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APPUNTI DI VIAGGIO IN BIRMANIA, marzo 2016

 

 

TROPPO TARDI? TROPPO PRESTO?
Da tempo avevo la Birmania nel mirino. Il fatto che, causa dittatura militare, fosse stata chiusa per diverso tempo al turismo e che poi avesse aperto le porte con molta lentezza, concedendo dapprima visti di due settimane, poi di quattro fino ai 28 giorni attuali eventualmente raddoppiabili, me la faceva ritenere una terra non dico vergine ma ancora poco abituata al turismo. Non è così, nel bene e nel male. Nel bene perché ho trovato piuttosto semplice visitare la Birmania "classica", cioè quella che comprende le destinazioni che raramente mancano negli itinerari di chi visita questa terra la prima volta: Yangon, l'area del Lago Inle, Bagan e l'area di Mandalay. Molti alberghi di standard medio/alto ma dai prezzi contenuti, estrema facilità nel reperire driver (basta chiedere alla reception dell'albergo) o trasporti, siano essi di mero spostamento come i bus che per visitare determinati luoghi. Per contro, questo significa che ormai le visite sono standardizzate e le soste presso gli artigiani, con negozio "convenzionato" annesso, pressoché inevitabili. Troppo tardi?

 

Questo però non vale per tutto il paese. Ci sono aree, di norma quelle vicine ai confini e abitate dalle minoranze etniche storicamente in conflitto col governo militare - al punto da avere spesso dei piccoli eserciti, tutt'ora in essere, coi quali difendere i propri diritti - aperte al turismo da pochissimi anni. Nella più recente edizione della Lonely Planet in italiano, che avevo con me in viaggio, l'autore raccontava che aveva provato, prima di maggio 2014, ad andare a Loikaw, nel minuscolo Kayah State, dopo aver avuto assicurazioni dal Ministero degli Esteri birmano dell'avvenuta apertura al turismo occidentale della zona, e di come era stato respinto dalla polizia locale, cui la novità evidentemente non era ancora stata comunicata (o che, più semplicemente, aveva deciso di ignorare). Troppo presto?

 

Non era questo il mio problema, avevo già trovato più d'una conferma che a Loikaw ora ci si poteva arrivare senza problemi ma per visitare l'area, ad "alto tasso etnico", avevo contattato una guida locale su cui avevo trovato ottime recensioni: una cosa che faccio sempre per le zone abitate da minoranze etniche, dove non di rado la lingua ufficiale non è parlata da tutti, figuriamoci l'inglese. Questo ci ha permesso, stando alle parole della nostra guida locale (appartenente a una delle minoranze) e grazie alla circostanza favorevole della recentissima apertura di una strada, di essere i primi viaggiatori occidentali a entrare in un villaggio dell'etnia Kayaw (preceduti solo da operatori di qualche ONG), a dimostrazione che no, non era troppo tardi. Come sempre, al viaggiatore curioso, disponibile a uscire dai percorsi più battutti e a sacrificare tempo e agi, si presenta spesso l'opportunità di fare esperienze interessanti.

 

Comunque, presto o tardi che sia, abituata o meno al turismo, la gente della Birmania è ancora il primo motivo per andare in questo paese. Sì, i templi di Bagan sono affascinanti, la Shwedagon Pagoda di Yangon è stupenda, l'area del Lago Inle è piacevole e Mandalay non è da meno, ma la cosa che più mi è rimasta impressa è la gente: sempre sorridente, sempre disponibile a un contatto, sempre disponibile a lasciarsi fotografare. Per me che amo scattare ritratti alle popolazioni locali - che in altri paesi mi vedo costretto a pagare o quantomeno a faticare per ottenere l'assenso a uno scatto -, la Birmania si è rivelata terra molto propizia che ha reso questa mia ricerca non solo fruttuosa ma anche piacevole. Sapere di non "rubare" nulla ma, anzi, di fare cosa gradita ai soggetti ha reso tutto più semplice, come è stato un piacere accettare le diverse richieste ricevute dai locali di farmi fotografare assieme a loro. L'ascesa al potere di Aung San Suu Kyi e del suo partito, per quanto il potere e l'influenza dei militari sia ancora enormemente invasive, ha contribuito a stemperare certi problemi e ora le minoranze etniche hanno un rapporto molto meno conflittuale col governo centrale, cosa che si è tradotta nell'apertura al turismo di aree che prima erano chiuse e che probabilmente porterà all'apertura di altre altre a breve.

 

Quindi, è adesso il momento di andare in Birmania.

I birmani, qui un gruppo di curiosi novizi, sono il primo motivo per il quale vale la pena visitare la Birmania.

PERIODO
Io e la mia compagna abbiamo viaggiato in Birmania nella seconda metà di marzo, periodo che presenta vantaggi e svantaggi. Stando a tutte le guide di viaggio, il periodo ideale per visitare il paese è considerato quello che intercorre tra novembre e febbraio. Posso confermare che a marzo fa davvero caldo: l'auto del driver di cui abbiamo usufruito a Bagan, al rientro dalla visita pomeridiana a una pagoda, segnava 42°! Sicuramente la rilevazione risentiva della sosta sotto al sole, ma è ragionevole ritenere che la temperatura reale fosse di circa 38°, ugualmente abbastanza impegnativa. Questo è uno dei motivi che ci ha fatto preferire l'auto con l'aria condizionata ad altri mezzi di trasporto ma, tutto sommato, è stato l'unico aspetto non favorevole - peraltro non insuperabile - del periodo scelto. In compenso, viaggiare a marzo ci ha consentito dei vantaggi, e quindi suggerisco di non scartare a priori questo periodo dell'anno, che elenco di seguito:

- innanzitutto ha reso più mite il clima nelle zone in altura. Sul lago Inle, le classiche escursioni in barca, prevedono di norma di essere già in acqua all'alba o al tramonto per godere del momento del giorno con la luce migliore. Un mio amico che c'era stato un paio d'anni prima, nel pieno del periodo ritenuto migliore (tra dicembre e gennaio) mi ha raccontato di come sulle barche fossero disponibili delle coperte per coprirsi dal freddo - che poi quando il sole cominciava a fare il suo dovere venivano accantonate - che spesso non bastavano a garantire un'adeguata protezione dal freddo. Cercando su internet avevo visto che, in quel periodo dell'anno, le minime si aggiravano attorno allo zero, mentre per marzo erano previste sugli 8/10°. Non le ho potute misurare ma credo fossero anche superiori, nelle uscite in barca alla mattina presto o al tramonto non ho mai avuto freddo nonostante indossassi unicamente una t-shirt.

- come da noi si chiudono le scuole nei mesi più caldi, ugualmente si fa in Birmania, dove le vacanze estive hanno inizio di norma l'ultima settimana di febbraio. Questo significa che, facendosi troppo caldo per lavorare sotto il sole - la Birmania, come molti paesi in via di sviluppo, è un paese in cui l'agricoltura è di primaria importanza -, inizia il periodo delle feste. Nelle due settimane in cui abbiamo viaggiato, abbiamo potuto prendere parte alla Festa Nazionale dell'etnia Pa-o, all'inaugurazione di una nuova pagoda nello stato di Kayah, a un matrimonio, all'inaugurazione di una nuova casa presso un villaggio Kayah e a non meno di una decina di cerimonie di noviziato, senza contare che i luoghi sacri cari ai locali erano probabilmente ancor più frequentati del solito.

- ci sono più novizi. Di norma, ogni bambino e adolescente birmano di entrambi i sessi, passa il primo mese di vacanze di scuola presso il monastero della propria città/villaggio. Sono i novizi, di cui solo una piccola parte, in età più avanzata (circa sui 18 anni), farà la scelta di diventare monaco. È una specie di "catechismo concentrato in un mese" che rende i birmani uno dei popoli più devoti al buddhismo e che offre, a chi come me piace fotografare le popolazioni locali, migliaia di splendidi soggetti che in un altro periodo sarebbero più difficili da trovare.

 

Lancio di soldi agli astanti (nei casi più fortunati si può prendere al volo le chiavi di uno scooter) in occasione dell'inaugurazione di una pagoda a Demoso, un evento in cui è difficile imbattersi in un periodo diverso da quello in cui abbiamo visitato la Birmania.

ANDARE PER TEMPLI E PAGODE

Innanzitutto familiarizzate coi termini paya, che è quello birmano che sta per pagoda, e kyaung, che significa monastero. La prima cosa che s'impara è che l'accesso ai templi va sempre effettuato da scalzi (non sono ammessi nemmeno i calzini) ma, soprattutto, a riconoscere la diversa capacità di conduzione del calore dei vari tipo di pavimentazione. Non è una battuta: con temperature che sfioravano i 40° e il suolo esposto ai potenti raggi solari per ore che ne accumulava il calore, vi garantisco che non è nient'altro che il mero istinto di sopravvivenza quello che mi ha spinto, appena potevo, a calpestare i tratti lastricati in marmo o in piastrelle di ceramica evitando il più possibile i pavimenti in mattoni o, peggio ancora, in cemento.

 

Prima ancora di entrare nel nostro primo tempio, a Yangon, avevamo notato un gran trambusto, con diversi bambini, truccati come delle dive del cinema e vestiti con vistosi abiti e cappelli, portati in spalla dagli adulti e seguiti da un codazzo rumoroso e festante. Poi all'interno del tempio abbiamo potuto capire meglio quello che stava succedendo: ci eravamo imbattuti nel nostro primo shin puy, la festa di noviziato. Prendendo spunto dalla vicenda del Buddha, che era un principe che si era spogliato di tutte le sue ricchezze per cercare l'illuminazione, i ragazzi e le ragazze (attorno ai 10 anni se non prima) vengono vestiti lussuosamente, festeggiati e incitati a danzare al suono di musica a tutto volume, prima di essere rasati a zero e vestiti con la tipica tunica rossa scura (rosa chiaro per le femmine) dei monaci e dare inizio al percorso religioso e umano, che solo nella minoranza dei casi porta a scegliere il monacato come stile di vita, che riguarda la quasi totalità dei Birmani.

 

Un'altra cosa che mi è rimasta particolarmente impressa di questi luoghi sacri è che sono delle macchine da soldi. Capisco che un governo militare possa essere poco prodigo nei confronti di quella che è pur sempre la confessione religiosa della stragrande maggioranza degli abitanti, ma il problema del sostentamenteo del clero buddhista parrebbe non porsi. Ogni statua, ogni tempio, ogni angolo di questi luoghi di preghiera è circondato o costellato di cassette per le offerte, di ciotole argentee, di scatole di vetro o contenitori di qualsiasi tipo atto a raccogliere offerte in denaro, quasi sempre piene. A volte non c'è nemmeno bisogno di contenitori: ho visto fedeli incastrare banconote nelle fessure di un'inferriata che proteggeva una statua, altri piegare le banconote in modo da farne delle palle di carta più facili da lanciare, magari in una ciotola su un tavolo girevole, non così diversamente da come si cerca(va) di infilare le palline da ping pong in vasi di vetro nei nostri luna park. In un tempio ho visto letteralmente decine di persone sedute per terra a separare e poi contare dei grandi mucchi di banconote (vedi foto seguente) a cui gli addetti del tempio ogni tanto aggiungevano altre secchiate di banconote. Anche se i mucchi più grandi erano quelli delle banconote da 50 kyat (circa 4 centesimi di euro), vedere così tante banconote mi ha richiamato alla mente il mitico deposito di Paperon de Paperoni.

 

Un'altra cosa curiosa dei templi birmani (non mi risulta che questo si verifichi negli altri siti sacri del Buddhismo Theravada, come in Sri Lanka) è la seguente. In questi luoghi è consuetudine fare offerte (ettedaje) alla statua del Buddha che rappresenta il giorno della settimana in cui si è nati, l'unico problema è che il sette è un numero primo e risulta piuttosto scomodo da inserire in un'architettura immancabilmente circolare o quadrata come gli stupa. Non è un problema, perché i Buddha che rappresentano i giorni della settimana sono sempre otto: uno per ogni giorno, con l'eccezione del mercoledì che ne ha due, uno per i nati dalle 0:00 alle 17:59 e un altro per quelli nati dalle 18:00 a mezzanotte. Anche qui c'è lo zampino degli astrologi.

 

L'impegnativo conteggio delle offerte dei fedeli alla Shwezigon Paya di Bagan.

YANGON

Forse non tutti sanno che Yangon, che gli inglesi chiamavano Rangoon come ancora rivela il codice dell'aeroporto nelle carte d'imbarco, non è più la capitale della Birmania. Poco più di dieci anni fa, per la precisione il 6 novembre 2005, la giunta militare che all'epoca governava il paese,  elesse come nuova capitale Naypydaw, in pratica appositamente creata unificando tre città preesistenti, ufficialmente senza motivi se non una maggiore centralità. Per costruirla i militari si affidarono largamente agli astrologi e pochi giorni dopo l'annuncio, esattamente l'11 novembre, alle ore 11:00, 11 squadre millitari, trasportate da 1100 camion, accompagnarono 11 tra ministri e capi di stato dalla vecchia capitale alla nuova. Pazzia, superstizione o cosa? Per Yangon forse è stato meglio così che, con i gangli del potere militare ormai lontani, può donarsi apertamente ai suoi visitatori.

 

Il primo sito che abbiamo visitato è stato, per banali motivi logistici - era a pochi passi dal nostro alberghetto - la Botataung Paya. Non è certo famosa come la Shwedagon Pagoda ma forse anche per questo è stato un buon primo approccio con un sito sacro birmano, in cui abbiamo potuto apprezzare quelle piccole cose che nella più grande e affollata Shwedagon Pagoda avremmo finito per ignorare. Yangon ha comunque la "anima" della capitale, non solo è la città più popolosa e importante dal punto di vista economico, ma l'orgoglio dei suoi abitanti lo si percepisce anche dalla laboriosità dei suoi abitanti. Come capita in molte città asiatiche, gli artigiani e i commercianti specializzati si radunano in zone specifiche: c'è la strada dei librai, il mercato dell'abbigliamento e dei tessuti e via dicendo. Il centro è costellato di antichi palazzi coloniali costruiti durante il dominio britannico ma, a mio parere, non costituiscono un motivo sufficiente per visitare Yangon.

 

Il vero motivo per dedicare una visita all'ex capitale è la Shwedagon Pagoda. Costituita da una grandiosa pagoda dorata di quasi centro metri costruita su una collina e che domina la città, è il tempio più sacro del paese e, secondo la tradizione, contiene al suo interno ben quattro delle cinque reliquie "recenti" del Buddha, tra cui otto dei suoi capelli. La struttura che ospita la pagoda, causa il periodo festivo già citato e per il fatto che era sabato pomeriggio, letteralmente traboccava di gente: fedeli di tutte le età e le estrazioni sociali, gruppi di turisti con quelli asiatici più compatti e quelli occidentali più sciolti ma anche più accaldati, almeno un paio di cerimonie di noviziato che i turisti cercavano di fotografare da vicino, stranieri che chiedono a un gruppo di monaci di fare un selfie e lo stesso gruppo di monaci che chiede la stessa a cosa ad altri stranieri, una processione di donne che spazzato il pavimento (probabilmente un rito, non il turno della locale impresa di pulizie), bambini che giocano a rincorrersi e monaci che pregano in angoli tranquilli, fedeli che aspergono le statue dei Buddha o che meditano in gruppo. La cosa più singolare è stato vedere piccoli gruppi di giovani sedersi per terra in mezzo al via vai degli avventori, tirare fuori dei contenitori col cibo e mangiare assieme, in tutto e per tutto come a un pic-nic su un prato. In pratica, non solo un luogo sacro e di preghiera, ma un punto di ritrovo e di socializzazione. Anche noi ci siamo goduti il lento scendere dell'oscurità che dapprima ha dipinto di tinte rossastre la grande campana dorata della pagoda e poi l'ha vista rifulgere, tutta illuminata dai fari, nel blu cobalto della notte birmana. Godere di questo spettacolo come prima cosa del viaggio ha avuto il risvolto della medaglia che le successive visite alle altre pagode sono sempre apparse in tono minore.

 

APPUNTI DI VIAGGIO IN BIRMANIA

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