FOTORACCONTO BHUTAN - maggio 2025
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GIORNO 1
Nella terra del Drago Tonante: è questo l'altisonante significato della parola Bhutan, una monarchia costituzionale di appena 800mila abitanti in territorio himalayano.
Arriviamo dopo un volo Bologna-Roma-Dehli ben poco riposante: arrivo in India nel cuore della notte e poi lunghe procedure per il transito perché non è possibile ottenere la boarding pass online della tratta finale e quindi ci tocca ritirare il bagaglio e rifare tutto il percorso di check-in pass e security, compresa esibizione del visto per l'India. Non a caso degli addetti dell'aeroporto ci prendono in consegna all'uscita dell'aereo, ci fanno attraversare il chilometrico aeroporto di Dehli e ci agevolano nelle varie operazioni, senza il loro intervento dubito avremmo potuto fare in tempo.
L'arrivo a Paro è piuttosto emozionante, non solo perché dal finestrino si ammirano le cime più alte della catena Himalayana (Everest compreso) spuntare tra le nuvole, ma anche per l'atterraggio che è preceduto da alcuni chilometri percorsi all'interno di una stretta valle, con le pendici delle montagne circostanti molto a ridosso del veicolo, e dal finestrino la vista non è delle più tranquillizzanti. Non a caso è considerato uno degli aeroporti internazionali dove è più difficile atterrare e i piloti ricevono una formazione particolare per atterrare, completamente manualmente e senza radar, in questa pista di appena 2.200 km circondata da montagne altissime e spesso battuta da forti venti al punto che sono previsti atterraggi solo prima di mezzogiorno (e mai notturni). Solo poche decine di piloti in tutto il paese hanno questa formazione ed è per questo che solo compagnie bhutanesi atterrano in questo paese il cui territorio è montuoso per il 97%. Una volta a terra si viene accolti dal surreale aeroporto, costruito nello stile architettonico tradizionale, un obbligo sancito dalla costituzione per ogni edificio bhutanese.
Il resto della giornata è piuttosto tranquillo, le 4 ore di fuso orario ma soprattutto le poche ore di sonno alle spalle, ci hanno fatto propendere per una giornata interlocutoria, con qualche passeggiata nel centro della capitale Thimphu, movimentata da una sagra locale. E ora a nanna, che Morfeo stasera è più esigente del solito.
GIORNO 2
Prima vera giornata di visite dedicata a Thimphu, dalla guida definita l'unica grande città del Bhutan, 120.000 abitanti a 2.400 mslm, diventata capitale solo nel 1961 per volontà del terzo re dell'attuale dinastia, colui che diede inizio alla modernizzazione del paese.
Dopo aver cambiato un po' di soldi e avere visto come viene regolato il traffico da queste parti (vigili urbani dentro una cabina posta al centro di un incrocio, in Bhutan non esistono semafori ma, visto che i veicoli stanno aumentando, almeno in città, non è detto che questa particolarità venga mantenuta ancora a lungo), su un pullmino da 13 posti cominciamo le nostre escursioni ma subito faccio fermare presso un inaspettato festival che si sta tenendo in centro città. Ai piedi di un'enorme statua dorata del Buddha ci sono bancarelle di varie tipo e stand con giochi/sport tradizionali, una classica festa di paese che da comunque modo di vedere come se la passano i locali.
La prima vera tappa è presso il National Memorial Chorten, costruito dalla madre del citato monarca nel 1974, per completare il progetto del figlio, morto di infarto a soli 43 anni. L'interno del chorten si sviluppa su quattro piani che rappresentano i passaggi necessari per conseguire l'illuminazione. L'ultimo non è accessibile, gli altri vedono nel centro della stanza degli insiemi quasi ammassati delle colorate statue di bodhisattva con il tipico corollario di facce feroci, teste di nemici e teschi che a me sembrano sempre cozzare un po' con la mitezza che è tipica del Buddhismo mentre mi paiono più vicine alla storia del paese che, prima dell'instaurazione della monarchia, aveva conosciuto continue guerre civili. Tutto intorno al chorten pullula di pellegrini che come da prassi girano più volte attorno all'edificio, rigorosamente in senso orario. Come ci fa notare la guida, l'età media è piuttosto alta perché sono soprattutto gli anziani che, consci dell'avvicinarsi della loro ultima ora, cercano di migliorare il proprio karma. E i giovani, mi dice la guida, sono sempre meno religiosi, uno degli immancabili effetti a lungo termine della modernizzazione che il paese sta conoscendo.
La visita successiva sarebbe presso la gigantesca statua del Buddha Dordenna che domina la città dall'alto ma la lunga fila di auto ci fa desistere temporaneamente e cambiamo l'ordine delle visite. Viriamo quindi verso il museo interattivo detto Simply Bhutan: oggettivamente un luogo turistico ma che comunque permette di assistere a quelle situazioni tradizionali come le danze o certe pratiche agricole nelle quali oggi sarebbe sempre più difficile imbattersi casualmente.
In seguito siamo presso il Folk Heritage Museum, fatto realizzare da una delle quattro mogli del padre dell'attuale regnante, che all'interno di un bellissimo edificio antico, mostra una tipica casa tradizionale. Dopo pranzo ci rechiamo presso il grandioso Tashichho Dzong, la più antica fortezza del paese, costruita nel 1216, in passato monastero buddhista e ora sede del governo. A poca distanza, non visitabile, sorge la residenza estiva del sovrano, in un palazzo di modeste dimensioni. Il cortile interno dello dzong, al contrario, è maestoso, circondato dagli imponenti edifici nell'austero stile architettonico tradizionale. Notevole è anche il tempio, all'interno del quale sono custodite le 1000 statue di Buddha che aveva fatto realizzare il terzo monarca per assolvere ai suoi doveri spirituali. Improvvisamente, comincio a sentirmi male, ma non è la sindrome di Stendhal a piegarmi le ginocchia, più probabile sia qualcosa mangiato a pranzo. Mi vedo costretto a tornare al pullmino ma non riesco a vomitare e quindi il malessere non passa.
Torniamo presso il grande Buddha Dordenna, a cui si accede tramite una lunga scalinata. È l'unica cosa che riesco a vedere: ancora piegato in due dal malessere, resto in pullman dove, se non altro, il riposo - unito a una "pastiglia giapponese" - mi permette di riprendere un po' di forze. Posso però partecipare alla visita successiva, quella al vasto mercato delle erbe, che si tiene nei weekend in una grande struttura a due piani. Ordinatissimo, con i posti vendita in muratura dove i negozianti (soprattutto donne) espongono in file compite frutta e verdure, spesso anche già confezionante in buste di cellophan. Tutto molto pulito e razionale ma un po' privo del fascino sgarrupato dei mercati del terzo mondo a cui sono più abituato.
GIORNO 3
Oggi lasciamo la capitale per dirigerci verso est, in cerca del Bhutan più rurale. La prima sosta è presso il passo di Dochula, 3.100 mslm, dove sono stati eretti 108 chorten in ricordo dei caduti durante gli scontri del 2003 contro i separatisti assamesi del vicino stato indiano. Ancora una volta una costruzione che sembra antica si rivela recente: l'obbligo costituzionale di costruire tutto nello stile tradizionale rende difficile distinguere il nuovo dal vecchio. Il luogo è interessante ma purtroppo il bel panorama non è ammirabile causa le nuvole che ci avvolgono.
In seguito giungiamo in un piccolo villaggio circondato di terrazzamenti nei dintorni di Punakha per visitare l'insolito Tempio della Fertilità (Chimi Lhakhang) fatto erigere da Drukpa Kunley (Divino Pazzo), un sant'uomo dallo stile di vita poco morigerato (godeva regolarmente di alcool e donne) che ha sconfitto un demone grazie al suo "fulmine magico di saggezza", un fallo di metallo di generosissime dimensioni che tutt'ora viene utilizzato per riti che propiziano la gravidanza. Le donne che vogliono diventare madri devono mettersi sulle spalle il citato organo sessuale e compiere tre giri attorno al tempio. C'è pure un album di foto dei neonati che hanno visto la luce grazie a questo rito. Da qui è nato l'uso di dipingere enormi falli sui muri esterni delle case come simbolo di fertilità e protezione dal malocchio, usanza abbastanza diffusa in tutto il Bhutan ma che in questo villaggio contraddistingue ogni casa, oltre a ogni negozio di souvenir con le più fantasiose riproduzioni immaginabili, tra cui aeroplani con prepuzi che spuntano da tutte le parti...
La tappa seguente è presso l'enorme Punakha Dzong, fortezza costruita nel 1600 in cui l'architettura bhutanese tocca il suo vertice. L'edificio, raggiungibile attraverso il ponte coperto più grande del paese, è semplicemente grandioso e incute sudditanza fin dalla ripidissima scala di accesso. Una volta al suo interno si passa da un cortile all'altro, circondati dalle alte mura dei palazzi. Nell'ultimo cortile, presidiato da alcuni galli, c'è il tempio e abbiamo la fortuna di capitare mentre si tiene una cerimonia religiosa: vi prendono parte un centinaio di monaci mentre il tempio viene invaso dall'ipnotica musica religiosa buddhista eseguita con trombe tibetane, cimbali e grossi tamburi. Una situazione non prevista, veramente magica.
Poi dobbiamo affrettarci per la destinazione successiva: il chorten di Khamsum Yulley Namgyal, di proprietà della famiglia reale e posizionato sul cocuzzolo di una montagna, cosa che richiede una ripida scarpinata di un'oretta. Arriviamo che il tempio è già chiuso ed è visibile solo dall'esterno ma ne è comunque valsa la pena, sia per la sua bellezze sia per il paesaggio agricolo coltivato a terrazzamenti che abbiamo dovuto attraversare per raggiungerlo.
GIORNO 4
Giornata di ulteriore trasferimento a est, verso le zone meno battute dal turismo (e difatti non si vedono più le orde di turisti indiani, gli unici che pagano una tariffa giornaliera d'ingresso bassa - circa 13€ contro i 100$ richiesti ai visitatori di altra nazionalità, che torneranno a essere 200$ nel 2027). Le strade, per quanto asfaltate e non in pessime condizioni, in un paese così montuoso non possono che essere a lenta percorrenza perché sono un susseguirsi di curve e tornanti: sono previste circa 6:00 di viaggio per coprire i poco più di 200 km che ci separano dalla destinazione finale.
La prima sosta è in corrispondenza del Pelela Pass, a 3.420 mslm, che demarca il confine tra le regioni occidentali e quelle orientali del Bhutan. Ancora una volta le nuvole ci impediscono di godere della vista sulle vallate circostanti e le vette Himalayane che in lontananza le sovrastano, ma a non lontane da noi, sugli alberi, si vedono delle vivaci scimmie dal pelo chiaro rincorrersi tra i rami. Successivamente ci fermiamo presso il bello stupa bianco di Chendebji, costruito a 2.340 mslm in un inconsueto stile nepalese. Secondo la leggenda copre il corpo di un demone sconfitto. Vi sono diversi monaci in attività: gli adolescenti sono impegnati nel montare delle casse acustiche e dei gazebo in previsione di un evento, i più piccoli giocano a colpirsi e a tirarsi delle ciabatte.
Segue un altro passo di cui non ricordo il nome ma solo le fredde raffiche di vento e un paio di yak che si prendono a cornate in mezzo alla strada. Per pranzo facciamo sosta a Trongsa presso un ristorante dalla cui terrazza si gode una vista strepitosa sulla valle sottostante. Poi ultimi chilometri per raggiungere Jakar dove vorremmo visitare uno dzong che ci dicono essere stato da poco restaurato ma giungiamo con pochi minuti di ritardo sull'orario di chiusura, fissato alle 16:30. Qua tutto chiude abbastanza presto, di norma alle 17:00 i templi serrano i battenti. Del resto, nel paese che professa la Felicità Interna Lorda come più importante del PIL, ci sta che non ci si voglia ammazzare di lavoro...
GIORNO 5
La giornata odierna avremmo dovuto dedicarla al Domkhar Tsechu Festival che avevo individuato nel calendario delle festività bhutanesi. Sfortunatamente, poche settimane prima, a gruppo già definito e prenotazioni già effettuate, giunge la notizia che il festival è stato annullato. Vedo dal calendario che se ne tiene un altro tre giorni dopo a qualche decina di chilometri, non possiamo aspettare che inizi ma magari possiamo assistere ai preparativi. È della stessa idea anche l'agenzia locale ma poi, il giorno prima, la nostra guida viene a sapere che non ci sono preparativi a cui assistere e quindi tocca imbastire le visite giornaliere all'ultimo momento.
Come prima tappa ci rechiamo al Wangduechhoeling Palace, un non frequente caso di abitazione nobiliare (più frequenti le fortezze), appartenuta agli avi della dinastia regnante, infatti luogo in cui hanno trascorso parte delle loro vite i primi tre sovrani dell'attuale dinastia. L'edificio, tanto per cambiare, è stupendo, forse anche perchè privo delle rudezze di una struttura difensiva. Restaurato recentissimamente e allestito con oggetti antichi e video di pregevole fattura, è senza dubbio il museo più bello visto finora.
La tappa successiva è presso il cosiddetto "Lago Ardente", che poi in realtà è un fiume. Secondo la leggenda è il luogo in cui Guru Rimpoche nascose alcuni tesori e che solo secoli dopo vennero ritrovati dal santo Pema Lingpa. Costui immergendosi in acqua in corrispondenza del suo tratto più profondo con una lanterna in testa, riapparve in seguito con una scatola contenente tre statue di Buddha con la fiamma ancora accesa. Da allora il luogo è considerato sacro ma questo non lo rende meno pericoloso: 11 persone hanno perso la vita tra queste rocce, compreso un turista e la guida bhutanese che si era tuffata per salvarlo.
Siamo nella Tang Valley e ci apprestiamo a visitarne un apparentemente anonimo villaggio quando intravedo del movimento in un cortile e richiamo l'attenzione della guida che, con il resto del gruppo, stava andando in un'altra direzione. In una casa si stanno tenendo dei festeggiamenti, quando giungiamo ci sono degli uomini che issano sugli alberi delle corde piene di bandierine e ci sono diversi monaci nei paraggi. Il padrone di casa ci dice che ha organizzato un rito speciale convocando monaci da fuori, che possiamo stare (e fotografare) nel cortile, ma non all'interno. Poi ci offrono delle specie di ciambelle fritte e vino di riso e tè al burro. Una situazione inaspettata che ci procura delle buone opportunità fotografiche (non è mai semplice fotografare dei monaci) ma che ci fa ritardare parecchio sulla tabella di marcia.
Infatti, quando torniamo a Jakar, anche a causa del fatto che la nostra guida non era mai stata nel ristorante dove aveva prenotato, sbagliamo strada e il nostro pullmino si infila in uno stradello che è palesemente troppo stretto. Dopo la non semplice manovra di retromarcia necessaria per liberarlo, incontriamo la proprietaria che, resasi conto delle nostre difficoltà, ci è venuta incontro per portarci a destinazione. Il posto è un homestay, una struttura semplice ma che ci ha preparato, a mio parere, il miglior pasto finora goduto, con specialità locali. Va detto che, pur avendo sempre richiesto cucina buthanese e mai internazionale, abbiamo mangiato piuttosto bene, da parte mia dovendo solo stare attento a evitare i piatti col peperoncino che qua è particolarmente piccante.
Dopo pranzo, ormai con poche ore a disposizione, visitiamo il tempio locale e la fortezza, col solo problema che a fine visita i nuvoloni grigi che incombono su di noi cominciano a rilasciare una leggera pioggia che non ci bagna più di tanto, nonostante il rientro a piedi al vicino albergo. Anche il clima finora ci ha trattato bene, quelle poche volte che ha piovuto lo ha fatto prevalentemente di notte.
GIORNO 6
La giornata, per uno come me che colleziona foto di campetti da basket in giro per il mondo, comincia in maniera strepitosa. Siamo appena partiti da Jakar quando vedo, in un campetto che avevo già addocchiato ma non fotografato, una folla insolitamente numerosa. Faccio fermare il pullmino e scendo per riprendere la scena: un'intera classe, forse di scuole superiori, sta facendo quello che sembra un compito in classe, con tanto di professore che pattuglia per controllare che nessuno copi, seduta per terra sul campetto. Se mai rifarò un altro libro sui campetti, questa va in copertina.
Dopo diverse ore di strada piena di curve, l'arrivo a Trongsa è finalmente l'occasione per la prima visita della giornata presso la Ta Dzong, un'antica torre di guardia costruita nel 1652, dalla cui cima si gode una vista grandiosa sulla valle sottostante. L'edificio, che ora contiene un bel museo dove sono state raccolte alcune dele sculture più belle del Bhutan, in realtà è molto di più di una semplice torre, essendo costituita da molti ambienti. A poca distanza dalla torre di guardia si trova il Trongsa Dzong, la più grande di tutte le fortezze del paese (una per ognuno dei 20 distretti), anch'essa appannaggio della dinastia dei Wangchuk e preceduta da un piccolo ponte coperto. Tutto il Bhutan è costellato di edifici straordinari, di cui non sai mai se apprezzare più la grandiosità o le ricchissime decorazioni. I due templi al suo interno sono chiusi perché il monaco addetto è assente ma uno ce lo lasciano ugualmente visitare.
Per pranzo ci accomodiamo presso un ristorante costruito su palafitta ai piedi di una scenografica cascata. Il Buthan è decisamente un paese povero ma le strutture turistiche, pure per chi come noi ha scelto di evitare il lusso, sono di tutto rispetto. Riprendiamo la zigzagante striscia di asfalto che ci riporta verso ovest ma dopo aver doppiato il Pelela Pass ci dirigiamo verso il villaggio di Gangtey nella valle di Phobjikha, considerata per via delle numerose foreste e i dolci pendii, la "Svizzera del Buthan". Se pensiamo che il Buthan è considerato la "Svizzera d'Asia", abbiamo una Svizzera al quadrato. Usciti dalla dorsale stradale che attraversa il paese da ovest a est, la strada diventa più stretta e in più comincia a piovere a dirotto, anzi a grandinare. Ma Giove Pluvio si dimostra ancora una volta benevolo con noi e quando giungiamo a destinazione le sue ire si sono già placate.
A Gangtey c'è uno dei monasteri più antichi del paese e ormai siamo in ritardo per poterlo visitare, visto che tutte le attività pubbliche e religiose chiudono i battenti verso le 17:00. In realtà ormai abbiamo capito che è proprio quello il momento migliore per visitare questi luoghi, quando i monaci buddhisti hanno terminato i propri obblighi e sono più facilmente incontrabili. Il monastero, tanto per cambiare, è un edificio monumentale, benché in fase di restauro. Ma, per una volta, più che per la raffinata architettura il posto ci rimarrà impresso per altro: abbiamo il privilegio di assistere a un "dibattito buddhista" durante il quale due schieramenti di giovani monaci si sfidano in maniera rumorosa e vistosa a suon di declamazione di concetti buddhisti, una situazione che avevo visto solo nei documentari e che non possiamo non immortalare ripetutamente. In seguito riusciamo ugualmente a visitare il tempio: in questi siti meno noti, lontani da quelli più frequentati del Bhutan occidentale, c'è meno rigidità coi turisti.
Usciti dal monastero attraversiamo Gangtey che più di altri ci trasmette la sensazione di una piccola comunità, con le vecchie case raccolte ai bordi della via principale e non sparpagliate nei dintorni. Mentre ci dirigiamo col pullmino al non distante albergo, la nostra guida ci fa notare come non ci siano i soliti cavi elettrici sui pali della luce: per via della gru dal collo nero che ogni anno torna dal Tibet in questa valle, i cavi elettrici - pericolosi per il volatile - sono stati in gran parte interrati. L'ennesima dimostrazione dell'attenzione dei Bhutanesi per la Natura.
GIORNO 7
Altra giornata passata in gran parte on the road che comincia con una breve passeggiata nel centro della valle di Phobjikha in cui sorge Gangtey, uno dei pochi luoghi in Bhutan dove le montagne non incombono sull'osservatore, rinomata per la coltura delle patate.
Poi andiamo al Centro delle Gru dal Collo Nero, gli eleganti trampolieri provenienti dall'altopiano del Tibet che sfiorano il metro e mezzo d'altezza, che dal 1997 frequentano sempre più numerosi questa valle (molto meno le altre) nel periodo invernale, l'ultimo conteggiato ne ha rilevati più di 650 esemplari nella sola valle di Phobjikha. Il centro ne ospita due, una dal 2016 e l'altra dal 2021. Sono uccelli che hanno subito gravi danni (uno è stato attaccato da un gruppo di cani randagi dopo aver probabilmente sbattuto contro un cavo elettrico) e non sono più in grado di volare. La mostra è corredata da un bel video che ci mostra anche che la valle è frequentata (o almeno lo era fino a non molto tempo fa) da volpi e leopardi.
In seguito andiamo a visitare una scuola primaria. Il preside ci informa in merito al sistema scolastico: qui i bambini, che vanno dai 6 ai 13 anni, hanno 5 materie principali che studiano tutti i giorni e altre a cui dedicano un'ora alla settimana. A parte le lezioni sulla lingua locale, tutte le lezioni si tengono in inglese. Vi sono materie come educazione civica e informatica ma non religione, nonostante il Bhutan sia profondamente buddhista. "Insegnare la religione spetta ai genitori, non alla scuola", afferma giustamente il preside. Ai bambini vengono forniti due pasti al giorno, gratuiti come l'istruzione. L'unica eccezione è che chi vuole - e può permetterselo - può comprarsi un notebook col quale seguire le lezioni, fin dalla prima classe tenute con l'ausilio di una LIM, infatti mentre entriamo in una delle aule i piccoli studenti stanno ripetendo una filastrocca che appare sullo schermo e insegna a contare in inglese fino a 30. Scattiamo qualche foto e poi suona la campanella della ricreazione. I bimbi si precipitano nel cortile dove, fin da prima del nostro arrivo, almeno una dozzina di cani randagi dorme sdraiata a terra di un sonno talmente profonda che paiono non accorgersi nemmeno che circa 170 piccole pesti sono state lasciate libere di correre e gridare nel cortile. Dopo un po' i bimbi vengono incolonnati (prima i più piccoli) per ricevere un biscotto e una tazza di latte caldo. Avevamo portato delle caramelle per i bimbi ma poi decidiamo di lasciare anche una donazione al preside, il quale la prende molto sul serio: mi porta nel suo ufficio dove mi fa firmare il registro delle donazioni, poi vuole pure una foto mentre gli consegno la busta.
Dopo questa divertente visita, intraprendiamo il lungo tragitto per Paro, facendo solo sosta per pranzo e presso un paio di passi di montagna, regolarmente sopra i 3.000 mslm, più per sgranchire le gambe che per fotografare il maestoso paesaggio montano che si dipana sotto i nostri occhi. Verso sera giungiamo a Paro e, considerate le previsioni meteo che danno possibili precipitazioni a partire dalla tarda mattinata, decidiamo di partire presto l'indomani per l'ascesa al celebre monastero detto della Tana della Tigre, immagine simbolo del Bhutan.
GIORNO 8
Giornata conclusiva con l'attesa visita alla Tana della Tigre, l'iconico monastero costruito su una roccia scoscesa che è l'immagine simbolo del turismo in Bhutan. La salita non è impossibile ma è sicuramente lunga: poco più di 7 km tra andata e ritorno, per un dislivello di 700 metri, in realtà un po' di più perché si parte da 2.300 mslm e si arriva a 3.000 ma nel tratto finale si scende per almeno un centinaio di metri prima di risalire di nuovo. La salita viene mediamente compiuta in 2:30/3:00, poco meno la discesa. A metà percorso c'è un ristorantino. Alla partenza sono disponibili dei bastoni a noleggio e dei cavalli, salendo sui quali (per circa 16€) si giunge fino al ristorantino, oltre i cavalli non vanno perché il percorso è in gran parte lastricato e con gradoni, oltre che stretto. Scendere a cavallo costa di più, perché per gli animali la discesa è più difficile e il terreno, se piove, potenzialmente pericoloso.
Inizialmente avevo ipotizzato di partire in tarda mattinata per evitare di fotografare il monastero in controluce come dovetti fare la prima volta che ci andai ma le previsioni meteo dicono che verso le 11:00 c'è rischio di precipitazioni e quindi partiamo sulle 8:00. Giunti al ristorantino una del gruppo sceglie di aspettarci lì, il resto giunge fino al monastero nei tempi preventivati. Oggettivamente una passeggiata lunga e a tratti faticosa ma la vista dell'edificio aggrappato alla nuda roccia è qualcosa di unico e tutti sono contenti di aver compiuto lo sforzo richiesto. Come da previsioni meteo, poco prima di entrare nel sito comincia a piovere ma per fortuna durerà poco e senza particolare intensità. Consegnate macchine fotografiche e smartphone (vietatissimo fotografare all'interno), visitiamo gli otto templi contenuti nell'edificio (tutti tranne uno, precluso ai visitatori) e scopriamo che non è un monastero vero e proprio: qui vivono solo cinque monaci per occuparsi della gestione del sito ma non ci sono studenti. Il sito è molto interessante e diverso dagli altri visitati perché, per ovvie ragioni, visitarlo è un continuo saliscendi, benché prevedibilmente affollato di visitatori. Torniamo in albergo stanchi ma soddisfatti.
Più tardi una parte del gruppo assiste a una "cultural experience" durante la quale un gruppo locale effettua danze e canti tradizionali. Un tentativo di sopperire al mancato festival a cui avremmo dovuto partecipare ma che, causa lavori di restauro del tempio in cui si doveva tenere, è stato cancellato quando ormai l'itinerario e le sistemazioni erano già state fissate. Un tentativo non molto riuscito, in verità.
Ultima cena in terra buthanese anche se, grazie ai numerosi ospiti indiani del nostro hotel, il menù di stasera è più che altro indiano. Una del gruppo si è concessa uno "hot stone bath", un tradizione bhutanese, un bagno rigenerante con acqua scaldata da pietre roventi e erbe aromatiche nella stessa acqua. Domattina c'è il primo dei tre voli necessari per rientrare in Italia, peraltro modificati all'ultimo momento per cambiare rotta a seguito delle tensioni tra India e Pakistan.