FOTORACCONTO BHUTAN & INDIA ORIENTALE NOVEMBRE 2023
(per vedere le didascalie, clicca sulle immagini delle slideshow)
FIGLI DI BHUTAN - i
Comincia un viaggio che toccherà due paesi: dapprima il Bhutan e poi l'India Nord Orientale.
In realtà l'idea iniziale era quella di visitare solo la parte tribale dell'India a est del Bangladesh ma poi vi ho aggiunto il piccolo paese himalayano a cui, a causa dell'esoso visto (200 dollari al giorno, poi dimezzato dall'01/09/2023 ma quando avevo iniziato a programmare il viaggio valeva ancora la cifra iniziale, a cui aggiungere la guida obbligatoria), non voglio dedicare un viaggio intero. Decido quindi per una toccata e fuga, due giorni pieni e ripartenza la mattina del terzo giorno, in cui bisogna ugualmente retribuire la guida anche solo per farsi portare all'aeroporto. Probabilmente i turisti disposti a pagare tali cifre, anche causa pandemia, sono diminuiti e si sono resi conto che era meglio abbassare il costo del visto giornaliero per non veder diminuire gli introiti portati dal turismo.
Il Bhutan è una piccola monarchia, scarsamente abitata (circa 700mila abitanti), estremamente montuosa e ricca di foreste ma piuttosto povera (poco più di 3.000$ di reddito medio annuo pro capite), priva di una rete ferroviaria e ancora largamente basata su un'economia tradizionale legata all'agricoltura e all'allevamento. La minacciosa vicinanza della Cina ha spinto il paese a stringere stretti rapporti con l'India - a cui esporta buona dell'energia prodotta dai suoi impianti idroelettrici - che difatto ne protegge i confini. È noto che il Bhutan persegua, più che l'innalzamento del P.I.L., la crescita della F.I.L., vale a dire la Felicità Interna Lorda, cioè che ponga - in base a quanto stabilito dal re Jigme Singye Wangchuck negli anni '70 - la persona al centro attraverso lo sviluppo di cinque obiettivi principali: lo sviluppo umano, il buon governo, lo sviluppo equilibrato ed equo, il patrimonio culturale e la conservazione dell'ambiente.
Il turismo è in crescita: le frontiere vennero aperte per la prima volta nel 2002 e portarono 6.000 ingressi ma prima della pandemia si superavano già i 300.000 ingressi all'anno, principalmente provenienti dall'India (i cui abitanti una volta erano gli unici a non pagare il visto, da qualche anno anche a loro viene richiesto, benché di importo molto più basso circa 13€ al giorno). La salata tassa giornaliera imposta si spiega col tentativo di limitare gli ingressi stranieri (e gli inevitabili ripercussioni culturali che comportano) ma generare ugualmente reddito, in controtendenza col vicino Nepal. La volontà del piccolo regno di mantenere intatta la propria cultura (e pertanto anche la peculiarità) è evidente: è vietatissimo fotografare dentro ai luoghi sacri (al monastero di Taktsang oltre a macchina fotografica e smartphone, vanno lasciati negli armadietti anche gli occhiali da sole); è ancora piuttosto diffuso il gho, l'abito tradizionale maschile a forma di vestaglia che arriva alle ginocchia; è obbligatorio costruire qualsiasi edificio - anche quelli dell'aeroporto - nello stile architettonico tradizionale; è vietato fare alpinismo, perfino a Messner è stato impedito di scalare il Gangkhar Puensum di 7.570 metri, tutt'ora la più alta montagna mai scalata dall'uomo.
La prima visita è al tempio di Tachog Lakhang, dedicato a colui che ha inventato (almeno da queste parti) i ponti sospesi. C'è ancora quello vecchio di qualche secolo ma ora si usa quello nuovo, per motivi di sicurezza, tempestato di bandierine multicolori di preghiere. Nei pressi dell'edificio vi sono dei pali che una volta facevano garrire al vento le bandiere bianche issate in ricordo dei defunti, mentre quelle colorate portano fortuna
Segue la visita al Museo Nazionale ospitato in un'antica torre di guardia. L'interno è pieno di antichi thangka (dipinti su seta a carattere religioso) e antichi abiti e utensili ma non posso mostrarveli perché è vietato fotografare, posso però farvi godere la stupenda veduta sulla Paro Valley che si gode da lì
Il sito successivo è l'antica fortezza (per me enorme ma non una delle più grandi del paese) al cui interno la vita dei monaci e novizi si mescola con quella governativa che occupa metà degli spazi
Qua sono tutti Buddhisti, non uccidono animali (ma se ne cibano) e quindi le vacche si sentono completamente padrone sia di occupare il centro delle strade che di fare un salto presso la fortez
Poi un breve giro nel centro di Paro (circa 50K abitanti), dove sui muri di una casa si vede un inequivocabile simbolo di buona fortuna. Poi a nanna presto perché domattina ci alza all'alba
FIGLI DI BHUTAN - II
Oggi giornata in larga parte dedicata al Taktsang Palphug, meglio noto come la Tana della Tigre, l'immagine simbolo del Bhutan. Si tratta di un complesso buddhista costruito su una vertiginosa parete a picco a partire dal 1692 attorno a una grotta nella quale nel VII secolo Padmasambahva (colui che portò il buddhismo in Bhutan) meditò per 3 anni, 3 mesi e 3 giorni. Nel 1998 un incendio lo devastò quasi completamente (si salvò solo una statua che ora viene considerata miracolosa). I lavori di restauro cominciarono subito e terminarono nel 2004. L'impegnativa salita (800 m di dislivello in salito e 120 m in discesa) per accedere al complesso ha richiesto (comprese le soste nell'unica cafeteria per colazione e pranzo) circa 5 ore, ma per chi ha difficoltà è possibile fare una parte del percorso su dei cavalli, non tutto perché negli ultimi oltre 700 gradini non sono ammessi.
La guida aveva in programma di portarci all'ennesimo tempio ma l'abbiamo convinto a cambiare programma: ci siamo fatti lasciare in un villaggio fuori mano e, grazie alla mia solita faccia da culo romagnola, siamo riusciti a farci accogliere in una casa locale, stringendo amicizia con una deliziosa vecchietta
Abbiamo poi visitato un tempio nuovo ma con la fortuna di imbatterci in un gruppo di giovani monaci che suonavano e cantavano, una specie di concerto a nostro esclusivo uso e consumo. Come in tutti i luoghi sacri del Bhutan, vietatissimo farw foto o video, e quindi ho fatto foto all'esterno, a dei novizi che tagliavano i rami di un albero per poi bruciarlo
Chiusura in polleggio con un meritatissimo bagno con l'acqua riscaldata da pietre di fiume arroventate, una tradizione in Bhutan. Oltre al calore (non saprei dire la tempetatura, 50°), è considerata una pratica curativa per via dei minerali rilasciati dalle pietre e dalle sostanze curative delle foglie di artemisia
P
INDIA-VOLATI - III
Oggi giornata di trasferimento. Stamattina siamo ripartiti da Paro per tornare a Calcutta e poi con un volo interno per giungere a Dibrughar, nello stato indiano dell'Assam (da qui il fantastico titolo della giornata 😬). L'aeroporto di Paro è veramente particolare: praticamente è costellato di salotti con divani e tutte le pareti hanno dipinti di artisti locali, in vendita con tanto di QR code. In compenso non esiste nemmeno un tabellone dei voli in partenza ma comunque basta chiedere maggiori info ai 2 soli gate disponibili. Giunti a Dibragarh, la guida che ci aspetta non ha soverchie difficoltà nell'individuarci: siamo gli unici occidentali a uscire dall'aeroporto
La guida, di etnia Apatani, ci accoglie con tanto di sciarpa di benvenuto. Partiamo subito perché abbiamo 3 ore di strada prima di giungere a Lakhimpur, una tappa intermedia nel nostro spostamento verso l'Arunachal Pradesh. Comincio a cogliere i primi indizi del cambiamento di scenario: clima più caldo e umido, gente in ogni dove, strade trafficate e popolate da aspiranti suicidi, bancarelle in ogni angolo di strada. Ci fermiamo per una sosta e un tipo ci sorride e saluta calorosamente. Dice di essere una guida, ci porta una confezione di dolcetti di riso e cocco che ci regala, prima di chiederci un selfie di gruppo, felice di averci incontrato. Così è l'India, a volte capace di indicibili miserie ma anche di slanci non meno sorprendenti. Giunto in albergo, non tarda a rivelarsi l'altra faccia della medaglia di questo magico paese dalle grandi contraddizioni, a cui manca spesso in soldo per fare una lira. In bagno il boiler è acceso ma l'acqua calda è un miraggio (avvisati due diversi componenti dello staff dell'albergo, senza esiti); a cena - avevamo telefonato per ordinare - ci portano il cibo ma non piatti e posate, se non dopo insistita richiesta. Qua gli avventori preferiscono mangiare in camera (fuori da quasi ogni stanza ci sono i resti di un pasto, solitamente assediati da formiche), infatti al ristorante dell'albergo siamo gli unici, come testimoniato anche dal fatto che il mattino dopo il nostro tavolo è così come l'abbiamo lasciato, con i piatti sporchi. Il wifi in albergo ci sarebbe anche ma è "scarico" (immagino significhi che non lo pagano) almeno lo facessero presente quando qualcuno chiede la password. Non sono posti da influencer.
Mando queste righe nell'etere come una volta si faceva con i messaggi in bottiglia, non so quando vi giungeranno, ma se non mi leggerete regolarmente è probabile che il motivo sia per cose del genere e non perché mi hanno tagliato la testa.
Ah, non ve l'avevo detto? Fra qualche giorno sarò in mezzo a dei tagliatori di teste, ma non di quelli che lavorano per il reparto Risorse Umane di qualche multinazionale. Di questi fighissimi personaggi vi parlerò a tempo debito.
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FIGHI D'INDIA - IV
Giornata che doveva essere interlocutoria e di avvicinamento all'area abitata dagli Apatani e invece succedono cose che la cambiano.
I dintorni di Lakhimpur sono ricchi di piantagioni di tè, ne avevamo intraviste anche ieri ma era tardi e non c'era nessuno nei campi. Stamattina invece vediamo tante donne intente a raccogliere le foglie migliori e quindi ci tuffiamo in mezzo a loro, portando come al solito scompiglio, risate e suscitando curiosità. Le donne (forse un centinaio) sono pagate a cottimo e raccolgono in media dai 24 kg in su al giorno. Molte sono pure ben truccate, col colore del rossetto che rivaleggia in vivacità con quello della "tika" in mezzo alla fronte, alcune portano il caratteristico cappello di paglia conico tipico dell'Assam. Capitiamo poco prima della pausa, durante la quale pesano quanto raccolto fino a quel momento e non si fanno mancare una tazza di tè prodotta da un vecchio ma capace macchinarioj
Attraversiamo un villaggio che si chiama Budh Bazar, che significa "mercato del mercoledì". Infatti. Ci aggiriamo un po' e compriamo della frutta, prima di sottoporci al controllo di polizia (sono necessari appositi permessi) prima di entrare nello stato dell'Arunachal Pradesh. Vediamo anche la diga che ha regimentato le spesse impetuose acque del fiume locale, incastonata in una valle verde smeraldo.
Poi faccio fermare il driver in un villaggio di etnia Nyishi, che conosco in quanto produttori di un cappello tradizionale molto caratteristico e che spero di trovare. In un negozio ne hanno alcuni ma, a differenza di quelli antichi che ho visto in collezioni museali, quelli odierni non usano più il becco del bucero (ora vietato per legge) ma una copia in legno dipinto. Per ora rinuncio, chissà che non ne trovi in seguito.
Procedendo ci sorpassa un furgoncino con dei quarti di bovino appesi nel cassone e delle strane "borse" di paglia intrecciata. Chiediamo alla guida cos'è quella roba e ci dice che sono doni tradizionali di matrimoni, al quale probabilmente il furgoncino sta andando. Come nei migliori film polizieschi, intimiamo il "segua quella macchina!" al nostro driver e poco dopo ci ritroviamo in mezzo al lieto evento, nel quale ci intrufoliamo con consumata esperienza. La fortuna aiuta gli audaci. È il gruppo della famiglia dello sposo, la maggior parte dei convenuti è in abito tradizionale e sono molti i cappelli maschili. Ne trovo pure uno col vero becco di bucero (e pure una zampa d'aquila con tanto di artigli) ma è lui il primo a dire che se glie lo trovano rischia dei guai. Ci offrono birra locale, facciamo foto e ci sottoponiamo a vari selfie. Poi, trascinando tre grossi bufali (regalo della famiglia dello sposo alla sposa), diparte una processione in cui molti portano sulle spalle cibo o bibite per gli sposi. Dopo un mezzo km circa, la sfilata giunge presso un campo sportivo dove è stato montato un gigantesco tendone con i tavoli per i convenuti. In attesa ci sono il gruppo dei parenti della sposa. Dapprima si affrontano a distanza, sembra quasi stiano bisticciando ma è un "litigio rituale" finito il quale si stringono le mani, come fanno poi tutti gli altri, prima di ammucchiare in un magazzino tutti i doni. Secondo una stima della guida, saranno circa 500 invitati per ognuno dei due clan. A malincuore ce ne dobbiamo andare prima che faccia buio, non prima di aver incontrati i giovani sposi.
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FIGHI D'INDIA - V
Giornata interamente dedicata agli Apatani, l'etnia di origine tibetana (con molte similitudini con i Nyishi incontrati ieri) di circa 45.000 individui che abita a Ziro e dintorni.
Sono considerati degli abilissimi contadini, al punto che l'UNESCO ha valutato l'iscrizione del loro sistema agricolo (che non prevede l'utilizzo né di macchine né di animali) tra i patrimoni culturali dell'umanità da salvaguardare. Coltivano principalmente riso in risaie allagate e, nei periodi in cui le risaie sono inoperose, nei canali coltivano pesci, un sistema che ha eguali solo in Giappone.
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FIGHI D'INDIA - V
Giornata interamente dedicata agli Apatani, l'etnia di origine tibetana (con molte similitudini con i Nyishi incontrati ieri) di circa 45.000 individui che abita a Ziro e dintorni.
Sono considerati degli abilissimi contadini, al punto che l'UNESCO ha valutato l'iscrizione del loro sistema agricolo (che non prevede l'utilizzo né di macchine né di animali) tra i patrimoni culturali dell'umanità da salvaguardare. Coltivano principalmente riso in risaie allagate e, nei periodi in cui le risaie sono inoperose, nei canali coltivano pesci, un sistema che ha eguali solo in Giappone.
I villaggi (ne abbiamo visitati 7) sono costituiti da abitazioni di legno e bambù sopraelevate, di norma con una piccola veranda frontale. All'interno vi è un fuoco nel centro della stanza principale sopra al quale vi è una catasta di legna. I villaggi sono costellati da "lapang" (piattaforme rettangolari, a volte coperte) per ogni clan/famiglia dove tradizionalmente ci si raduna (solo gli uomini) per le decisioni importanti, anche se li abbiamo visti spesso adibiti a magazzini temporanei di materiali edili. Ancora più numerosi sono i "babo", alti pali con decorazioni che rappresentano il potere dei clan: più sono alti e più è potente/numeroso il clan (perché più è alto l'albero dal quale lo si ricava e più è difficile portarlo giù dal bosco). Di fronte alle abitazioni ci sono piccoli "altari" di bambù e saltuariamente "casupole" più grandi, sempre a scopo protettivo. Abbiamo visto anche un cimitero, dove i defunti vengono interrati senza lapidi, solo ai personaggi più eminenti vengono dedicate delle "torrette" arricchite con un teschio animale (di norma un bovino) e piccole offerte. Ogni villaggio ha un luogo "maledetto": è dove si fanno offerte agli spiriti maligni perché non portino guai.
Particolare la situazione religiosa: storicamente gli Apatani sono animisti ma negli anni '70, per contrastare la crescente diffusione del cristianesimo (è terra di missionari) e per non venir inglobati dall'induismo, hanno "inventato" una nuova religione, il Doniy-Polo, mantenendo molte delle credenze animiste preesistenti ma adeguando struttura del clero e liturgie a quelle del cristianesimo, che evidentemente avevano maggiore presa sulla popolazione. Girando nei vari villaggi abbiamo viste numerose bandierine bianche con un sole rosso al centro, simbolo di questa religione ormai professata dalla grande maggioranza degli Apatani
Però il vero motivo per cui i turisti si spingono fin qua (oggi abbiamo visto i primi occidentali da quando siamo in India) sono le anziane Apatani e i lori caratteristici piercing nasali. Come spesso accade con le deformazioni corporali che ai nostri occhi paiono imbruttire chi le subisce, circolano teorie che vogliono che sia una misura adottata per impedire che le donne Apatani venissero rapite a causa della loro presunta bellezza. In realtà, secondo la nostra guida che è un Apatani, si trattava solo di una libera scelta di ordine estetico e di moda dell'epoca. Negli anni '70 tale pratica è stata vietata dal governo e ora immancabilmente tali decorazioni corporali - completate dal tatuaggio di una linea verticale che scende in mezzo alla fronte e delle più brevi linee verticali sotto al mento - li possono sfoggiare solo le 70/80enni. Se volete vederle anche voi, datevi una mossa!
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FIGHI D'INDIA - VI
Come in ogni viaggio on the road che si rispetti, anche in questo c'è il classico "tappone dolomitico" in cui ci si sobbarca un mucchio di km. Oggi è quel giorno. Siamo partiti da Ziro alle 6:00 di mattina e siamo giunti a Khonsa alle 17:30, con le sole pause per la colazione e il miglior pranzo fin qui gustato (gustose delle foglie d'albero ricoperte di pastella fritta). Poi, dopo aver attraversato il Brahmaputra su un ponte lungo 6 km, quando pensavamo che - cartina alla mano - mancassero solo 57 km alla destinazione, siamo entrati nella bella foresta pluviale di Jeypore dove però la strada in pessime condizioni ci ha fatto capire che non eravamo in anticipo rispetto ai tempi previsti. Dopo una prolungata sosta al posto di polizia che, dopo aver attraversato l'Assam, ci ha fatto tornare in Arunachal Pradesh, giungiamo a Khonsa (dove siamo i primi ospiti in assoluto di un homestay appena aperto e per questo veniamo accolti con fegato di bufalo affumicato - bleah! - e un vino locale ad alta gradazione che almeno ne ammazza un po' il sapore), dove domani si apre un festival di due giorni di una delle 89 etnie del complesso dei Naga. Infatti si sentono già degli spari di festeggiamento probenire dalla città ma mi preoccupano di più i vicini di casa che da ore sparano musica indiana a tutto volume. Seguono foto random
Non avendo molto altro da raccontare sulla giornata odierna, eccovi alcune pillole random:
1. Anche senza essere degli amanti dei sapori forti della cucina indiana, è possibile sopravvivere ai suoi piccanti piatti. Bisogna insistere sempre di volere piatti "not spicy" o "plain" e questo vale per qualsiasi piatto, anche quelli che pensereste mai che potrebbero venire insaporiti con delle spezie. Stamattina ho rimandato indietro un tè reso imbevibile (almeno per me) da una quantità esagerata di zenzero (l'avevo colto anche in precedenza ma stamattina mi pizzicava proprio la lingua) o delle banali patatine fritte, cosparse di polvere di peperoncino da stravolgerne il sapore.
2. Non fidatevi dei menù dei ristoranti, è meglio chiedere direttamente al cameriere cosa è disponibile perché sennò torna dopo 5 minuti per dirvi che buona parte di quello che avete ordinato oggi non è disponibile.
3. Anche nei ristoranti le posate non sono considerati essenziali, un po' come succede negli alberghi per le lenzuola.
4. Anche le bancarelle più scrause sono dotate di QR code per il pagamento online o meglio ancora via smartphone, il sistema più diffuso è Google Pay.
5. La Cina rivendica parte del territorio dell'Arunachal Pradesh che per questo è considerato una regione protetta e serve un permesso apposito per visitarlo. Ne consegue che ai residenti dell'A.P. lo stato indiano non concede visti per la Cina.
(Nella foto una veduta del larghissimo letto del Brahmaputra)
FIGHI D'INDIA - VII
Giornata interamente dedicata al Chalo Loku, il festival che si tiene dopo il raccolto del riso (tra ottobre e novembre) presso i Naga Nocte di Khonsa, in Arunachal Pradesh. È il festival più importante tra i Nocte e dura due giorni, sabato e domenica, con il sabato più sentito della domenica. Si comincia al mattino sulle 9:00 quando i tre maggiori gruppi della città convengono nell'area del festival, delle dimensioni più o meno di un campo di calcio. Quando arriviamo ci sono soprattutto ragazze, giunte alla spicciolata, tutte vestite di rosso e con aculei di porcospino e monete d'argento tra i capelli, che si lasciano fotografare volentieri, anzi dalle pose che assumono naturalmente direi che sono molto abituate a farsi dei selfie. Gli uomini invece arrivano in gruppo, in maniera molto più scenografica: per primi appaiono 5/6 individui in tenuta più dimessa ma con atteggiamenti aggressivi, sparando colpi di fucile in aria e brandendo una specie di accetta che presumo fosse lo strumento usato fino a non molti decenni fa dai cacciatori di teste. Il resto del gruppo, molto più numeroso e con l'abito tradizionale più caratteristico (stoffa quadrettata a formare dei corti pantaloncini, canottiera bianca e spettacolari copricapi in varie fogge con penne di bucero e pelo di capra), rappresenta i guerrieri. Una volta giunti tutti i gruppi, il re dei Nocte - alla presenza di altri alti dignitari come ministri e similia - tiene un prolisso discorso (dapprima in inglese e poi in dialetto Nocte). Poi partono i fuochi d'artificio (in pieno giorno) ma uno finisce sul tetto in foglie di una capanna che prende fuoco tra l'ilarità dei presenti e gli sforzi di alcuni volenterosi che praticamente spengono le fiamme con bottigliette d'acqua da mezzo litro. Poco dopo giunge un mezzo dei vigili del fuoco che completa l'opera di spegnimento. Seguono le danze dei vari gruppi maschili mentre quelle femminili, decisamente più aggraziate e meglio coreografate, coinvolgono tutte le ragazze in costume. A occhio e croce, ci sarà un migliaio di persone in abito tradizionale, più il pubblico in numero superiore. Oggi si vede qualche turista occidentale, direi una dozzina. Dopo le danze divise per gruppi si passa alle danze collettive, alle quali possono partecipare tutti, ma credo di essere stato l'unico occidentale che si è lasciato trascinare negli immancabili "trenini".
Finite le danze, tutti i locali si recano nei vari stand dove vengono serviti cibo e bevande. Dapprima siamo in uno stand dove le donne della famiglia presso la quale alloggiamo ci portano le loro amiche, poi ci spostiamo in un altro stand, dove ci raggiungono il cugino della ragazza che ci ospita e si continua a bere e smangiucchiare. Quando ci alziamo pensiamo di andarcene, invece veniamo più o meno costretti ad aggiungerci ai locali (soprattutto ragazze) che si stanno scatenando sul palco in balli da discoteca. Ci lasciamo trascinare nel vortice delle danze senza opporre la minima resistenza. Ovviamente siamo gli unici occidentali, gli altri sono spariti da un pezzo, e passiamo un'ora tra risate, balli scatenati e reiterate richieste di selfie. Torniamo verso l'homestay verso le 16:00 e ci concediamo una meritata (e necessaria) doccia, in attesa che venga l'ora di cena. Dalla casa a fianco, dove abita la famiglia proprietaria dell'homestay giungono i gorgheggi di un gruppo di giovani che si cimentano nel karaoke. In realtà la festa non è finita: dopo un po' comincia la musica ballabile e immancabilmente un paio di donzelle ci viene chiedere di unirci all'allegra combriccola. Vuoi dire di no? E quindi si ricomincia, di nuovo coinvolti nelle danze, su musiche che tutti cantano a memoria mentre per noi sono aliene. È un susseguirsi di strette di mano, richieste di selfie e "where are you from?" prima che qualcuno ti prenda per mano e ti riporti in mezzo alla "pista", ciòè il pianerottolo. Entriamo in casa per trovare un po' di tregua, e una signora più distinta delle altre vuole farsi fotografare con noi. "L'ennesima foto" pensiamo noi ma poi ci dicono essere nientemeno che la regina dei Nocte, ciòè la moglie di quello che tenne il prolisso discorso di stamattina. Poco dopo la sovrana si commiata, alcune donne la seguono e presto si spengono le velleità danzerecce della piccola folla, si svuota il pianerottolo e rimaniamo con la giovane (e carina) padrona di casa e il padre che, non a caso, di mestiere fa il politico (rappresentante in non so quale giunta locale). Non resta che accomodarci a tavola per la cena nella quale, a forza di sbocconcellare a destra e a sinistra, non possiamo dare il meglio di noi. In seguito ci ritiriamo nelle nostre stanze perché domani si parte presto per entrare, finalmente, nel Nagaland.
(nella foto indosso uno di quegli stupendi - ma nuovi e in gran parte di plastica - cappelli che sono in uso adesso, sperando di trovarne uno di fattura più tradizionale nel prosieguo del viaggio
FIGHI D'INDIA - VIII
Partiamo da Khonsa per recarci nelle zone abitate dalla poco nota etnia degli Ollo Nocte. Durante le mie ricerche avevo trovato un blog indiano che riportava una foto di un'anziana rasata a zero e con inusuali tatuaggi facciali geometrici, cosa di norma è riservata agli uomini. Mi sono incuriosito e ho voluto inserirla nell'itinerario ma non sono più riuscito a trovare nessun altro sito o fonte che ne parlasse e nemmeno altre foto. Un popolo apparentemente misterioso o sfuggente. Poco fuori da Khonsa ci imbattiamo in una nutrita guarnigione piena di militari, oltrepassata la quale la strada si restringe e s'inerpica sulle montagne con strette curve cieche che costringono il nostro driver a continui colpi di clacson. Dopo diversi minuti di tornanti giungiamo in un anonimo villaggetto Nocte, la cui vita sembra scorrere attorno a un negozietto sulla strada. La nostra guida parla con il negoziante a cui chiede se qualcuno che ci può mostrare il paesello (non può essere uno qualunque ma uno degli adulti più rispettati). Dopo un po' giunge un signore che ci accompagna all'antico "morung" decorato con teschi di bufalo dipinti di rosso, ovvero il dormitorio comune dove una volta dormivano i giovani e dove venivano trasmessi i rudimenti della religione e del sapere tradizionale. Un luogo ricco di fascino ma ora abbandonato a sé stesso, da quando la popolazione è ormai quasi totalmente convertita al cristianesimo. Almeno, in una stanza attigua al "morung", sono stati conservati l'antico gigantesco tronco cavo che fungeva da tamburo (suonato da più percussionisti contemporaneamente) ma soprattutto, meraviglia fra le meraviglie, una 30ina di teschi umani, frutto delle scorribande nei villaggi nemici che questo popolo compiva decenni fa. Molti hanno una foro, come se gli avessero sparato in fronte. La nostra guida improvvisata ci spiega che una volta erano molti di più: una parte è andata distrutta in un incendio, altri sono stati lasciati alle famiglie del villaggio che si sono staccate dalla comunità per creare altri due piccoli villaggi. Terminata l'interessantissima visita, è buona creanza accettare l'invito del nostro cicerone a casa sua, dove ci offre l'immancabile tè in un salotto decorato dai giganteschi manifesti che aveva fatto produrre in occasione dei festeggiamenti del suo anniversario di matrimonio, qualche mese prima. C'è anche un cappello tradizionale ma anche questo ha la struttura in plastica, anche se le zanne di suino selvatiche sono reali.
FIGHI D'INDIA - IX
Quello dei Naga, circa 3 milioni di persone di cui il 90% in India e il 10% in Myanmar, é un ceppo etnico costituito da ben 89 etnie diverse, tutte dotate di una propria lingua spesso non compresa dalle altre. Una frammentazione che si spiega con l'estrema rissosità delle stesse, da sempre in lotta le une con le altre per questioni territoriali, spesso condotte col metodo dell'attacco del villaggio nemico e conseguentemente taglio della testa, il cui teschio veniva poi esibito nel "morung" e dava diritto a sfoggiare specifici tatuaggi. Una grossa spedizione di questo tipo è stata documentata nel 1949, quando 12 villaggi si riunirono per attaccare (e sterminare) un villaggio nemico di 300 persone. Negli anni '60 tale pratica è stata vietata ma si sono riscontrati casi fino agli '70. Le aree abitate dai Naga sono soggette a permessi speciali perché gli stessi sono in guerra col governo indiano (il conflitto più vecchio in corso di tutta l'Asia essendo cominciato nel 1951) perché vorrebbero costituire una nazione indipendente (Greater Nagaland), cosa che l'India non ha mai concesso, al massimo si è detta disponibile a prendere in esame la questione dopo 10 anni, rinnovando regolarmente la scadenza al decennio successivo. I Naga, tradizionalmente fieri guerrieri, hanno sempre opposto resistenza fondando un proprio corpo armato e in alcune zone del Nagaland vige un autogoverno di fatto, con leggi proprie diverse da quelle ufficiali e perfino riscossione di tributi. 10 anni fa è stato dichiarato un cessate il fuoco che sta reggendo e in Nagaland non ci sono reali problemi di sicurezza da tempo, anche se i turbolenti Naga hanno avuto di recente scontri tribali con gruppi etnici in altri stati (nel confinante Manipur).
La tappa successiva è il villaggio abitato dagli Ollo Nocte, in cui all'arrivo troviamo il gruppo di Francesi visto ieri al festival di Khonsa. Difficile che passino inosservati, sia perché sono in 7 e sia perché vanno in giro con giganteschi zoom al collo, forse più adatti ai safari. Infatti, ci dicono, domani andranno a fare un safari a bordo di elefanti in un parco in cui è possibile fotografare dei rari rinoceronti. Giriamo un po' per le strade e incontriamo un paio di donne coi tatuaggi ma entrambe rifiutano di farsi fotografare. Il villaggio prosegue anche più in basso, torniamo in auto e lo raggiungiamo attraverso stradine veramente scassate, bravo il nostro driver ad averle affrontate senza problemi, i Francesi non li vediamo più. Giunti in una piccola piazzetta, notiamo due anziane con le caratteristiche che cerchiamo. La guida va avanti, chiede il permesso di fotografarle dietro il rilascio di una mancia e queste acconsentono. Ovviamente le fotografiamo da tutti i lati ma evidentemente non sono molto abituate a questo tipo di attenzioni e dopo poco ci fanno capire di averne abbastanza, forse anche perché io - intento a riprenderle - non mi ero accorto che dietro di me, sulla veranda, c'era un piccolo specchio che ho calpestato e rotto. Sette anni di sfiga! Dopo questa visita incontriamo un adulto che acconsente ad accompagnarci e ci conduce presso una famiglia dove c'è una donna coi tatuaggi ma i capelli lunghi. È più giovane delle altre e infatti ci dicono che ha 55 anni, segno che questa tradizione si è conservata fino a non molti anni fa. Anche lei si dimostra abbastanza insofferente a farsi fotografare e quindi ci dobbiamo spicciare. In seguito andiamo a casa del capo villaggio, la cui scala e gli interni hanno delle antiche sculture mai viste altrove, ma non è in casa e dopo un'attesa infruttuosa ce ne andiamo. Vediamo altre donne coi tatuaggi ma, vista la ritrosia, decidiamo di non insistere e andiamo a casa della nostra guida locale a mangiare il pranzo al sacco preparato stamattina, visto che in zona non esistono altre possibilità. Mentre pranziamo - memore della fatica fatta nel trovare informazioni prima della partenza - chiedo alla guida come mai le donne Ollo Nocte, che io trovo così interessanti, siano così poco conosciute. La guida mi rivela che fino a 2 anni fa questa zona era considerata "restricted area" (e non la "semplice permitted area" che vigeva in altre zone, visitabili anche da non Indiani) e quindi gli stranieri non erano ammessi, lui stesso è la prima volta che visita un villaggio degli Ollo Nocte. È la classica situazione che vado cercando sempre nei miei viaggi e mi ci sono imbattuto per puro caso: ora capisco perché non trovavo info e perché le donnine erano poco abituate a farsi fotografare! Per proseguire dobbiamo rientrare a Khonsa e da lì proseguire per Longding, quindi percorriamo la stessa difficile ma panoramica strada dell'andata, ripassando davanti a una scuola intitolata a Don Bosco dove centinaia di bambini e ragazzi giocano a calcio, pallavolo, badminton e... basket! Bravissima la guida a intravedere il campetto, seminascosto perché realizzato a un livello più basso del campo di calcio. Si conclude alla grande l'ennesima giornata gloriosa di questo viaggio che si rivela continuamente superiore alle mie già alte aspettative, poco importa se la sistemazione per la notte è veramente basica, del resto siamo in zone dove il turismo è veramente ridotto ai minimi ma se questo è lo scotto da pagare per godere di queste "scoperte" a me va benissimo.
Ovviamente, oltre all'acqua e alla carta igienica, manca anche il wifi (perfino la guida non riesce a connettersi col suo smartphone), quindi non so quando sarò in grado di inviare queste righe.
FIGHI D'INDIA - X
Dopo una notte non particolarmente comoda e una rinfrescata di ascelle mattutina che è l'unica cosa che posso concedermi, facciamo colazione presso la famiglia che ci ospita e finalmente vediamo un adulto, visto che ieri ci hanno accolto e servito cena la figlia 18enne e le altre più piccole. La padrona di casa, tra le altre cose, ci racconta che una volta suo marito, quando era ancora single e faceva la guida, portò dei turisti in un luogo dove, secondo una leggenda, un popolano venne buttato giù da una rupe perché si era innamorato di una regina. La regina, che corrispondeva il sentimento, quando venne a sapere del tragico fatto, decise di buttarsi anche lei. I due corpi vennero ritrovati uno a fianco dell'altro, con i capelli inspiegabilmente intrecciati tra di loro. Quel dirupo ora viene considerato un luogo dove esprimere desideri sentimentali e pare che il marito della nostra padrona di casa - piuttosto più avanti negli anni - abbia proprio espresso il desiderio di sposarsi, cosa che ha rivelato alla moglie solo diversi anni dopo.
Dopo un breve passaggio in centro per comprare qualcosa da mettere sotto i denti per pranzo, ci inerpichiamo su una strada di montagna come al solito piena di curve ma incastonata in paesaggi verdissimi. Poco prima di giungere nel villaggio di Ngissa vediamo molta gente per strada e capiamo che c'è qualcosa in ballo. Giunti nel villaggio vediamo molti festoni, un colorato tendone e molti giovani con la stessa maglietta. Non erano previste soste ma scendiamo ad indagare e scopriamo che si festeggia la prossima costruzione di una chiesa, operazione per la quale la festa dovrebbe servire a raccogliere fondi. A dire il vero una chiesa piuttosto grande che domina l'intero villaggio c'è già ed è tutta decorata a festa. Davanti all'edificio religioso, in quello che sembra l'incrocio principale del villaggio, ci sono un paio di panche dove, oltre a diversi giovani, ci sono anche alcuni anziani, che si distinguono nettamente per i pesanti orecchini e l'abbigliamento tradizionale in pantaloni corti. Chiediamo a uno di loro quanti anni ha e, visto che all'epoca non esisteva il censimento, dice di aver visto 13 cicli agricoli, che presso i Wancho durano 9 anni. Anche ammesso che il 13mo sia all'inizio, stando a questi calcoli dovrebbeavere almeno 109 anni, un po' difficile da credere nonostante sia palese che di anni ne abbia parecchi.
Proseguiamo e giungiamo presso la nostra meta di giornata, il villaggio di Wakka, abitato dai Naga Wancho, considerato il più bello e integro fra quelli Naga, anche se andato in parte distrutto da un incendio appena 3 anni fa (le case distrutte sono state ricostruite nello stile e con i materiali tradizionali). Il villaggio è diviso in 3 parti: due parti tradizionali e la "città nuova" dove ci sono case in muratura e tetti in lamiera. Ovviamente abbiamo visitato solo i due villaggi tradizionali. Presso i Naga Wancho vige un sistema sociale simile a quello delle caste: ci sono i capi-villaggjo (che trasmettono il titolo al figlio maggiore) e le persone comuni. Poiché non è vietato sposarsi tra caste diverse, si sono formate nel tempo delle caste intermedie, con quelli nati da matrimoni tra capi-villaggjo e persone comuni e tra questi e altre persone comuni. La disposizione delle case nel villaggio segue la stessa gerarchia sociale: in cima alla collina ci stanno i capu-villaggio (e i "morung"), più in basso le caste miste, poi le comuni a scendere. Le case tradizionali sono oggettivamente le più belle e maestose viste finora, veramente di grandi dimensione. La casa di uno dei due capi-villaggio, oltre alle dimensioni notevoli, aveva anche delle elaborate sculture sui piloni centrali (di cui non ci è stato possibile risalire all'epoca di realizzazione). Gli abitanti dei villaggi sono invece piuttosto difficili. Dapprima incontriamo 3 anziani che, subudorando la mancia, cercano di attirare l'attenzione e si mettono palesemente in posa, uno addirittura scompare per poi riapparire con un cappello tradizionale. Anche se solo uno dei tre mostra qualche labile segno dei tatuaggi sul che tradizionalmente poteva farsi fare solo chi aveva tagliato teste nemiche, facciamo le foto di rito e poi lasciamo che sia la guida a lasciare qualcosa. Proseguiamo verso il "morung", anche loro ci seguono ma poi, quando facciamo per proseguire, uno degli anziani, evidentemente non pago della mancia solleva una questione dicendo che non avevamo chiesto di fare le foto col dovuto rispetto (quando ormai ci mancava solo che si mettessero a ballare per farsi fare una foto). I Naga si confermano dei soggetti da prendere con le molle.
Torniamo sui nostri passi e il giro nel villaggio sembra volgere al termine, decido quindi di cambiare percorso e poi di infilarmi nel cortile di un'abitazione al cui interno vedo pendere dei cappelli tradizionali. Non c'è nessuno ma un anziano della casa a fianco dice che lui ne ha e ci invita in casa sua. Lo assecondiamo e ne esce la cosa più interessante di giornata: il tipo decide di farsi una fumata di oppio in nostro onore, sciogliendone una pallina sul fuoco per poi metterla in una lunga pipa di bambù. Il cappello poi non era intenzionato a venderlo, forse cercava solo una scusa per una fumata. Terminiamo il giro risalendo la collina e tornando - dopo aver visto anche il cimitero con normali lapidi a terra ma anche strane strutture di bambù con appesi gli abiti del defunti oltre a festoni e altro - davanti alla bella casa del capo-villaggio per pranzare al suo interno ma l'odore di fumo è talmente forte che preferiamo farlo all'aperto. Dopo un po' ci raggiunge il capo-villaggio, vestito all'occidentale ma coi denti completamente anneriti dalla masticazione della noce di betel, lo segue a poca distanza la bella figlia che ci porta il tè. Vista la presenza dell'eminente personaggjo, ne approfitto per chiedergli se ha dei cappelli tradizionali da vendere. Dice di averne ma di non essere intenzionato a venderli. Gli chiediamo se almeno ce li può mostrare e acconsente, portandoci poco dopo un cappello ricoperto di pelle di tigre, uno di pelle di leopardo, uno di pelo d'orso e uno di bambù intrecciato con una cresta di pelo di capra. Molto belli, i primi due particolarmente importanti al punto che i bambini non li possono toccare. Provo a insistere per il cappello di bambù e pelo di capra e non lo vedo più così fermo sulle sue posizioni: chiama un figlio e si fa portare un cappello simile, solo un po' più piccolo e con la cresta meno folta, praticamente la versione dello stesso cappello per un giovane. Chiedo quanto vorrebbe, mi dice che non ne ha idea perché non è abituato a venderli e di fare io un'offerta. So bene quanto valgono sul mercato antiquariale occidentale i cappelli antichi sul tipo di quelli da parata indossati al festival di Khonsa (tra i 400/600€ e a Khonsa mi avevano chiesto quasi 100€ per uno con la struttura di plastica) ma questo è piccolo (da ragazzo), non una tipologia da parata importante e non complesso da realizzare. Parto da 1000 rupie (circa 12€) pensando di concludere al doppio o al triplo ma il capo-villaggio, invece di rilanciare, fa l'offeso e dichiara la trattativa chiusa. Difficile avere a che fare coi Wancho.
Rientriamo a Longding, non prima di aver fatto una romantica (e inaspettata) pausa per godere di una stupenda vista al tramonto proprio nel punto in cui si sarebbe consumata la tragedia della leggenda raccontataci a colazione, ora contrassegnato da un piccolo tempio con lingam e yoni (i simboli dei genitali maschile e femminile nell'iconografia hindu), un paio di panchine e perfino una romantica altalena a dondolo.
FIGHI D'INDIA - XI
Giornata diversa dal previsto. Dovevamo dirigerci direttamente in Nagaland da Longding ma ci giunge l'informazione che la strada è chiusa a causa di una frana. Ci tocca quindi allungarla parecchio, addirittura tornare in Assam, percorrendo molti km in più e impiegando molto più tempo. Aggiungici il fatto che, dovendo attraversare un confine di stato in più, dobbiamo fare altre fotocopie dei documenti e ad ogni posto di polizia si perde ulteriore tempo. Per entrare nello stato del Nagaland abbiamo dovuto presentarci fisicamente al posto di polizia per firmare un registro, stessa cosa al posto di polizia di Mon, operazione che dovremo bissare al ritorno. Morale, siamo giunti a Longwa che la luna già sbucava dai monti, in ritardo di diverse ore rispetto al programma previsto. Quindi giornata di trasferimento, in cui abbiamo potuto vedere solo qualche bella piantagione di tè in Assam e un mercato locale in Nagaland, in cui abbiamo visto come preparano la noce di betel per i tanti che qua ne fanno uso. Pausa pranzo in un bugigattolo dove ci hanno preparato del "roti" (una specie di piadina unta) e un passante ci ha offerto dei dolcetti di cioccolato e fragola comprati apposta per noi. Poi strade di montagna, piene di curve e immerse in una fittissima vegetazione prima di giungere alla Tourist Guest House davanti all'abitazione del re di Longwa, un nome che ci faceva sperare in una struttura meno basica di quella di Longding, invano. Siamo al confine col Myanmar (qui i locali hanno la doppia cittadinanza) e tira un vento freddo: stanotte si dormirà vestiti, per la terza volta consecutiva siamo senza né doccia né acqua calda.
FIGHI D'INDIA- XII
Dopo la fredda notte a Longwa (siamo sui 1.900 msl) stamattina siamo pronti a visitarla. Cominciamo dalla casa dell'angh, il "re" dei Konyak, a pochi metri dalla guest house. L'edificio è costruito longitudinalmente sul confine tra India e Myanmar ed è costituito da un'enorme stanza semicircolare, ricca di foto, sculture e un gong di notevoli dimensioni, da cui si diparte un corridoio buio e lungo le cui porte danno accesso a stanze di servizio e alle camere private. All'altra estremità del corridoio si trova un'enorme cucina quadrata, dove il re ci attende tranquillo, assieme alle due mogli e qualche figlio. Risponde senza problemi alle nostre domande e apprendiamo che è l'11mo re della sua "dinastia" (cominciata circa 300 anni fa; regna ufficialmente da 8 anni ma in realtà anche da prima quando il suo anziano padre non era più in grado di adempiere a tutti i suoi compiti), che un'angh mediamente regna per una 30ina d'anni, che non c'è mai stato un tentativo di cambiare la dinastia perché ci sono sempre stati successori e mai nessun tentativo di subentro da altri personaggi, che gli altri componenti maschi della famiglia reale hanno comunque ruoli di capi-villaggio di aree di Longwa e, nel caso un capo-villaggio venga a mancare senza avere una discendenza, spesso il nuovo capo-villaggio proviene dalla famiglia reale. A Longwa c'è una caserma dell'esercito indiano ma non dell'esercito birmano e quando devono incontrarsi lo fanno presso questo edificio. Gli chiediamo quali turisti vengano più spesso a fargli visita e cita Italiani, Francesi e Tedeschi ma ricorda con particolare piacere un'Italiana di nome Anna che trascorse un mese presso la sua abitazione, un'artista che fece molti ritratti alla gente del posto e che si calò a fondo nella vita del paese. Anche presso la casa dell'angh c'è l'angolo dei souvenir in vendita, con due bei cappelli, finalmente in bambù e non in plastica. Costano davvero poco quindi accetto il prezzo che mi propone la seconda moglie dell'angh senza intavolare una trattativa, li tolgo dall'esposizione e dico molto chiaramente di tenermeli da parte, che sarei tornato a prenderli dopo pranzo. Nel frattempo l'angh, dietro nostra richiesta, ha tirato fuori il "cappello buono" e si lascia pazientemente fotografare da noi e con noi.
Iniziamo l'esplorazione del villaggjo alla ricerca di personaggi locali coi tatuaggi sul volto e sul petto dei quali potevano fregiarsi solo coloro che avevano riportato a casa la testa di un nemico o si erano distinti nelle cicliche guerre in cui i Konyak erano soliti essere coinvolti. La prima tappa è presso lo scultore del villaggio: ha diverse sculture ma sono nuove e non mi suscitano nessun interesse, ha qualche bel cappello che non vende perché sono i suoi personali, ne vende un paio con un piccolo teschio scolpito, ma non c'entrano nulla con quelli originali. Proseguendo oltre vediamo un anziano in giacca e in "loincloth" (sorta di stoffa corta come dei pantaloncini, che usano solo gli anziani) accovacciato davanti alla sua abitazione che sta raccogliendo della cenere. Chiediamo di poterlo fotografare e lui non si oppone, anzi quelli che sembrano essere i nipoti si danno da fare per pulirlo dalla cenere e aiutarlo a svestirsi per mostrare i tatuaggi sul petto. 87 anni e denti rovinati dalla noce di betel. Finito di fotografare il personaggio, un ragazzo ci dice che presso l'abitazione successiva ci sono due anziane che vorrebbero farsi fotografare e non ci tiriamo indietro, anche se non hanno nessun tatuaggio (anche le donne usavano farsi tatuare, soprattutto le gambe, anche sul volto ma in maniera meno pesante rispetto agli uomini). Poco dopo ci passa davanti un altro anziano che sta tornando dalla foresta, armato di una lunga lancia e un aggeggio di bambù che ci dicono essere una trappola per roditori selvatici. Ha il loincloth e una giacca sul torso nudo, la guida ci dice che siamo fortunati perché non è facile imbattersi in un personaggio del genere. In seguito visitiamo l'enorme chiesa (cristiana battista) dove possono accomodarsi in centinaia di fedeli. Poi andiamo dall'armaiolo che sta riparando un vecchio fucile (ogni Konyak che si rispetti ne ha almeno uno), che ci fa provare a sparare un colpo, anche se per caricare la polvere da sparo, armare il grilletto e tutto il resto ci vogliono una 20ina di minuti. Completiamo il giro del villaggio e, in una piazzetta, troviamo 3 anziani che sfoggiano il cappello tradizionale: evidentemente si è sparsa la voce che ci sono dei turisti e questi si sono fatti trovare agghindati per spuntare la mancia. Solo uno dei 3 ha dei bei tatuaggi su volto e petto, ma ovviamente fotografiamo tutti e tre anche per non deluderli.
Rientriamo verso la guest house per il pranzo e scopriamo che stanno servendo 4 tedeschi e quindi bisognerà aspettare che finiscano loro. Andiamo quindi alla casa dell'angh per ritirare i cappelli e pullula di gente: nella prima sala ci sono molte sedie (sapevamo che ci doveva essere una riunione di notabili locali) ma ci sono anche dei turisti (inglesi?) seduti attorno al tavolo della cucina, dove avevo lasciato i due cappelli che avevo chiesto di tenere da parte. Ho un brutto presentimento e, infatti, non tardo a scoprire che la seconda moglie ha venduto uno dei "miei" cappelli. Gli faccio presente in maniera molto seccata che li avevo tolti dall'esposizione proprio perché non li vendesse ad altri ma la tipa fa spallucce, probabilmente ha trovato un turista che gli ha offerto un po' di più. Non mi resta che prendere subito il cappello rimasto prima che venda anche quello. Prima di andarcene, Andrea trova uno che ha delle pipe da oppio e andiamo a casa sua, dove scopriamo che è uno dei fabbri del villaggio e che ha un laboratorio dove produce i caratteristici gruppi di teste di bronzo che si usano per decorare le collane tradizionali. La trattativa parte da 1.500 rupie, Andrea ne offre 1.000, il tipo rilancia a 1.200rp e Andrea accetta. Quando il tipo incassa il contante, restituisce 200rp perché dice che si accontenta di 1.000rp. Valli a capire questi Konyak.
Rientriamo a Mon dove finalmente possiamo concederci il lusso di una doccia calda. Poi, durante la cena con i soliti piatti che ormai mi escono dalle orecchie, si sente della musica a tutto volume provenire dalla città. Chiedo alla guida se ci sia qualche posto dove fare serata, magari davanti a una birra. Impossibile, in Nagaland è vietato vendere alcolici, perché sono ferventi cattolici. Io sapevo che durante la messa si usava del vino... Allora propongo di andare a vedere da dove proviene la musica e ci troviamo in mezzo a una specie di festa di paese dove gruppi di ragazzi (si vedono pochissimi adulti) propongono giochi da festa di paese: abbattere bicchieri di plastica con delle palline, lanciare dei cerchi su delle banconote, centrare dei buchi con delle palline ma soprattutto una specie di "roulette/ruota della fortuna" con una dozzina di numeri sui quali scommettere. I ragazzi sono eccitatissimi e assalgono ogni passante per invitarlo al proprio gioco, figurati agli unici adulti, per giunta stranieri, in giro. Abbiamo partecipato a qualche gioco ma per fortuna non abbiamo vinto visto che i premi erano di norma polli (vivi), pesci (morti), tagli di carne da macelleria (!), perfino dei cuccioli di cane con pochi giorni di vita. Un gioco però l'abbiamo vinto facile: c'era una specie di sbarra a cui i ragazzi si appendevano a 2 mani e vinceva chi rimaneva appeso per più tempo. Noi abbiamo mandato avanti Andrea che, dall'alto dei suoi 1,84 m, toccava tranquillamente terra!
FIGHI D'INDIA - XIII
Ancora una giornata dedicata ai Konyak. Oggi ci dirigiamo al villaggio di Hongphoi, a circa un'ora e mezza di strada infame (alla media dei 10 c/15 kmh) da Mon. Il villaggio, molto più piccolo di Longwa, ha adottato un metodo diverso: gli anziani si vestono in maniera tradizionale e si ritrovano sempre nello stesso posto, presso la capanna dell'angh locale. Ce n'erano poco più di una dozzina, non tutti tatuati, alcuni nemmeno in abito tradizionale, una parte dei quali paiono accusare pesantemente le tante primavere. Da un lato la cosa facilita la ricerca, dall'altro però le toglie il sapore del ritrovamento, senza contare che sono uno a fianco dell'altro e non è facile fotografare bene questi soggetti in un contesto del genere. Inoltre, alla fine bisogna dare la mancia a tutti, anche a quelli meno interessanti da fotografare, apparentemente presenti solo per incassare l'obolo. Ma va bene anche così, senza fare differenze. Restiamo a lungo nella capanna assieme all'anziano angh e alla sua combriccola di amici - quasi tutti dopo un po' cominciano a prepararsi l'immancabile noce di betel da masticare per poi sputarne il rosso prodotto ognuno nella propria sputacchiera - fino a quando non ci offrono un tè amarissimo, letteralmente imbevibile. La visita del villaggio però non offre altro e in base al programma la giornata non prevederebbe altre tappe ma la nostra guida, che ormai ha imparato a conoscerci, ci chiede se vogliamo andare a vedere un altro villaggio, a circa 5 km di distanza, che nemmeno lui ha mai visitato e quindi non sa cosa vi troveremo. Ovviamente accettiamo la mini-esplorazione e raggiungiamo il vicino villaggio di Wangla. Arriviamo che, nonostante sia giovedì mattina, quasi tutti sono a messa nella chiesa battista, però veniamo lo stesso a sapere che nel villaggio di personaggi con il look tradizionale non ce ne sono. Ci fa da cicerone il figlio dell'angh del villaggio, oggi assente. È un ragazzo in gamba, ci mostra quel poco che c'è da vedere nel suo villaggio (un paio di "morung" e la grandiosa vista che vi si gode sulle Patkhai Hills) e poi decidiamo di pranzare, con quello che avevamo comprato prima, a casa sua, dove ci sono 5 buffissimi cagnolini di un paio mesi che ci seguono dappertutto e un gatto impertinente che ogni 2 minuti dobbiamo far scendere dal tavolo. Leggermente più inquietante è la carcassa di leopardo che tengono sopra il fuoco, ormai completamente annerito dal fumo. Pare sia stato ucciso circa un anno fa in un villaggio nei pressi. La situazione è completamente improvvisata ma anche assolutamente rilassata e il ragazzo ci rivela di essere un rapper in erba e immancabilmente poco dopo ci canta un suo pezzo. L'ultimo posto al mondo dove mi sarei aspettato una cosa del genere. Poi ci chiede se vogliamo vedere la piantagione di mandarini dalla quale provengono quelli che ci ha offerto. Accettiamo, in auto seguiamo la sua moto per scoprire che in realtà era un albero solo. Sentiamo ancora musica, saliamo la collina e troviamo la scuola e delle ragazzine che stanno facendo le prove per un balletto. È ora di rientrare e ce ne torniamo a Mon.
Dopo cena facciamo un altro giro presso il "night bazar" a pochi passi dalla nostra guest house - in qualche modo legato al prossimo Natale, infatti si ascoltano improbabili accostamenti tra Jingle Bells e Adeste Fidelis con Gnangam Style - anche perché alle 21 in punto tutto si spegne. Chiediamo alla nostra guida se i ragazzi, che paiono spesso sovraeccitati, lo siano a causa dell'uso di sostanze e ci dice che è un problema innegabile tra i Naga: tradizionalmente consumatori di oppio e betel (di cui sono anche produttori) non si fanno mancare nemmeno marijuana (curiose le piastrelle del bagno della guest house), eroina e vari tipi di pillole, il che spiega le "pubblicità progresso" contro la droga che si vedono spesso sui muri. Del resto, ci dice Tana, oltre a questi blandi richiami il governo non fa molto altro, anche per non provocare i Naga che di fronte a restrizioni sicuramente insorgerebbero di nuovo.
FIGHI D'INDIA - XIV
Ultima giornata di viaggio prima dei voli di ritorno e tappa fondamentalmente di trasferimento dal Nagaland a Dibrughar dove abbiamo il volo interno per Kolkata, da cui proseguiremo per Mumbai, Abu Dhabi e Malpensa. Oggi ne abbiamo approfittato per rinfrescare i nostri ricordi (tutti e tre siamo già stati nel subcontinente in precedenza) dell'India "classica". Abbiamo visitato il tempio induista di Dibrughar (nello stile in realtà tipico meridionale) e compiuto una passeggiata al tramonto sul lungofiume del Brahmaputra, un fiume la cui portata maggiore rivaleggia con quella del Rio delle Amazzoni, un fiume che nel punto più stretto misura un kilometro di larghezza e 10 in quello più largo, un fiume le cui piene provocano ogni anno disastri e vittime, anche nel non lontano Bangladesh. Poi facciamo un ultimo giro nella zona del mercato, giusto in tempo per fotografare qualche barbiere all'opera e per procurarmi la versione festiva del cappello tradizionale dell'Assam, assurto a simbolo stesso di questo stato agricolo.
Cena, saldo degli ultimi conteggi (per tutto il viaggio i nostri extra erano stati anticipati) e scambio di contatti con le guide con le quali ci siamo trovati proprio bene.
Finiscono qui i miei dispacci giornalieri, sperando che vi siano piaciuti.