivelò perfetto: un vero backpacker, estremamente rispettoso delle minoranze ma anche un ottimo fotografo, nonché scrittore di guide di viaggio e articoli sportivi. I punti di contatto col sottoscritto erano parecchi. In Vietnam non ho avuto la possibilità di fare questa scelta. Ero perfettamente conscio che con un vietnamita sarei stato in minor sintonia di quanto non lo sia stato col suo predecessore, ma nemmeno potevo pensare di prendere una guida appartenente alla minoranza visitata (anche se avevo trovato una ragazza H'mong per l'area di Sapa), visto che ne avrei viste almeno una dozzina di diverse. E così dall'Occidentale Rispettoso sono passato al Vero Vietnamita.

IL VERO VIETNAMITA È UN FIGO
Mi aspetta (per modo di dire, visto che giro mezz'ora prima di beccarlo) alla stazione di Lao Cai e subito si palesa come quanto di "meno tradizionale" possa pensare. Cappelli tagliati a cresta, Rayban scuri, sigaretta perennemente appiccicata al labbro, jeans rigorosamente sdruciti e gonfi a mostrare portafoglio, cellulare e pacchetto di sigarette, abbigliamento sempre "firmato" Dolce&Gabbana, Calvin Klein, Nike e tendenzialmente sul nero. Sembra quasi una copia del "cattivo" giapponese che tormenta Michael Douglas in "Black Rain" in salsa vietnamita. Tornati a Sapa ha modo, a differenza di me, di rinnovare il guardaroba e sfoggia un attillato giubbotto di pelle (che definisce "very espensis") che a suo dire tutti gli invidiano. La prima cosa personale che mi dice è che fa kick boxing e subito mi invita a dargli un pugno sul braccio per verificare la consistenza della muscolatura, dopo averla opportunamente contratta. Uno degli ultimi giorno l'ho fotografato assieme alla sua seconda e attuale moglie (piuttosto carina e comunque decisamente curata, per essere una vietnamita, spesso in minigonna o leggins e tacchi alti). Nel vedere lo scatto sul display della macchina il suo commento è stato: "Sono proprio bello". Del resto con le donne si tratta bene: "Vado solo con donne belle", afferma sicuro di sè ma anche: "Sono sposato e quindi fedele". Non mi risulta abbia cornificato la moglie in viaggio, anche se, a sentire lui, avrebbe avuto più d'una occasione. Ma ve le descriverò di volta in volta nel prosieguo del racconto.

IL VERO VIETNAMITA È IL RE DELLA STRADA
Un fondo di verità ci sarebbe anche (lo afferma anche il t.o. che è bravo), di sicuro non fa nulla per nasconderlo: afferma in continuazione di essere un ottimo pilota; sorpassa tutto il sorpassabile anche quando le condizioni della strada o l'approssimarsi di curve cieche lo sconsiglierebbero; ad ogni sorpasso lancia uno sguardo di sfida al malcapitato in perfetto stile Gassman ne "Il sorpasso" così come a quelli che lo rallentano; usa il casco solo nei pressi delle città più grosse per paura di essere fermato/multato (in Vietnam sono praticamente sinonimi) e per il resto del viaggio lo tiene infilato sullo specchietto laterale nonostante debba infilare la mano attraverso la visiera per accedere alla manopola. Se trova un cane o un altro animale in mezzo alla strada, invece di cercare di evitarlo, lo avvicina per tirargli un calcione ("colpirne uno per educarne cento" come dice Abatantuono in "Nel continente nero", tanto per rimanere in ambito di citazioni cinematografiche) ma con scarse percentuali di successo: ricordo un solo guaito su una decina di tentativi.

IL VERO VIETNAMITA È IL NUMERO UNO IN TUTTO QUELLO CHE FA
Gioca a biliardo, come tutti i vietnamiti a soldi, ed è, a suo dire, il migliore di tutta Sapa e potrebbe anche essere non del tutto falso visto che più di una volta l'ho visto vincere dei soldi. Si dichiara fortissimo anche a carte, e pure in questa "disciplina" gli ho visto mettersi in tasca le vincite. Mai visto giocare a poker, ma anche lì sostiene di essere il migliore della città. Ah, le lingue. Pure in quelle è versatissimo: parla, dice lui, inglese, francese, spagnolo, giapponese, cinese, ecc. Secondo me voleva dire che conosce almeno una parola in quelle lingue, perché, cominciando dal più facile, il suo inglese è a dir poco maccheronico. Non vi dico quante bestemmie ho tirato dopo aver capito che il "basbox" era in realtà il "passport", che "vinis" stava "village" e che "marriage" indicava indifferentemente "matrimonio", "moglie/marito" e "sposata/o". Ma mi rimane tutt'ora il dubbio sul significato del più volte ricordato "picnis". Forse "business". Boh. Si ritiene anche un'ottima guida ma al mio sguardo tra il perplesso e il canzonatorio specifica: "Solo dell'area di Sapa, che conosco come le mie tasche".

IL VERO VIETNAMITA HA IL SENSO DEGLI AFFARI
Fare il pilota per i turisti (attività comunque piuttosto remunerativa rispetto agli standard vietnamiti) non è la sua principale attività, o almeno non l'unica. Possiede anche un bar di cui favoleggia di incassi anche da 400/500$ a sera, benché nelle due volte che ci sono stato io non ci fosse praticamente un'anima viva ad ascoltare la musica techno a tutto volume scaricata a gratis dal web. Ma pensa in grande: vorrebbe metter su un business con le moto usate (comprare quelle usate dalle donne e quindi non sottoposto a particolare logorio) e rivenderle, aprire un secondo bar a Bat Xat (dopo aver verificato che non ce n'erano) ma in particolare spostare il suo bar dall'attuale bugigattolo all'edificio alto e moderno che gli stanno costruendo a fianco. Ci andrà in affitto e così avrà posto anche per far ballare, per i suoi amati biliardi e una bella finestra grande con vista sul sottostante mercato (coperto, non una gran vista a mio parere). Ovviamente non si farà scrupoli per accontentare i suoi clienti che dovranno poter trovare tutto quello che desiderano per passare una bella serata: dalla buona musica ai cocktail più fantasiosi, dalla marijuana, all'oppio e alle ragazze "disponibili". Un ospite squisito, cosa non farebbe per i proprio clienti...

Il Vero Vietnamita attraversa un ponticello con la moto.

Raccontato al bar, questo potrebbe trasformarsi in un pericolosissimo attraversamento a nuoto.​​​

I/II - SONNI DISTURBATI


Cerco il biglietto ferroviario per Milano Centrale sul sito di Trenitalia che subdolamente sembra proporre solo il costoso Freccia Rossa da 46€ di sola andata. Bisogna cliccare sul pulsante "tutte le soluzioni" per scoprire che con un Intercity il prezzo è quasi la metà: 27€. È sabato, impiegare un'ora in più non mi è particolarmente scomodo e scelgo di risparmiare. Invece che pagare il biglietto on-line, per una naturale ritrosia verso i pagamenti via web, passo dalla biglietteria della stazione e il bigliettaio mi chiede: "Lo vuole lo sconto del 30% sul tratto Bologna-Milano?", fintamente dubbioso di sfondare una porta aperta. "Certo!" e alla fine pago 21€. Misteri della semplificazione internettiana.


Dalla stazione di Milano Centrale prendo il bus navetta per Milano Malpensa e faccio check in perfettamente in orario presso i banchi della LOT. Lo stop over nella capitale polacca è di appena 1 ora e 5 minuti ma, forse anche complice un piccolo ritardo nella partenza del secondo volo durante il quale ho potuto dormire ben poco a causa di alcuni rumorosi polacchi, all'arrivo a Hanoi il bagaglio si presenta puntuale sul nastro. Arrivo verso le 15:00. Mi accoglie uno tarchiato, col ciuffo disordinato, che ha il mio nome scritto sul cartello: mi mette su un taxi e non lo vedo più. Vengo recapitato negli uffici dell'agenzia locale, di fatto una stanza sopra a una specie di baretto, dove incontro il proprietario dell'agenzia, un giovane vietnamita originario di Sapa e dal buon inglese, col quale avevo definito i dettagli dell'itinerario. Disponibilissimo, mi ha procurato la mappa che avevo chiesto, o per meglio dire uno stradario che suddivide il paese in 61 cartine. Gli altri libri che avevo richiesto, sulle minoranze etniche non erano disponibili, ma li ha ordinati: dovrebbero arrivare a giorni e me li farà avere lungo il percorso. Inoltre manda una sua impiegata a cambiare gli euro, a una tariffa più vantaggiosa di quella ufficiale (28.900 dong contro i 28.600 ufficiali). Poi, con una mossa che apprezzo, mi dice anche che il pagamento della sua parte (moto+pilota) posso farlo a viaggio ultimato quando ritornerò ad Hanoi.

In attesa di prendere il treno notturno per Lao Cai, ho qualche ora di tempo e quindi prendo la direzione del Quartiere Vecchio, vero fulcro cittadino, ma quando mi ritrovo a dover attraversare una specie di tangenziale nella quale scorre un fiume di motorini, considerato che alle 21:50 ho il treno, decido di non complicarmi l'esistenza: ciondolo un po' nel quartiere dove mi trovo e poi torno all'ufficio a sfruttare la connessione internet dell'agenzia. Un altro impiegato (ma quanti sono? L'impressione è che in realtà siano tutti amici/conoscenti che si prestano saltuariamente) mi porta alla stazione dei treni dove la porta per l'accesso alle banchine viene tenuta chiusa fino a quando il treno non è arrivato. Poi viene aperta e tutti si riversano verso i treni, mescolandosi con la folla di quelli che scendono e che escono alla spicciolata, nessuno passando per la stazione anche perché in realtà è tutto decisamente "aperto" e allora non mi spiego la porta chiusa di poco fa. Individuo la mia carrozza, quella della categoria più lussuosa con scompartimenti da quattro cuccette "morbide", e i miei compagni di viaggio sono tre signore vietnamite tra i 50/60 anni, ovviamente nessuna in grado di esprimersi nella lingua di Albione. Il treno parte e comincia pian piano a prendere velocità mentre passa, senza nessuna protezione, vicinissimo alle case: dalle finestre e porte aperte scorgo gente intenta a cenare, a giocare a carte, perfino un internet cafè i cui clienti, più che navigare sul web, giocano a videogame. Qualche chiacchiera con un vicino di scompartimento, un vietnamita che lavora coi turisti e che sta andando a Sapa con dei suoi amici, e poi vado nella mia cuccetta, in alto, a iniziare un altro sonno interrotto e ripreso più volte, più a causa dei rumori e delle luci delle stazioni che dal jet leg.

Paesaggio nei pressi del passo Tram Ton​

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