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FOTORACCONTO PAKISTAN LUGLIO 2022

(per vedere le didascalie, clicca sulle immagini delle slideshow)
GIORNO 5

Giungo finalmente nella valle di Bamburet, una delle due valli (l'altra è quella di Rumbur) abitate dall'etnia dei Kalash (detti anche Kefiri), una popolazione di origine incerta, la sola nel Pakistan che sia stata completamente islamizzata, anche se qualcuno tra i locali ha già cominciato a convertirsi alla religione dominante, come ad esempio la mia guida locale, un brav'uomo ma non proprio una cima né un fine conoscitore della lingua di Albione. Studiati a lungo dagli antropologi occidentali perché la carnagione e gli occhi chiari ne faceva sospettare una discendenza o un contatto con gli Europei (a lungo si è ipotizzato che una legione di Alessandro Magno avesse deciso di stabilirsi qui nel 200/300 a.C.), recenti studi genetici hanno escluso questa possibilità ma hanno confermato comunque geni di origine europea. Tra le molte particolarità di questa etnia, vi è l'aver conservato una religione in parte di tipo pagano e politeista, con alcune peculiarità legate per esempio al vino. Fra settembre e ottobre infatti si svolge una festa che ricorda per certi versi le feste orgiastiche del mondo antico greco-romano. L'uva raccolta dalle viti viene pigiata solo da bimbi maschi e il vino ottenuto dalla fermentazione verrà bevuto al solstizio di inverno durante giorni in cui è d'uso ubriacarsi per avvicinarsi alla divinità. Nel corso dell'anno la popolazione non consuma più vino. Un'altra peculiarità è la presenza nella loro religione della figura del cavallo. Tradizionalmente, i morti non venivano seppelliti ma lasciati in bare sopra terra nelle aree cimiteriali; a loro sono dedicate statue lignee. Le donne sono libere e non portano il chador ma colorati copricapi cilindrici con una specie di coda, riccamente colorati e decorati con perline, che ovviamente provvedo a procurarmi per la mia collezione di cappelli tradizionali, mentre gli uomini indossano regolarmente il pakhol e sono difficilmente distinguibili dagli altri Pakistani.

Le valli sono comunque meta di un modesto turismo: vedo qualche raro occidentale ma anche qualche turista interno, come ad esempio un terzetto di giovani e simpatici Pakistani che alloggiano presso la mia stessa guest house e provenienti dalla provincia meridionale del Beluchistan, a loro dire anche e soprattutto per apprezzare il vino locale, cosa abbastanza inaspettate da gente che rimane pur sempre musulmana. Nonostante l'interesse dei turisti, la mia guest house è piuttosto basica: dormo in una specie di materasso buttato a terra in mezzo a uno stanzone troppo grande; non c'è l'acqua calda, difatti ogni sera mi portano un bollitore di acqua ustionante che devo gettarmi addosso (dopo averla opportunamente mixata con l'acqua fredda dei rubinetti); la carta igienica sono andati a comprarla solo dopo aver fatto presente che avrebbe potuto tornarmi utile; figuriamoci se hanno il wifi...
GIORNO 6
 

Seconda giornata tra i Kalash, in cui visito il villaggio di Krakal, il più grande della vallata che ospita anche un cimitero, in cui le bare di legno - raccolte in un luogo sacro all'ombra di grandi alberi di conifere - sono volutamente lasciate alle intemperie del clima, difatte molte sono scoperchiate.

 

In seguito mi spingo fino al villaggio di Shekhanandeh, in parte costruito su uno sperone roccioso e attraversato da un fiume abbastanza impetuoso, ma soprattutto abitato dai Katè, una minoranza che abita i due villaggi in fondo alla valle ma di cui nessuno sembra interessarsi, anche perché essendosi sono convertiti all'Islam (le donne si girano di spalle appena vedono una macchina fotografica) e non essendo fisicamente distinguibili da qualsiasi altro montanaro pakistano, non attirano l'interesse dei turisti. E dire che avevano molto in comune coi Kalash anzi, nonostante lingua e culture diverse, in certi campi erano anche più avanzati: ad esempio nella scultura, infatti sono gli stessi Kalash ad ammettere che le grandiose sculture presso il Museo di Peshawar sono state realizzate dai Katè, su commissione.

Dopo aver percorso a piedi tutta la valle con in spalla il non leggero zaino fotografico e sentendo in lontananza minacciosi tuoni, opto per un inconsueto tardo pomeriggio di relax presso la guest house, con l'immancabile "milky tea" (che però alla lunga mi lascia qualche effetto indesiderato...) ad addolcire una già di per sé godibile lettura nel fresco clima locale. Evidentemente, la spiccata abilità dei Kalash nell'antica arte del "dolce far niente" dev'essere più contagiosa dell'ultima variante del covid...

I tuoni si sono rivelati premonitori, tempo un paio d'ore e si scatena un violento acquazzone, che però dal balcone verandato della guest house che mi ospita fa già meno paura. Invece poi scopro che l'acquazzone non è passato indenne e anzi ha dato origine a uno straripamento del fiume in fondo alla valle, provocando danni ad alcune motociclette oltre a qualche casa e negozio vicino all'acqua. Ora capisco l'utilità di costruire la guest house in cima alla collina e mi pento di aver tirato dei moccoli quando, con lo zaino in spalla, mi ci arrampicava ansimante. Alcuni ospiti sono andati a vedere che ne era stato delle loro auto, per me la cosa ha comportato solo un ritardo per la cena, visto anche il black out in tutto il villaggio. Il tempo è comunque passato piacevolmente, soprattutto grazie ai 3 ragazzi beluchistani che si sono fati fuori una bottiglia da 1,5 litri del vino prodotto dalla mia padrona di casa, operazione alla quale sono stato ripetutamente chiamato a contribuire, facendo il mio dovere.

GIORNO 3
 

Se nelle lunghe tratte ormai i bus moderni hanno soppiantato quelli tradizionali, nelle campagne sono ancora popolari i vecchi coloratissimi bus, ma anche gli altrettanto variopinti camion. In una stazione di bus mi imbatto ina una formidabile serie di questi bus e non posso fare a meno di salirci sopra. In seguito mi faccio portare presso una delle officine specializzate sia nella riparazione dei mezzi che nella loro decorazione, un abbellimento per il quale i proprietari dei veicoli - spesso lontani da casa per mesi - sono disposti a spendere qualche migliaio di euro. La consuetudine di decorare bus e camion è particolarmente comune in Pakistan e in India ed è stato stimato che questa attività dia lavoro a circa 250.000 persone solo nel paese che sto visitando. L'idea di fondo risale all'epoca della civiltà della valle dell'Indo, quando era consuetudine decorare i mezzi di trasporto. In passato le barche tradizionali Sindhi in legno erano splendidamente intagliate con disegni e motivi vistosi, con piccoli specchi applicati, avorio intarsiato, campane di metallo, perline, conchiglie e piastre di metallo. I Sindhi amano anche decorare i loro animali domestici, ad esempio il pelo dei cammelli viene tagliato producendo disegni floreali e geometrici, e applicando henné e tintura nera. Negli anni '30 la General Motors introdusse per la prima volta i camion e la gente del posto iniziò a decorarli, anche se cominciò a diventare una pratica largamente diffusa solo negli anni '50 per merito dell'artista Hajji Hussain. Le decorazioni non sono realizzate solo tramite la pittura ma anche con l'aggiunta di molte decorazioni aggiuntive come catene e ciondoli, al punto che le truppe americane in servizio in Afghanistan soprannominarono questi mezzi "jingle trucks" a causa del suono tintinnante che i camion producono. Soprattutto i bus sembrano fare gara a chi è più decorato, come se la gente scegliesse di salirvi in base alle decorazioni che li costellano, non solo esternamente ma anche internamente. Le decorazioni nei mezzi pakistani risentono della cultura musulmana e spesse riportano calligrafie islamiche e iconografie di origine religiosa.

Ci addentriamo nella campagna circostante per ammirare il ponte Choa Gujar, un bel esempio di architettura del periodo Mughal, lungo 75 m e largo 5,80 m, costruito con mattoni posati su malta di calce. Il ponte ha cinque pilastri cilindrici alti 8 m sormontati da cupole a forma di melone, intonacate con malta di calce. Sotto il ponte 12 passaggi ad arco, che consentono lo scorrere delle acque del fiume Bara, dove qualcuno sta lavando una moto. Ai bordi della strada, vi sono alcune carcasse di bovini in via di putrefazione, in certe cose il Pakistan ricorda la disperata umanità della vicina India.

Di tutt'altro genere ma non meno interessante la visita successiva, presso una fabbrica di armi nella periferia di Peshawar (che ufficialmente non si potrebbe visitare senza permessi). In realtà il mio sogno sarebbe stato quello di visitare la non distante cittadina di Adam Khel Tehsil, storico luogo di produzione di armi da fuoco con più di 200 fabbriche dove fucili e pistole (negli ultimi anni soprattutto quest'ultime perché, essendo più piccole, è più facile rispettare la legge che vieta di mostrare le armi in pubblico) copie di quelli occidentali venivano forgiati a mano da abilissimi artigiani, al punto che solo armaioli esperti li sapevano distinguere da quelli ufficiali. Poiché era diventata una destinazione che attirava turisti avventurosi, la città è stata dapprima chiusa agli stranieri (per evitare incidenti) e ultimamente il governo ha deciso di spostare tutte le vecchie fabbriche in nuovi capannoni, limitando le licenze. La fabbrica che visitiamo, anche se nella propria show room mostra dei mitra, pare sia specializzata nelle repliche delle pistole Beretta.

Completa la giornata la visita presso una bella "haveli" (abitazione di architettura moghul con cortile interno) ancora parzialmente abitata e una visita presso un commerciante di stoffe antiche, dove trovo uno stupendo abito islamico finemente ricamato che non poso fare a meno di acquistare.

GIORNO 4
 

Non sopporto più la guida che avevo assoldato per Peshawar (per contenere i costi ne avevo rintracciata una diversa per ogni città, in modo da non dover pagare le trasferte in città diverse dalle loro), sempre pronto a chiedere soldi e cambiare idea e versione per due spicci in più, al punto che decido di rinunciare ai suoi servizi per l'ultima giornata a Peshawar, nonostante le sue insistenze. Quanno ce vò ce vò.

Ma non ne risento, anzi, come spesso succede quando si girovaga a caso, finisco per scoprire cose interessanti che raramente ai turisti vengono mostrate, non per cattiveria, ma più probabilmente perché ritenute non degne di nota dalle guide locali che non sempre sanno intercettare i gusti dei visitatori. Mentre cerco il Peshawar Museum m'imbatto nello strepitoso mercato dei pezzi di ricambio per auto, una specie di girone dantesco super fotogenico (e super caldo) in cui uomini dalle mani sporche di olio per auto commerciano qualsiasi cosa possa servire per riparare un'auto o una motocicletta. Mi sento come un pisello nel baccello.

Poi visito il Peshawar Museum, che si rivela perfino superiore alle mie non basse aspettative. La cosa è comprensibile perché contiene le migliori collezioni al mondo di arte Gandhara (civilizzazione tra il V sec. aC e il VII dC con chiare influenze ellenistiche - qui nel 300 aC passò Alessandro Magno) e di arte Kalash, una minoranza etnica animista che visiterò nei prossimi giorni.

Poi il cielo s'incupisce e decido saggiamente di rientrare in albergo, mossa avveduta perché da lì a poco un violento acquazzone allaga le strade e vedo i locali spostarsi tranquillamente con l'acqua che in certi punti arriva a metà polpaccio.

Dopo cena prendo un bus notturno per Chitral, partenza alle 21:00 e arrivo previsto verso le 6:00 del mattino seguente. Vorrei provare a dormire ma dapprima il bimbo dietro di me ascolta ininterrottamente una versione pakistana de "Nella vecchia fattoria", poi quando finalmente smette quello seduto al mio fianco comincia una conversazione telefonica di mezz'ora abbondante. Quando anche lui ci dà un taglio, mi addormento ma alle 23:20 mi svegliano perché c'è un controllo dei documenti (di tutti) ma solo io (unico occidentale sul bus) devo scendere per andare nella cabina dei poliziotti, i quali vogliono sapere quanti giorni resterò a Chitral perché devono scriverlo su un registro, che poi mi fanno firmare. Chiedo quanti altri controlli del genere ci saranno, l'aiutante dell'autista dice uno, perché è un periodo calmo. Provo a riprendere il sonno interrotto ma alle 23:40 il bus si ferma e tutti dobbiamo scendere per una sosta di mezz'ora per la "cena". Il resto del viaggio è stato più tranquillo, non mi hanno nemmeno svegliato per il secondo controllo, forse perché fingevo di dormire...

​​'O famo Pakist(r)ano #5/6/7

La terza giornata tra i Kalash inizia con delle minuscole per quanto deliziose albicocche, di dimensioni simili a quelle delle ciliegie più grosse. Quelli scuri sono i semi che, una volta rotti, hanno una piccola anima che i Kalash dicono che vada mangiata dopo l'albicocca, pena un attacco di diarrea...

L'alluvione di ieri sera ha lasciato segni tangibili sulla strada che unisce i vari villaggi della Valle di Bamburet

Dopo aver visitato il bel museo del villaggio di Batrick, viste anche le condizioni della strada, ci andiamo in auto. Prima però occorre fare rifornimento presso la stazione di servizio di cui segue fotografia

Il villaggio di Daras Guru è forse quello più bello da un punto di vista architettonico, con le case tradizionali addossate le une alle altre sulle pendici di una collina, anche se è il villaggio più misto della valle, dove molte famiglie musulnane convivono pacificamente con i Kalash

Dopo la visita al villaggio andiamo a visitare un luogo sacro divevengono effettuati sacrifici, l'unico problema è che i sentieri sono fangosi e molto scivolosi, così optiamo per seguire la fitta e laboriosa serie di canali di irrigazione

Ultima serata tra i Kalash, domani sveglia all'alba per uno spostamento in solitaria su due bus (sperando di non sbagliare a prenderli) per arrivare a Mingora, nella Swat Valley, in un albergo in cui mi aspetta la prossima guida ma di cui non mi hanno ancora detto il nome... Lascio questo piccolo paradiso di colori e tolleranza incastonato in una gigantesca torta sbrisolona, almeno così a me pare questo territorio regolarmente martoriato da terremoti, frane e alluvioni

Uno ci prova anche a perdere qualche kg ma è una gara dura contro la "arzdora" di casa che prepara cene fino a 7 portate con delizie quale pane alle noci fatto da lei, formaggio fresco di latte di capra e ogni sera qualche intingolo diverso nel quale affondare l'immancabile pane locale, simile al chapati...

E tutte le sere, qualcuno mi invita a bere il vino rosso prodotto dall'arzdora, per lo più mentre quel qualcuno fuma marijuana locale, che evidentemente viene prodotta nei paraggi mentre quella selvatica (senza le proprietà di quella coltivata) cresce spontanea un po' dappertutto

O' famo Pakist(r)ano #8

Oggi giornata di trasferimento dalla zona dei Kalash a Mingora, nella Swat Valley (non c'entrano gli agenti speciali dei telefilm che si calavano dalle finestre con le corde). Non era iniziata benissimo la giornata. Parto dal villaggio di Brun su un Rav4 e penso che finalmente salgo su un 4x4 adatto alle disastrate strade locali. Manco a farlo apposta, durante un guado non impegnativo (10/15 cm d'acqua) il motore si spegne e non ne vuol sapere di riaccendersi. Dopo svariati tentativi senza successo, l'autista si è incamminato a piedi fino a quando ha trovato un camioncino che ci ha tirati fuori dall'acqua con una corda. Poi, spingendo (in salita, su uno sterrato sassoso) l"auto è ripartita. Gli altri spostamenti non sono avvenuti via bus ma con taxi collettivi. Nel primo mi hanno lasciato il posto del passeggero, l'unico che parlava inglese mi indicava i siti turistici e altre informazioni, addirittura in una breve pausa uno mi ha comprato una bottiglietta d'acqua e non ha voluto essere pagato. In pratica mi hanno trattato come una donna incinta (lo so, devo dimagrire). Nel secondo trasferimento meno convenevoli e sosta alla moschea per pregare mentre io sono restato im auto ad aspettare...

O' famo Pakist(r)ano #9

Oggi bella sorpresa a Mingora, mentre ci spostavamo ho intravisto un canestro e ho fatto tornare indietro l'auto per raccogliere l'ennesima testimonianza sulla diffusione del gioco più bello del mondo

Tra le altre cose, visita a Islamapur, villaggio noto per la produzione di pregiati scialli di lana

Così viene preparato il pane, immancabile base di ogni pasto, se non altro perché - non usando posate - viene utilizzato per raccogliere il cibo e portarlo alla bocca

Ma la cosa più interessante della giornata, forse anche perché inaspettata, è stata la visita a un villaggio pressoché sconosciuto dei dintorni, dove vi sono ancora le macerie delle case bombardate dal governo pakistano tra il 2008 e il 2010 quando cercarono (riuscendoci) di scacciare i Talebani che avevano preso il controllo della zona. Qui turisti credo non ne abbiano mai visti, infatti mi hanno invitato in casa e offerto frutta e bibite, con mezzo villaggio convenuto per vedere lo strano ospite. La cosa strana é che hanno parlato tra di loro e con la mia guida per mezz'ora ma nessuno mi ha rivolto la parola né mi ha chiesto qualcosa, nemmeno da che paese provenissi. Credo sia la prima volta che mi capita in dozzine di volte che qualcuno mi ha accolto in casa sua

Questa è una veduta dall'alto dello Swat Mall dello "Strip" di Mingora, di cui - oltre al traffico - forse riuscite a intravvedere anche un luna park. Eppure a volte il Pakistan mi sembra l'Africa: sono in un albergo apparentemente di buon livello, la colazione è compresa ma non c'è una sala ristorante, gli devi dire cosa vuoi e te la portano in una delle piccole hall del tuo piano. Se non si dimenticano, come hanno fatto stamattina, in cui ho finito di fare colazione alle 9:45 dopo averla ordinata alle 8:00. Capita. Poi torni il pomeriggio, chiedi la chiave alla reception ma non la trovano, anche se dicono che "tanto è aperta". Andiamo bene. Salgo ma la porta non si apre, torno alla reception, sale con me quello che sembra il più sveglio e, quasi a spallate, apre. Fa per andarsene soddisfatto ma gli faccio notare che le cerniere dei cardini sono lente e vanno strette un po' di viti, oltre a sostituire quelle evidentemente mancanti da tempo. Alla fine la porta viene sistemata, almeno per me che sono...

... alla mia ultima notte qui. Faccio la doccia, è fredda, porco giuda. Lo faccio presente alla reception, anche se non credo serva a molto, ed esco per andare a cena con la guida. Non so se è per gentilezza o per timore di una velenosa recensione (che non faccio mai), ma quello più sveglio si offre di portarci al ristorante con l'auto di rappresentanza dell'albergo, un gigantesco suv Toyota TZ, con schermi per i passeggeri posteriori sui poggiatesta, come nei voli della Emirates. È questo che non capisco, hai un macchinone che costerà più di 50.000 dollari ma l'albergo viene gestito con un decimo della professionalità di un qualsiasi piadinaro romagnolo.

"O famo Pakist(r)ano #10

Paesaggio della Swat Valley

Burqa

I Pakistani si godono così l'estate della Swat Valley: si va al fiume, ci si fa una grigliata di trota e si prende il fresco su lettini direttamente in acqua

Ospitato da una famiglia locale, spunta il capofamiglia, col fucile in spalla pronto per andare a caccia. Dopo un po' di convenevoli su cosa si caccia da quelle parti, mi chiede se voglio sparare. Figurati, ho sparato solo durante il servizio militare, meglio non andare a cercare rogne. Raccoglie la sfida il figlio, tira e fa cilecca. Tocca al padre, si allontana e abbatte la pietra individuata come bersaglio. Prova la guida, anche lui cicca. Poi mi porgono l'arma, in realtà è un fucile ad aria compressa che spara mini-proiettili di piombo capaci giusto di abbatterw un'anatra. Accetto la sfida. Prendo la mira cercando di assumere la stessa posa che teneva il padre, premo il grilletto ma è troppo duro e non riesco a sparare. C'era la sicura. La tolgono, riprendo la mira, mi sembra di non tenere il fucile abbastanza fermo ma... BANG! Parte il colpo...e abbatto anch'io la pietra! Applausi per me. Poi bullizzerò guida e amico dicendo cose tipo "questi giovani non sono capaci di far niente, mica come noi vecchi!"

Terzo albergo di fila in cui, oltre all'acqua calda, non c'è la carta igienica. Ok, prendo atto che è un optional.

Il receptionista di stasera mi ha detto che sembro un Pakistano. Ed è già il secondo. Ok, Panico!

'O famo Pakist(r)ano #11

In mattinata abbiamo visitato un villaggio solo perché c'era un bel ponte sul fiume Swat da attraversare. Niente di particolare, a parte le solite case sgarrupate e dei bambini che giocavano a cricket (con la pallina che, in un villaggio costruito su una riva del fiume, è  da andare a recuperare qualche piano di sotto almeno ogni 5 minuti). Prima di andarcene accettiamo uno dei tanti inviti a bere un tè e veniamo accolti in una metaviglia di casa, tenuta con vero amore dalla moglie, infinitamente più pulita e curata di qualsiasi albergo o ristorante visto in Pakistan

Questo il sobrio bicchiere (di plastica, non vetro) usato nella cerimonia nuziale, uno dei tanti ninnoli pieni di lustrini per cui la padrona di casa nutre una vera passione

Riesco poi a farmi invitare ad un matrimonio, di cui divento immancabilmente l'ospite più prestigioso, il che significa che fevo stringere la mano e intonare un "Aleykoum salam" a praticamente tutti gli invitati di sesso maschile, in primis agli anziani, C'è chi dice che saranno 500/600 invitati, io direi la metà. In realtà, un matrimonio musulmano non è granché divertente, visto che uomini e donne stanno in aree distinte della casa ein pratica non si fa molto di più che mangiare. Per fortuna a vivacizzare un po' l'atmosfeta c'è anche qua l'usanza di fare degli scherzi allo sposo. I suoi amici più intimi dapprima lo allontanano dalla casa e poi, una volta sulla strada, gli versano addosso dei coloranti per stoffe comprati per l'occasione. Lo sposo cerca di ribellarsi e di rendere pane per focaccia, inseguendo gli autori dello scherzo in mezzo ai campi di pesche. Alla fine tutti al fiume a lavarsi.

In seguito, visita al villaggio natìo della mia guida (ed ennesimo giro di tè, biscotti e altra roba da smangiucchiare che tanto ormai, a forza di inviti, si salta il pranzo) e per concludere la giornata un po' di "burqa hunting", operazione sempre piuttosto complicata ma che non posso tralasciare

 

'O famo Pakist(r)ano #12

Visita alla rinomata Kalam, una specie di Cortina d'Ampezzo del Pakistan, piuttosto deludente perché pullula di alberghi di cemento e ristoranti in ogni dove. Per fortuna basta allontanarsi un po' (abbastanza un po') per ritrovare il Pakistan vero, quello rurale. Il primo villaggio che visitiamo è quello di Boyun, abitato dai Kohistani, una minorsnza etnica che da qualche decennio si è convertita all'Islam, di fatto ormai indistinguibile dagli altri Pakistani. Niente di che ma gente ospitale che ci offre l'immancabile tè

Il muezzin chiama alla preghiera con artistici gorgheggi

Resti di un antico forte realizzato con la tecnica costruttiva che alterna travi di legno e pietre, per motivi antisismici

Nel secondo villaggio Kohistano, che conserva ancora un paio di antiche tombe in legno di quando erano animisti, l'ospitalità raggiunge l'apice: dapprima ci vengono offerte delle albicocche letteralmente raccolte dall'albero, poi un intero pranzo, che peraltro potrei definire anche il più gustoso del viaggio

'O famo Pakist(r)ano #13

Ultimo dispaccio giornaliero per una giornata di trasferimento dalla Swat Valley alla capitale Islamabad, che nonostante gli oltre 4 milioni di abitanti è la nona città più popolosa del paese. Concepita negli anni '60, diventata capitale nel 1966 è molto moderna e vivibile. Ospita la moschea di Shah Faisal (dal nome del re arabo che l'ha finanziata e fatta costruire nel 1986) che è la sesta più grande del mondo, in grado di accogliere 300.000 fedeli

Sono in aeroporto in attesa dell'imbarco e, sperando di non avervi annoiato troppo, vi saluto con un tipico concerto cittadino pakistano

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